Una portaerei nucleare per l’Italia. Tra autonomia strategica e proiezione mediterranea

Andrea Maniscalco
21/10/2025
Poteri

Negli ultimi anni, la ridefinizione degli equilibri globali ha reso evidente come la potenza marittima sia tornata al centro della competizione tra Stati. Gli attacchi alle rotte del Mar Rosso, la crescente presenza russa e cinese in Africa e l’instabilità cronica dell’area mediterranea allargata hanno mostrato quanto la libertà dei traffici marittimi — da cui passa circa il 40% dell’import-export italiano — sia vulnerabile e quanto l’Italia, pur dotata di una Marina tra le più moderne d’Europa, non disponga ancora degli strumenti necessari per proiettare stabilmente la propria potenza oltre il raggio delle proprie basi.

In questo contesto, l’ipotesi — ancora informale ma strategicamente rilevante — di una portaerei a propulsione nucleare italiana assume una valenza che va ben oltre la dimensione tecnica o industriale: rappresenterebbe un salto di paradigma nella postura geopolitica del Paese.

L’attuale limite della potenza convenzionale

Oggi la Marina Militare può contare su due piattaforme principali, la Cavour e la Trieste, che garantiscono una capacità di proiezione aeronavale di livello intermedio. Sono unità all’avanguardia, ma entrambe a propulsione convenzionale e dunque vincolate da una dipendenza logistica significativa. Con un’autonomia media di circa 7.000 miglia nautiche, queste navi devono rifornirsi dopo poche settimane di operazioni continuative. In scenari come l’Oceano Indiano, il Golfo di Guinea o il Pacifico — sempre più centrali per la sicurezza energetica e commerciale italiana — tale limite riduce la continuità operativa e obbliga a pianificare missioni con l’appoggio di alleati o basi logistiche esterne.

La propulsione nucleare, invece, libererebbe la flotta da questa dipendenza. Il modello francese della Charles de Gaulle, unica portaerei nucleare europea, offre un esempio concreto: i suoi reattori K15 garantiscono autonomia energetica per oltre dieci anni prima del refueling, e una vita operativa superiore ai quarant’anni. Negli Stati Uniti, le unità classe Ford e Nimitz raggiungono addirittura i venticinque anni senza necessità di ricaricare il combustibile nucleare. Il vantaggio strategico è evidente: una portaerei nucleare può restare in mare per mesi, muoversi più velocemente e senza rifornimenti intermedi, mantenendo un gruppo aereo sempre pronto in qualunque area del mondo.



L’impatto geopolitico: una potenza regionale con respiro globale

Una simile capacità cambierebbe radicalmente il profilo geopolitico dell’Italia. Fino ad oggi, la nostra politica di difesa è stata costruita su una logica prevalentemente mediterranea: missioni in Libano, nel Golfo di Aden, nel Sahel e nell’Adriatico. Tuttavia, gli interessi nazionali si estendono ormai ben oltre. La sicurezza delle rotte energetiche e commerciali attraverso Suez, la crescente instabilità del Corno d’Africa e la penetrazione cinese nel Mediterraneo orientale impongono una presenza più ampia e continuativa.

Una portaerei a propulsione nucleare consentirebbe all’Italia di assumere un ruolo di garante della sicurezza marittima nel Mediterraneo allargato, operando in modo autonomo e continuo fino al Golfo Persico e all’Oceano Indiano. Ciò significherebbe affrancarsi, almeno in parte, dalla dipendenza operativa dagli Stati Uniti e dalla Francia, e affermarsi come terzo pilastro europeo della potenza navale.

L’impatto politico sarebbe profondo: l’Italia diverrebbe non solo un attore regionale, ma una potenza di proiezione medio-globale, capace di intervenire rapidamente in crisi umanitarie, evacuazioni, operazioni NATO o missioni UE in aree lontane. In un mondo in cui la libertà dei mari è sempre più contestata — dall’Iran nel Golfo di Hormuz fino agli Houthi nel Mar Rosso — la possibilità di schierare una task force indipendente, con 40–50 velivoli imbarcati, trasformerebbe la Marina italiana in uno strumento di deterrenza credibile e continuativo.

Il valore per NATO e difesa europea

Da una prospettiva euro-atlantica, l’ingresso in servizio di una portaerei nucleare italiana avrebbe effetti di grande portata. La NATO, oggi, dipende in larga parte dalle undici unità statunitensi per la proiezione di potenza globale e dalla sola portaerei francese per la componente europea. L’Italia, con una piattaforma nucleare nazionale, rafforzerebbe in modo decisivo il fianco sud dell’Alleanza, garantendo una presenza stabile nel Mediterraneo, nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano.

Una tale capacità ridurrebbe la pressione sugli Stati Uniti, permettendo all’Europa di assumersi una quota più significativa di responsabilità strategica in aree di diretto interesse continentale. Per l’Unione Europea, significherebbe compiere un passo concreto verso una difesa comune realmente credibile, non solo coordinata ma dotata di mezzi autonomi di proiezione. L’Italia, grazie alla sua posizione geografica e alla sua tradizione navale, sarebbe il perno naturale di questo dispositivo, rafforzando la coesione tra NATO e difesa UE e consolidando il ruolo del Mediterraneo come spazio operativo condiviso e non più periferico.

Dimensione industriale e tecnologica

Un progetto di questa portata non sarebbe solo una scelta militare, ma una politica industriale di lungo periodo. L’Italia possiede già competenze di eccellenza nel settore: Fincantieri è tra i leader mondiali nella costruzione di unità militari complesse, mentre Ansaldo Nucleare e ENEA hanno maturato esperienza nel campo dei reattori modulari di piccola scala (SMR), una tecnologia che si presta a versioni navali. La collaborazione con la Francia, che sta sviluppando la sua futura portaerei nucleare PANG, sarebbe non solo auspicabile ma probabilmente necessaria per accedere al know-how sulla propulsione militare.

Dal punto di vista economico, l’investimento — stimato tra 8 e 10 miliardi di euro in 15–18 anni — potrebbe apparire imponente, ma va interpretato alla luce del ciclo di vita di oltre quarant’anni e del ritorno industriale interno. In Francia, la sola costruzione della Charles de Gaulle generò più di 10.000 posti di lavoro diretti e indiretti; per l’Italia, un programma simile avrebbe un impatto ancora maggiore, alimentando filiere cantieristiche, elettroniche e nucleari nazionali.

Il passo necessario verso la maturità strategica

In definitiva, una portaerei a propulsione nucleare non sarebbe un lusso, ma un atto di maturità strategica. La sua realizzazione segnerebbe il passaggio dell’Italia da potenza regionale a potenza marittima autonoma, in grado di difendere le proprie linee di comunicazione e di contribuire in modo credibile alla sicurezza collettiva occidentale.

Come ha dimostrato la Francia, l’indipendenza navale non è una questione di dimensione economica ma di visione politica. Se l’Italia vuole davvero assumere il ruolo che le spetta nel Mediterraneo e nel mondo, deve dotarsi degli strumenti che consentono di agire, non soltanto di reagire.
E tra questi strumenti, nel XXI secolo, una portaerei nucleare rappresenta la chiave di volta di una strategia di potenza responsabile, moderna e coerente con le ambizioni globali del Paese e dell’Europa stessa.


Casa Europa