Hamas isolata, genocidio evaporato: la svolta (rumorosa) del mondo arabo

Quattro leader arabi in posa formale davanti alle bandiere di Palestina, Qatar, Arabia Saudita ed Egitto
Alessandro Pezzini
31/07/2025
Frontiere

Mentre in Italia si fa a gara a chi urla più forte “genocidio!” tra un talk show e un post indignato, a New York si è consumata una scena molto più concreta e molto meno ideologica: la Lega Araba – sì, proprio quella – ha condannato per la prima volta gli attacchi del 7 ottobre, ha chiesto a Hamas di deporre le armi e di lasciare Gaza, e ha sostenuto la nascita di uno Stato palestinese non aggressivo sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese.
E no, nel documento firmato da Arabia Saudita, Egitto, Qatar, Giordania e altri 17 Paesi, non c’è traccia del termine “genocidio”. Neanche un accenno. Nessun intento sterminatore imputato a Israele. Nessuna richiesta di incriminazione penale. Solo una condanna ferma delle morti civili (da entrambe le parti) e un invito molto chiaro: Hamas deve farsi da parte, per sempre.

L’unica vera notizia: il mondo arabo prende posizione

Questa è la vera notizia. E racconta molto più della sfilata quotidiana di analisti improvvisati che, da questa parte del Mediterraneo, si affrettano a interpretare la giustizia internazionale ancor prima che la giustizia internazionale si sia espressa. Se fosse per loro, Israele sarebbe già alla sbarra per crimini contro l’umanità, senza nemmeno la fatica di una prova. Basterebbe l’indignazione.
Ma mentre qui si gioca a chi è più “dalla parte giusta della storia”, il mondo arabo ha preso una posizione sorprendentemente pragmatica: il problema numero uno, oggi, è Hamas. Non Israele. Non il colonialismo. Non l’Occidente. Hamas.

Il documento della Lega Araba è chiaro

Il documento di New York lo dice chiaramente: il gruppo islamista deve disarmarsi, liberare gli ostaggi, cedere il controllo di Gaza all’ANP, e lasciare spazio alla costruzione di uno Stato palestinese sovrano, demilitarizzato, integrato nella regione. Punto. Fine della storia delle “due resistenze”.

La reazione prevedibile di Israele

Israele – o meglio, il governo Netanyahu – ha reagito come prevedibile: rigetto totale. Perché? Perché non c’è punizione prevista per Hamas, nessuna garanzia che i suoi leader verranno catturati, e soprattutto perché questa proposta toglie a Israele l’unico vero “potere contrattuale” rimasto: la forza militare. Se Hamas si ritira davvero (e resta un enorme “se”), Netanyahu perde la sua narrativa di guerra eterna, e con essa gran parte della sua legittimità politica.
Ma attenzione: Israele non è solo Netanyahu. È un Paese che tra pochi mesi tornerà al voto. E saranno i cittadini israeliani a decidere se vogliono proseguire sulla strada dell’occupazione militare infinita, oppure prendere sul serio questa proposta araba, che per una volta parla la lingua della realpolitik più che quella della retorica.

Il bivio di Hamas

Nel frattempo, la vera partita si gioca altrove. Hamas è davanti a un bivio: continuare a usare i civili come scudi umani, o lasciare la scena politica in cambio della possibilità concreta – per i palestinesi – di avere finalmente uno Stato. Non perfetto, non immediato, ma possibile.

L’ironia della storia: chi chiedeva copertura ora vuole la fine

La cosa più ironica? Questa svolta è stata guidata dagli stessi Stati che in passato venivano accusati di “coprire Hamas”. Ora sono loro, per primi, a chiederne la fine. E mentre lo fanno, evitano accuratamente di pronunciare parole pesanti come “genocidio”, preferendo lavorare su una proposta politica, concreta e misurabile.
Forse, da queste parti, qualcuno dovrebbe prendere appunti.