Tensione al confine: Thailandia e Cambogia sull’orlo della guerra

Vincenzo D'Arienzo e Guido Gargiulo
30/07/2025
Frontiere

Un’escalation esplosiva è scoppiata lungo il confine tra Thailandia e Cambogia, dove violenti scontri armati hanno insanguinato per cinque giorni le zone di frontiera, provocando decine di morti, migliaia di sfollati e il rischio concreto di un conflitto su larga scala. Entrambi i Paesi si accusano reciprocamente di aver innescato l’offensiva, mentre la diplomazia regionale e internazionale si è attivata per fermare l’escalation.

Le origini dello scontro

Il primo a parlare è stato Hun Sen, presidente del Senato cambogiano ed ex-premier, che ha puntato il dito contro Bangkok: secondo Phnom Penh, le forze thailandesi avrebbero varcato la linea di confine lanciando attacchi in aree contese, costringendo le truppe cambogiane a rispondere militarmente. Di contro, la Thailandia ha sostenuto di essere stata colpita per prima da razzi e artiglieria pesante, denunciando violazioni della propria sovranità.

Attacchi incrociati e vittime civili

Secondo i media thailandesi, razzi BM-21 Grad provenienti dalla Cambogia avrebbero centrato una stazione di servizio e un ospedale a Si Sa Ket, causando vittime e feriti tra i civili. Le autorità sanitarie thailandesi hanno immediatamente attivato piani di emergenza nelle province di confine. Bangkok ha dichiarato che più di 100.000 persone sono state evacuate.
Nel frattempo, Phnom Penh ha accusato la Thailandia di aver condotto attacchi aerei e di aver impiegato munizioni a grappolo, con l’obiettivo — secondo il Ministero della Difesa cambogiano — di “conquistare territori con la forza”.

Chiusura dei confini e legge marziale

In risposta all’escalation, la Thailandia ha richiamato il proprio ambasciatore e dichiarato la legge marziale in alcune province orientali. La Cambogia ha reagito espellendo il rappresentante diplomatico thailandese. Scontri sono stati segnalati in almeno otto aree di frontiera, con violenti bombardamenti nella zona montuosa e contesa del tempio di Ta Moan Thom.

Mobilitazione militare e timore di guerra

Il comando militare thailandese ha avviato il cosiddetto Piano Chakrabongse Phuwanat, che prevede la mobilitazione simultanea delle forze terrestri, navali e aeree in caso di guerra totale. Dall’altra parte, la Cambogia ha spostato mezzi d’artiglieria pesante SH-1 da 155 mm e veicoli corazzati verso il fronte.

Fonti del Royal Thai Army riferiscono che oltre 100 soldati cambogiani sarebbero stati uccisi. Anche il Laos ha denunciato la caduta di proiettili sul proprio territorio, pur senza vittime.

Intervento internazionale: USA e ASEAN in campo

Nel mezzo della crisi, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è intervenuto pubblicamente dichiarando di aver parlato sia con il premier cambogiano Hun Manet sia con il primo ministro ad interim thailandese Phumtham Wechayachai, promuovendo un cessate il fuoco immediato. Anche il primo ministro malese Anwar Ibrahim, presidente di turno dell’ASEAN, ha ospitato i due leader a Kuala Lumpur, facilitando un accordo di tregua annunciato per la mezzanotte del 29 luglio.

Un cessate il fuoco… fragile

L’intesa è stata celebrata come una svolta diplomatica, ma la realtà sul campo resta incerta. Poco dopo l’entrata in vigore della tregua, le forze thailandesi hanno accusato l’esercito cambogiano di aver violato l’accordo con un nuovo attacco d’artiglieria a Chong Bok. Le due parti si sono però impegnate a non inviare ulteriori truppe nella zona e a mantenere aperti i canali di comunicazione diretta.

Prospettive di pace?

Sebbene le dichiarazioni ufficiali siano improntate alla distensione, la fiducia reciproca è ai minimi storici. I negoziati bilaterali saranno decisivi nelle prossime ore per evitare una ripresa del conflitto. Intanto, la popolazione civile nelle province di confine continua a vivere sotto la minaccia di nuovi scontri.



Il ruolo delle comunità locali e la ricostruzione sociale

La crisi lungo il confine tra Thailandia e Cambogia coinvolge profondamente le comunità locali, spesso dimenticate nel quadro geopolitico più ampio. Contadini e minoranze etniche Khmer e Lao, che vivono nelle zone contese come le province di Preah Vihear e Si Sa Ket, sono stati duramente colpiti dagli scontri armati, con oltre 170.000 persone evacuate tra thailandesi e cambogiani solo nel 2025. Le devastazioni alle infrastrutture agricole, in particolare ai raccolti di riso, rischiano di compromettere la sicurezza alimentare di queste comunità per molte stagioni a venire. I programmi umanitari, coordinati da ONG internazionali come Human Rights Watch, mettono in luce la necessità urgente di corridoi umanitari sicuri e assistenza mirata per mitigare sofferenze e sfollamenti.

Oltre all’emergenza immediata, è di cruciale importanza promuovere iniziative di riconciliazione sociale e dialogo interculturale che possano ricostruire la coesione sociale, ridurre le tensioni etniche e creare basi comunitarie solide per una pace duratura.

Cooperazione regionale e prospettive future

La Cambogia, da anni partner chiave della Cina nella Belt and Road Initiative, vede aumentare il peso dell’influenza cinese nella regione, che si traduce in un sostegno politico e militare molto attento alle dinamiche territoriali.

Al contrario, la Thailandia mantiene tradizionalmente legami consolidati con gli Stati Uniti, che cercano di contenere l’espansione cinese nel Sud-est asiatico. Quest’area, crocevia di importanti rotte marittime come lo Stretto di Malacca, diventa così uno scenario potenziale di scontro non solo locale, ma addirittura globale.

E come già stato evidenziato in precedenza, un eventuale ritorno importante delle ostilità tra Thailandia e Cambogia rischierebbe di destabilizzare non solo i due Paesi coinvolti, ma anche l’intero Sud-est asiatico, con ripercussioni negative sul commercio, le rotte marittime e l’integrazione politica nell’ambito ASEAN.

Motivo per il quale, quest’ultimo, svolge un ruolo fondamentale di mediatore, promuovendo la diplomazia multilaterale e spingendo per accordi che uniscano sicurezza regionale e sviluppo economico condiviso.

Il mantenimento della stabilità richiede un dialogo inclusivo tra norme regionali, interessi geopolitici e la tutela delle comunità locali, con un equilibrio decisamente delicato tra cooperazione e competizione tra le grandi potenze.