Filippine e Cina, scintille nel Mar Cinese Meridionale

Guido Gargiulo
21/10/2025
Frontiere

Da Manila a Pechino, le acque del Mar Cinese Meridionale tornano inesorabilmente a incresparsi. Mentre la diplomazia prova a contenere la tensione, i segnali che arrivano da entrambe le capitali mostrano un crescendo di assertività e un progressivo irrigidimento delle posizioni, con il rischio che una disputa territoriale diventi un nuovo test per l’ordine regionale e per la credibilità del diritto del mare.

Parole che pesano come avvertimenti

Pechino ha invitato Manila a “rinunciare alle illusioni irrealistiche”, in un linguaggio che, nel lessico diplomatico cinese, suona più come una minaccia che come un consiglio. Il portavoce del Ministero della Difesa cinese, Zhang Xiaogang, ha accusato le Filippine di “inscenare farse in mare” e di “orchestrare scene di propaganda”, riferendosi alle recenti affermazioni di Manila sulla sovranità delle isole Kalayaan e sullo Scarborough Shoal (Bajo de Masinloc).
Le dichiarazioni arrivano in risposta a un comunicato del Dipartimento della Difesa filippino, pubblicato sui social, che ribadiva come tali territori siano “parte integrante dell’arcipelago filippino”, in virtù di “secoli di storia legale” e di “trattati internazionali” e della Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS), che precedono di gran lunga la nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Il nodo dello Scarborough Shoal

Lo Scarborough Shoal, conosciuto in Cina come Huangyan Dao, si trova a circa 120 miglia nautiche dalle coste filippine, all’interno della Zona Economica Esclusiva (ZEE) di Manila. È un piccolo triangolo di scogli e barriere coralline, ma la sua importanza strategica è enorme: si colloca lungo rotte marittime cruciali per il commercio globale e in acque ricche di risorse ittiche e, secondo alcune stime, di idrocarburi.
Il controllo di tale area consente non solo di proiettare forza militare nel cuore del Mar Cinese Meridionale, ma anche di consolidare la presenza su un quadrante considerato vitale per la sicurezza energetica e alimentare della regione. Nonostante la decisione della Corte Permanente di Arbitrato (PCA) dell’Aia del 2016 — che aveva invalidato le rivendicazioni cinesi basate sulla cosiddetta “linea a nove tratti” — Pechino continua a rafforzare la propria posizione con costruzioni dual-use su scogliere, pattugliamenti più frequenti e un linguaggio via via più muscolare.



Le esercitazioni militari e il messaggio netto a Washington

Nelle stesse ore in cui il tono diplomatico si faceva più aspro, la Maritime Safety Administration cinese ha annunciato nuove esercitazioni militari nelle acque a sud-ovest dello Scarborough Shoal. Le manovre, durate alcune ore, si sono svolte proprio mentre Filippine, Stati Uniti e altri partner regionali concludevano esercitazioni navali congiunte già pianificate.
La coincidenza temporale non è casuale: il segnale è di deterrenza reciproca. Secondo fonti militari regionali, si è trattato di una risposta diretta alla cooperazione tra Manila e Washington, che negli ultimi mesi si è intensificata attraverso l’Enhanced Defense Cooperation Agreement (EDCA), con l’accesso statunitense a ulteriori siti filippini. Pechino, da parte sua, legge tale alleanza come una provocazione e una minaccia alla propria sicurezza marittima, definendo le esercitazioni “un tentativo di destabilizzare la regione” e di “internazionalizzare” una controversia che vorrebbe restasse bilaterale.

La diplomazia sotto pressione

Le Filippine, guidate dal governo di Ferdinand Marcos Jr., che alterna fermezza e cautela, cercano di evitare l’escalation ma non intendono arretrare sul piano del diritto internazionale. Manila continua a richiamarsi al principio di sovranità territoriale definito dai trattati del XX secolo e dall’UNCLOS, mentre Pechino insiste nel rifiutare qualsiasi arbitrato esterno.
Il linguaggio usato da entrambi i Paesi riflette questa tensione crescente: da un lato, la Cina rivendica il diritto “storico e indiscutibile” di esercitare sovranità sulle isole contese; dall’altro, le Filippine sottolineano che il rispetto delle regole internazionali e della libertà di navigazione (FONOPs) è essenziale per la stabilità dell’intera regione.


Un equilibrio sempre più fragile

Nonostante gli appelli al dialogo, la realtà sul campo mostra un quadro di progressiva “marittimizzazione” del confronto. Navi da guerra, guardie costiere e milizie marittime a bordo di pescherecci si incrociano ormai quotidianamente in quelle acque, in un clima di costante provocazione. Pechino non rinuncia a mostrare la propria forza verso i pescherecci con bandiera filippina, anche tramite cannoni ad acqua e manovre di interdizione, e si moltiplicano gli episodi di rischio collisione.
Numerosi think tank avvertono che, pur non essendoci segnali immediati di un confronto armato, la somma di incidenti, retorica e pressione militare rischia di trasformare una disputa territoriale in un detonatore strategico. In un contesto globale in cui gli equilibri si ridefiniscono tra Washington, Pechino e i partner dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), anche un singolo incidente di basso livello può produrre escalation non intenzionale, con conseguenze che travalicano il Mar Cinese Meridionale.