Trump avrebbe svenduto l’Ucraina, è l’Europa “volenterosa” ad averlo fermato

Carmelo Palma
23/05/2025
Frontiere

Dalla telefonata di lunedì scorso tra Putin e Trump, Federico Rampini ha tratto questa conclusione: “È tramontato il rischio che Trump faccia un accordo sull’Ucraina con Putin” e qualche simpatizzante della causa ucraina si sarà rallegrato di un esito così felice. 

Altri che, come chi scrive, pur senza particolare esperienza di mondo hanno imparato a diffidare dei paragnosti della geopolitica nazionale (a partire dall’inarrivabile Lucio Caracciolo, col suo “Putin non attaccherà l’Ucraina” pochi giorni prima dell’invasione) avranno toccato ferro, sperando che una così ottimistica profezia non fosse di malaugurio.

In realtà la telefonata tra i due aspiranti capimandamento del mondo è andata davvero bene per chi ha a cuore la causa di Kyiv, ma in senso molto diverso da quello che intende Rampini. Trump non ha affatto rinunciato al progetto di un accordo russo-americano di spoliazione dell’Ucraina, ma ha dovuto prendere atto degli ostacoli frapposti a questo prodigioso deal non da Mosca, ma da Londra, Parigi, Berlino, Varsavia e da quel primo nucleo di Nato europea, che, pur tra mille difficoltà, ha promesso a Zelensky che non avrebbe abbandonato l’Ucraina seguendo l’abbandono americano e avrebbe continuato a sostenerla fino alla pace e soprattutto dopo la pace. 

Non è affatto vero che Trump non può dare a Putin quello che vuole, semplicemente perché era disponibile a dargli di fatto tutto quello che chiedeva: i territori annessi e la smilitarizzazione dell’Ucraina, a condizione da averne un guadagno da sbandierare come bottino di guerra per l’America Maga. 

Semplicemente Trump non può garantire a Putin che per prendersi quello che vuole basti l’avallo di Washington. È successa una cosa che non si aspettava. Un pezzo di Europa si è svegliata e ha capito quel che la destra e la sinistra italiana si guardano bene dall’ammettere: che la resa dell’Ucraina sarebbe un pericolo esiziale per la stessa libertà europea.



Non c’è nulla che Trump non sia disposto a fare. C’è però poco che adesso gli possa riuscire. Per questo ha dovuto cambiare registro, senza dismettere un atteggiamento di sostanziale complicità con Mosca, ad esempio su ulteriori sanzioni e ha iniziato a raccontare il possibile disimpegno americano come lo sdegnoso rifiuto di impelagarsi in una diatriba russo-europea, dopo avere raccontato per mesi che avrebbe potuto risolvere tutto in ventiquattro ore, trattando direttamente con Putin e dopo avergli offerto la testa di Zelensky, in quell’agguato mafioso trasmesso in mondovisione dalla Casa Bianca.

L’Ucraina è tutt’altro che al sicuro, il sostegno europeo è legato al favore di opinioni pubbliche e parlamenti volubili e infiltrati da Mosca, i mezzi militari e finanziari di cui la coalizione dei volenterosi dispone per aiutare l’Ucraina non possono surrogare del tutto il disimpegno americano, e Washington può fare molto male all’Ucraina privandola delle comunicazioni e delle immagini satellitari e del supporto di intelligence, già una volta sospesi e poi ripristinati. 

Ma l’Ucraina non è al punto in cui Trump era sicuro che l’avrebbe rapidamente portata e questo è un merito e un successo dell’Europa – Italia indisponibile a tutto esclusa.