Dazi: quando i bizantini si piegavano ai khan (e facevano bene)

L’Impero Romano d’Oriente non è sopravvissuto più di 900 anni per un capriccio della sorte.
Aveva i suoi manuali delle istruzioni su come comportarsi nel momento del pericolo, nati dall’esperienza sul campo di grandi condottieri e statisti come Maurizio o Niceforo II.
E la prima regola era: mai lasciarsi coinvolgere in uno scontro su due fronti.
Se era in corso un attacco dei musulmani ad Est, bisognava evitare ad ogni costo un attacco simultaneo degli slavi ad Ovest.
“Ad ogni costo” significava, ad esempio, pagare agli slavi tributi in oro consegnati con cerimonie umilianti. Grazie agli storici dell’economia, sappiamo che il tributo annuo ai khan slavi superava raramente l’1% del bilancio fiscale dell’Impero: era, insomma, una grande messinscena dall’ottimo rapporto costi-benefici.
“Ad ogni costo” poteva anche significare che un khan slavo veniva associato formalmente al governo dell’Impero con il titolo di “Kaesar” (è proprio per questo, tra l’altro, che i duchi di Moscovia venivano chiamati “zar”). Un trionfo per la propaganda interna del khan, ma con poche conseguenze concrete per il contadino della Tessaglia o dell’Anatolia che pagava le tasse all’Impero.
Si poteva costituire un’unità speciale dell’esercito con guerrieri dell’etnia nemica, come venne fatto coi Vichinghi. Si poteva addirittura cedere sulla mano di una principessa o su qualche territorio di confine. Ma l’importante era evitare il doppio scontro sul breve termine: sul medio e sul lungo termine tutto era recuperabile.
Solo la pressione di due titani come i Turchi e i Crociati riuscì a mettere in ginocchio una volta per tutte il vecchio impero. Ma i Turchi ne assorbirono rapidamente le strategie, e fu soltanto grazie ad esse se sopravvissero a loro volta altri 600 anni.
Il khan arancione e le sue opzioni
Anche l’Europa di oggi, come già più nel piccolo l’Ucraina, si trova aggredita su due fronti.
Sul primo fronte c’è il regime di Vladimir Putin, che da anni persegue il disegno di sottomettere con le armi quei paesi ex-sovietici che hanno aspirato alla democrazia (Georgia, Bielorussia, Ucraina, Baltici) installando nel resto d’Europa governi autoritari che la rendano inoffensiva (un’operazione che finora gli è riuscita solo in Ungheria e in Serbia).
Rispetto a noi, Putin ha l’arma illegale di un’opinione pubblica silenziata, che non può opporsi allo spreco di migliaia di miliardi di rubli e di milioni di vite umane nelle avventure espansionistiche del suo tiranno. La Russia quindi, anche se sulla carta ha risorse molto inferiori alle nostre, ha purtroppo una determinazione incrollabile a usarle tutte per questo scopo, e in ciò risulta un nemico superiore a noi.
Sul secondo fronte c’è il movimento settario di Donald Trump, che sta provando a costruire un regime totalitario e carismatico negli USA e a ridisegnare i rapporti col resto del mondo in termini di puro guadagno attraverso il ricatto.
Poiché lo zoccolo duro degli elettori MAGA non percepisce alcuna affinità culturale o religiosa con noi europei, ed è del tutto insensibile ai valori dello stato di diritto che europei e statunitensi erano abituati a difendere insieme, i nostri paesi sono prede qualsiasi agli occhi della Casa Bianca.
Un confronto impari
Che gli USA siano superiori a noi è un dato di fatto sotto ogni parametro: preparazione militare, monopolio pressoché assoluto delle tecnologie digitali, emissione della moneta di riferimento per l’intero pianeta, sovrabbondanza di materie prime energetiche, vera unità federale che permette loro di muoversi compatti.
Solo dopo tutti questi elementi fondanti vengono gli autosabotaggi che l’esangue e insicura borghesia dell’Europa si è voluta imporre da sé: rinuncia al nucleare, web tax, green deal, blocco delle fusioni tra grandi aziende, assenza di eurobond, rifiuto degli accordi commerciali come il Mercosur per accontentare le corporazioni degli imprenditori agrari, e via dicendo.
Ma questi autosabotaggi, anche se marginali, rendono il distacco degli USA ancora più ampio.
Ora, data questa sproporzione, dobbiamo ringraziare il cielo se Trump ha scelto due strumenti di attacco all’Europa tutto sommato gestibili, anche se odiosi, come l’interruzione degli aiuti all’Ucraina e i dazi sui prodotti industriali.
Esistono anche mondi possibili nei quali Trump sospende tutte le sanzioni contro Putin e nel frattempo invade la Groenlandia, e non sarebbe piacevole abitarci.
Un’arma a doppio taglio
Soffermiamoci sui dazi. C’è chi parla di una “estorsione” fatta dal padrone americano armato ai danni del servo europeo disarmato, e Trump, da bravo khan slavo, l’ha presentata così alla sua orda.
Ma i dazi, come è noto, li paga chi li impone, non chi li subisce.
Quelli che Trump aveva imposto finora avevano pesato sui paesi esportatori solo per il 17%: il resto pesava sugli americani.
Il dazio più temuto, quello sull’acciaio, danneggia l’Italia per circa 66 milioni di euro: briciole rispetto alla nostra economia, che peraltro sta correndo per aprirsi finalmente ad altri mercati manifatturieri come il Messico e l’India. Stime pessimistiche prevedono una contrazione del nostro Pil dello 0,2%, contro il -1,3% di quello a stelle e strisce.
Quanto alle cifre fantasmagoriche del “tributo in oro” che pagheremo al khan (“600 miliardi in armi e 750 in energia!”) sono all’incirca quelle che già paghiamo da quando l’Ucraina è stata invasa.
Checché se ne dica, infatti, la nostra cosiddetta “lobby delle armi” non è in grado di coprire tutto il fabbisogno difensivo che le guerre espansionistiche di Putin hanno generato, e quel che non riusciamo a produrre qui dobbiamo comprarlo da oltreoceano.
Idem per l’energia: senza gli USA sarebbe difficile trovare abbastanza gas liquefatto e petrolio per i nostri consumi, specie se pretendiamo che il gas e il petrolio del Golfo vadano a sostituire quelli russi nelle case degli indiani e dei cinesi.
L’umiliazione da parte di Trump, quindi, c’è stata, ma per ora non è irrimediabile. Ci permette di evitare lo scontro su due fronti che ci avrebbe stritolati, e di rimandare il momento dell’onore, della “testa alta” e della “ribellione contro il mafioso” a tempi più tranquilli.
Non a caso i giapponesi, che sono il popolo col più forte senso dell’onore mai esistito, hanno accettato da Trump un ricatto identico.
Già da qui a due anni possono essere accadute molte cose: la Russia può essere uscita di scena, Trump (che non è eterno) può aver perso le elezioni di Midterm, Bruxelles può aver finalizzato gli accordi di libero scambio con altre aree del mondo e rinunciato a qualcuno dei suoi autosabotaggi.
Non sottovalutiamo, poi, il messaggio morale che l’Europa ha dato scegliendo di non reagire con i dazi reciproci: “Noi restiamo comunque devoti al libero scambio e a rapporti paritari con gli altri popoli”.
A Tokyo, a Delhi, a Jakarta, a Ottawa, a Brasilia, a Riyadh e in molte altre capitali questo messaggio sarà stato gradito. Fingersi morti, o fingersi tonti, a volte può segnalare debolezza all’uno ma segnalare affidabilità all’altro.
Non è saggio vivere sempre con l’ossessione del qui e dell’ora.
I Romani lo sapevano e ne hanno fatto tesoro per 900 anni: facciamone tesoro anche noi.