Al Fashir e il silenzio del mondo: il Sudan sprofonda in un genocidio dimenticato

Vincenzo D'Arienzo
01/11/2025
Orizzonti

Quando le Rapid Support Forces (RSF) hanno conquistato Al Fashir, ultima roccaforte dell’esercito nel Darfur, non si è trattato solo di una vittoria militare. È stato il collasso definitivo di una città, di una regione e, forse, dell’idea stessa di umanità in un Paese che da due anni vive nel buio. Da allora, i racconti e i video diffusi dagli stessi miliziani mostrano un orrore che non ha più bisogno di interpretazioni: esecuzioni di massa, corpi gettati nei fossati, ospedali trasformati in obiettivi militari.

Il genocidio in diretta

La guerra in Sudan, iniziata nell’aprile del 2023, ha già causato 150mila morti e costretto 12 milioni di persone alla fuga. Ma quanto accaduto ad Al Fashir nelle ultime settimane segna un punto di non ritorno. Le RSF, nate come milizie janjaweed e oggi forza paramilitare guidata da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, stanno ripetendo il copione del genocidio del 2003, quando centinaia di migliaia di civili non arabi furono sterminati con il tacito consenso del regime di Omar al Bashir.

Oggi la brutalità si accompagna alla tecnologia: le RSF filmano e diffondono online i propri crimini di guerra, in una strategia che unisce il terrore alla propaganda. È la distorsione estrema del mondo iperconnesso: l’orrore non è più nascosto, ma condiviso. E la comunità internazionale, che pure dispone di prove video, rimane paralizzata.

L’ospedale trasformato in un campo di esecuzione

Tra gli episodi più atroci, il massacro all’Ospedale saudita di maternità di Al Fashir: oltre 460 persone uccise, tra pazienti e familiari, in quello che era l’ultimo centro sanitario funzionante della città. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e la Rete dei medici del Sudan hanno confermato l’attacco, denunciando anche il rapimento di sei operatori sanitari. Secondo testimonianze locali, i miliziani chiederebbero un riscatto per la loro liberazione.

Si tratta di un crimine che ricorda i momenti più bui della storia recente, e che pone interrogativi precisi sul ruolo di chi sostiene queste milizie. Il governatore del Darfur, Minni Minawi, ha accusato direttamente gli Emirati Arabi Uniti di finanziare le RSF con denaro e armi. Accuse gravi, ma che finora non hanno provocato reazioni ufficiali da parte dei governi occidentali.

L’isolamento di Al Fashir e la crisi umanitaria

Da febbraio 2025 nessun aiuto umanitario riesce più a entrare in città. Circa 260mila civili restano intrappolati senza acqua, cibo o medicine. L’assedio di Al Fashir, durato oltre un anno, ha spinto decine di migliaia di persone a fuggire verso i campi profughi del Darfur, già sovraffollati e privi di risorse. Secondo l’analista Caitlin Howarth del Laboratorio di conflitti di Yale, molti dei fuggitivi sarebbero morti nel deserto, nel tentativo disperato di raggiungere un rifugio.

Il fallimento della politica internazionale

La tragedia sudanese è il risultato del vuoto politico e diplomatico lasciato dal mondo. L’Unione Africana è divisa, le Nazioni Unite denunciano ma non agiscono, e l’Europa osserva distratta, concentrata sulle crisi più vicine ai propri confini. Eppure, il Darfur non è solo una questione africana: è un banco di prova per la credibilità stessa del diritto internazionale e della giustizia penale globale.



Un conflitto che divide e distrugge

Sul piano militare, il Sudan è oggi un Paese spaccato in due. Da una parte il generale Abdel Fattah al Burhan, capo dell’esercito regolare e controllore di gran parte del nord ed est del Paese. Dall’altra Hemedti, leader delle RSF, che domina il Darfur e il sud-ovest e ha persino annunciato la formazione di un governo parallelo. Entrambi ambiscono al potere assoluto, ma la guerra li sta portando verso la distruzione reciproca e, con essa, quella del Sudan.

La lezione del Darfur

Il massacro di Al Fashir non è un episodio isolato, ma il simbolo di un genocidio che si ripete sotto gli occhi del mondo. A vent’anni dal primo Darfur, la storia si ripete in un silenzio assordante. Le prove ci sono, le responsabilità pure. Manca solo la volontà politica di intervenire.

L’Europa, che fa della difesa dei diritti umani una bandiera, non può limitarsi alle condanne di rito. Perché se il genocidio del Darfur è tornato, significa che la memoria è fallita. E se la memoria fallisce, l’indifferenza diventa complicità.