I sette nuovi santi cattolici che ci mostrano la storia da un’altra visuale
Fin dal libro dell’Apocalisse, i santi sono stati descritti come “una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue”.
Ma raramente questo concetto è stato espresso in maniera plastica come domenica scorsa, quando papa Leone ha proclamato sante sette persone, sei delle quali vissero in Asia o in America Latina.
Inutile cercare sfumature politiche in questa scelta. Il percorso che porta a proclamare qualcuno beato e poi santo può durare decenni, e per i sette di domenica scorsa il primo passo era stato fatto talvolta da Francesco, talvolta da Giovanni Paolo II, in un caso persino da Paolo VI.
Con buona pace delle speculazioni giornalistiche e delle chiacchiere da social, nella comunità cattolica si riscontra sempre molta più continuità che discontinuità.
Un dato di fondo, però, rimane: informarsi sulla vita di ciascuno di questi santi significa immergersi nel passato da un punto di vista eccentrico, quasi mai registrato sui libri o mostrato nei documentari.
Significa guardare, anche se per poco, paesi lontani (o anche, come nel caso di san Bartolo Longo, il nostro stesso paese) da un’angolatura unica, che mette in crisi alcuni vecchi pregiudizi.
Il primo martire papuano
Prendiamo Peter To Rot, il primo santo della Papua Nuova Guinea. Apparteneva alla seconda generazione di cattolici dopo l’arrivo dei missionari, che era avvenuto ai tempi dei suoi genitori.
Ed era un semplice catechista trentenne quando l’arcipelago, dopo essere stato per qualche decennio colonia britannica, venne occupato dai giapponesi.
Per alcuni anni Peter si impegnò per organizzare le preghiere in clandestinità e per visitare i bisognosi, dal momento che i preti occidentali erano stati eliminati all’istante. Nel 1944, però, gli invasori decisero di reimporre la poligamia nell’arcipelago.
Solo i convertiti al cattolicesimo opposero una seria resistenza, e tra loro il più tenace fu Peter, che venne arrestato e poi assassinato in carcere. La sua tomba diventò subito un luogo di pellegrinaggio spontaneo.
In quel paese (per noi) sperduto, insomma, i diritti delle donne erano stati difesi con convinzione solo da chi aveva aderito al cattolicesimo. Chi, invece, aveva smesso di essere poligamo solo per obbedire controvoglia alle leggi inglesi, aveva ricominciato ad esserlo con grande gusto non appena i giapponesi le avevano abrogate.
La vicenda di Peter To Rot, perciò, non accende solo un faro sui crimini di guerra giapponesi, che non furono da meno di quelli tedeschi (anche se tendiamo a sminuirli per conservare un monopolio eurocentrico almeno sui sensi di colpa). Mette in luce anche la capacità che ha la fede cattolica di ispirare certi valori in modo più autentico e duraturo rispetto alle leggi occidentalizzanti calate dall’alto.
Lo dimostra, nella Papua Nuova Guinea di oggi, l’impegno della chiesa per proteggere le donne accusate di stregoneria, che sono migliaia ogni anno.
Le autorità locali hanno aspettato fino al 2013 anche solo per rimuovere dal codice penale l’attenuante di “uccisione di strega”.
Sono eventi che stanno accadendo adesso, non nell’età della pietra, e forse il culto del nuovo santo papuano può contribuire culturalmente a fermarli.
Napoli magica?
Quando si parla di superstizioni, però, anche i “paesi sviluppati” hanno i loro scheletri nell’armadio.
Ce lo ricorda Bartolo Longo, un altro dei sette nuovi santi proclamati da Leone.
Prima di diventare l’amatissimo curatore del santuario della Madonna di Pompei (e della rete di servizi sociali che lo circondava), Longo faceva lo studente di giurisprudenza a Napoli, dove era rimasto coinvolto in una setta occultista con tratti demonologici.
Alla fine dell’800 infatti, anche se oggi ci fa comodo rimuoverlo dalla nostra memoria collettiva, l’occultismo non era un’eccezione ma una moda onnipresente tra le élite europee. Il rovescio della medaglia del progresso scientifico e industriale era la ricerca di esperienze paranormali tramite astrologia, spiritismo e viaggi astrali.
Così, se Peter To Rot aveva dovuto lottare contro credenze irrazionali concepite da tribù primitive, Bartolo Longo aveva dovuto lottare contro credenze irrazionali concepite da nazioni col telegrafo e il piroscafo.
Certo, le prime impattavano alla luce del giorno sulle leggi e sulle usanze quotidiane della Nuova Guinea, mentre le seconde rimanevano uno sfogo segreto per le classi dirigenti europee. Ma avere classi dirigenti così vulnerabili all’irrazionalità, sul lungo periodo, ha comunque avuto un costo (basti vedere qual è stato il terreno di coltura iniziale delle idee naziste).
Se più occultisti e spiritisti si fossero convertiti alla Madonna di Pompei come Bartolo Longo, forse certe tragedie non sarebbero accadute.
Il genocidio armeno, questo sconosciuto
Ma il nuovo santo che ci interroga più su noi stessi è forse Ignazio Maloyan, l’arcivescovo armeno della città di Mardin (oggi in Libano). Venne trucidato insieme ad altri 420 cristiani, molti dei quali appartenenti ad altre chiese, in una delle “marce della morte” del genocidio del 1915.
Gli armeni sono stati il primo popolo cristiano: hanno avuto un ruolo protagonista nell’Impero Romano d’Oriente, nell’età delle crociate e poi nella repubblica di Venezia. Sono sempre stati legati a doppio filo alla storia europea.
Sono anche stati, purtroppo, il primo popolo che ha rischiato lo sterminio totale per la sua lingua e la sua religione (nell’indifferenza della Germania, alleata dei Giovani Turchi, che fu decisiva nel convincerli a procedere).
E dunque, mentre leggiamo dei coraggiosi ultimi gesti di Maloyan, che furono gli stessi che avrebbe compiuto qualunque sacerdote europeo suo coetaneo, non possiamo non chiederci: da quando si è spezzato ogni sentimento di fratellanza verso un popolo tanto simile al nostro?
Che cosa ce lo ha reso estraneo?
In quale momento la nostra identità si è ristretta così tanto? Da quando i nostri sensi si sono impoveriti e hanno iniziato a farci riconoscere “l’odore di casa” in così pochi luoghi del mondo?
La chiesa cattolica, con tutti i suoi difetti che sono numerosi, ha però questo merito: ci mette continuamente davanti agli occhi esempi di uomini e donne che, in paesi che sembrano distanti, hanno vissuto e lottato per valori simili a quelli che noi amiamo, più di noi e meglio di noi.
Qualcuno l’ha definita “l’ONU che funziona”.
Scherzava, ma neanche troppo.








