Il mito dell’accordo mancato di Istanbul: realtà e propaganda

Marco Setaccioli
23/05/2025
Poteri

Il recente incontro tra le delegazioni di Mosca e Kyiv in terra turca, organizzato per provare a raggiungere un accordo su una possibile pace o almeno una tregua alla guerra che da oltre tre anni insanguina l’Ucraina, e risoltosi con nulla più che uno scambio di prigionieri, è stata l’occasione per i propagandisti nostrani per rispolverare leggende e menzogne su quanto accadde in quelle stesse sale del palazzo presidenziale Dolmabahce di Istanbul nei mesi di marzo ed aprile 2022, quando si tentò, nelle prime settimane di invasione, di porre fine alla “operazione speciale” voluta da Putin.

Non c’è praticamente talk show o testata giornalistica nei quali in questi giorni non faccia capolino il so-tutto-io di turno, pronto ad assicurare che all’epoca un accordo di pace fosse ad un tiro di schioppo e che a far saltare tutto fosse stato il premier inglese Boris Johnson con la visita a sorpresa del 9 aprile, durante la quale convinse Zelensky a continuare la guerra anziché fare la pace. Ma bisogna essere molto chiari nel dire che questa versione dei fatti non solo non trova alcuna conferma, ed anzi viene di fatto smentita dalle stesse fonti citate da chi la sostiene, oltre che dagli innumerevoli tentativi di manipolazione diretti ed indiretti voluti dal Cremlino.

Giusto qualche sera fa a ripetere questa narrazione, la quale negli ultimi anni ha letteralmente spopolato sui siti di disinformazione russi – ed è tutt’ora ripetuta a nastro sui social dai sostenitori della cricca di Putin – sono stati, a Otto e Mezzo, ospiti di Lilli Gruber, su La7, il direttore di Limes Lucio Caracciolo ed il solito Marco Travaglio. Alle contestazioni di Mieli, che ha definito quella ricostruzione “una balla”, ha tuttavia reagito il direttore del fatto, riproponendo, come fa da mesi, senza alcun contraddittorio, delle presunte dichiarazioni del capo negoziatore della delegazione ucraina del 2022 David Arakhamia, le quali a suo parere avvalorerebbero questa versione dei fatti.

Le distorsioni sulla trattativa di Istanbul

Stando alle parole citate anche in altri interventi televisivi ed editoriali, Travaglio si riferisce ad una intervista rilasciata dal funzionario ucraino alla giornalista e autrice ucraina Natalia Moseichuk, andata in onda il 24 novembre 2023 sul canale 1+1. Ad ascoltarla integralmente, sorge tuttavia il sospetto che quell’intervista il Direttore del Fatto non l’abbia mai veramente ascoltata, ma si sia piuttosto affidato alle manipolazioni che gli organi di propaganda russi ne hanno fatto, operando, come spesso capita, tagli ed omissioni.

A circa un terzo del lungo confronto si parla proprio dei colloqui a Istanbul, in merito ai quali Arakhamia dichiara esattamente il contrario di ciò che Travaglio sostiene.

In particolare il funzionario conferma che il punto centrale delle richieste di Mosca fosse la non adesione alla NATO, ma non dice affatto che fosse stato raggiunto un accordo. In numerose occasioni Travaglio parla infatti di 18 bozze che le delegazioni si sarebbero scambiate e di una finale persino firmata. Queste affermazioni erano state fatte da Putin in persona davanti ad una rappresentanza di alcuni leader africani (in parte confermato anche dall’allora premier israeliano Naftali Bennett) ai quali aveva persino detto che quel documento era stato denominato “Accordo sulla neutralità permanente dell’Ucraina e sulle garanzie di sicurezza”.

Se Travaglio avesse veramente ascoltato l’intervista di Arakhamia, saprebbe che quel documento semplicemente non esiste, tanto che l’intervistato fa notare alla giornalista che, se fosse stato reale, Putin non avrebbe esitato a mostrarlo pubblicamente, cosa che invece non era mai avvenuta. Ciò che era accaduto ad Istanbul era molto più semplicemente che la delegazione non aveva il potere (né l’intenzione) di firmare un accordo in violazione della costituzione Ucraina, la quale prevede l’obiettivo dell’adesione alla NATO, sin dalle modifiche apportate nel 2019.

L’intervistatrice, peraltro, nel video incalza Arakhamia, chiedendo il perché non avessero accettato quelle condizioni. E lui spiega ciò che era fin troppo ovvio, cioè che dopo 8 anni di annessioni, scontri e provocazioni l’Ucraina pretendeva garanzie per la propria sicurezza che Mosca non era disposta a dare.

A bollinare la natura menzognera della ricostruzione di Travaglio c’è poi una domanda diretta della giornalista sul ruolo di Johnson e sulle sue presunte ingerenze, alla quale il consigliere risponde chiaramente che si tratta di falsità dette da chi vuole trarne un vantaggio politico e che quella di non firmare era stata, invece, una scelta dell’Ucraina, a causa delle condizioni poste dalla Russia, oltre che per i vincoli giuridici e costituzionali. Johnson visitò effettivamente Kyiv, ma, come spiega Arakhamia, quel viaggio era avvenuto dopo il rientro della delegazione da Istanbul. Per maggiore chiarezza, lo stesso intervistato precisa anche che l’Ucraina non aveva ricevuto alcuna pressione dai partner occidentali, i quali peraltro avevano accesso alle bozze di accordo, ma, per scelta di Kyiv, non erano nemmeno al corrente di tutti i dettagli dei colloqui.

Non molto diversa è la manipolazione che Travaglio riprende integralmente dai siti di propaganda filorussa, rispetto alle dichiarazioni di Oleksander Chalyi, diplomatico navigato e membro della delegazione guidata da Arakhamia, un’altra prova, a suo dire, che l’accordo era vicino e che fosse saltato a causa del perfido Occidente. Anche qui il dubbio che il direttore del Fatto non sappia esattamente di cosa parla è legittimo, non solo perché ha più volte definito quell’intervento “un’intervista”, mentre si trattava di un dibattito organizzato dal Centro per le Politiche di Sicurezza di Ginevra, ma anche perché ha omesso di riferire come Chalyi non abbia affatto utilizzato termini entusiasti riferendosi a quelle trattative, ma avesse piuttosto precisato che “Putin ha commesso un crimine”, con riferimento già alla “proxy war” del 2014 ed avesse precisato nella seconda parte del suo discorso, pronunciato in inglese, come l’adesione dell’Ucraina alla NATO e l’ottenimento di garanzie di sicurezza rimanga la precondizione di qualunque accordo.

Sui colloqui di Istanbul, d’altra parte, avevano già abbondantemente scritto, non smentiti e con dovizia di particolari, sia la testata specializzata Foreign Affairs, sia il New York Times. Il primo in particolare, spesso menzionato senza probabilmente essere stato letto abbastanza approfonditamente, contiene una serie di dettagli e riferimenti preziosi, che consentono di capire almeno in parte cosa realmente andò storto nei colloqui in Bielorussia e Turchia. Il magazine conferma in sostanza che il principale nodo da sciogliere era quello della sicurezza per l’Ucraina e delle garanzie di sicurezza che in un post pubblicato sul suo canale Telegram il 14 marzo 2022, lo stesso Zelensky sottolineava che non fossero “come quelle di Budapest”, con riferimento al Memorandum del 1994 con il quale Kyiv aveva accettato di dismettere il proprio intero arsenale nucleare, in cambio di rassicurazioni che la Russia aveva però violato vent’anni dopo, con l’annessione della Crimea e l’intervento di truppe senza insegne in Donbass. Garanzie sulle quali l’intero processo si era di fatto arenato, visto il niet di Mosca rispetto ad un ingresso dell’Ucraina nella NATO e la riluttanza degli alleati occidentali ad assicurare un intervento diretto sul campo in caso di una nuova invasione russa. C’era poi stata la scoperta delle fosse comuni a Bucha, Irpin e Borodyanka, che aveva in parte irrigidito la posizione ucraina ed il sostanziale fallimento del tentativo di prendere la capitale da parte dei russi con il conseguente ritiro delle truppe verso est, che aveva permesso a Kyiv di sperare legittimamente di poter sostenere la guerra sul piano militare. Gli autori dell’articolo, Samuel Charap e Sergey Radchenko sono tuttavia molto netti nell’affermare che l’idea che il fallimento delle trattative fosse da attribuire a pressioni occidentali è in realtà “infondata”.



Un mito senza prove

Un ruolo determinante, secondo loro fu giocato, semmai, dall’insistenza della parte russa nel voler inserire nel documento redatto nei primi giorni di aprile – dopo un momento nel quale era parso che Mosca fosse persino pronta ad accettare di ridiscutere lo status della Crimea occupata da 8 anni – una clausola con la quale proprio alla Russia, cioè l’invasore, veniva attribuito il diritto di veto che le avrebbe consentito di impedire legalmente un intervento internazionale in difesa del paese invaso. Una versione peraltro confermata dal New York Times, che il 15 giugno 2024 ha pubblicato integralmente il documento incriminato, datato 15 aprile 2022, la data nella quale la delegazione ucraina, preso atto del fatto che la controparte non stava negoziando in buona fede, aveva abbandonato il tavolo.

Di fatto quindi tutti gli elementi portano a ritenere che quello dell’intervento decisivo di Johnson sia null’altro che un mito a supporto del quale nessuno di coloro che sostiene quella versione dei fatti è in grado di portare elementi di prova, fatte salve oscene manipolazioni che divulgatori seriali di fake news come, appunto, Caracciolo e Travaglio ripropongono ad ogni occasione. Al contrario, ogni testimonianza, ricostruzione e documento rende piuttosto evidente che la rottura si sia consumata su questioni come il diritto dell’Ucraina ad avere garanzie di sicurezza (e di conseguenza sulla propria sovranità) che, non a caso, a distanza di tre anni, sono ancora gli elementi che rendono inconciliabili le posizioni delle due parti in conflitto.

Dopotutto, Caracciolo, è bene ricordarlo, il 15 febbraio 2022 ci spiegava “perché Putin non attaccherà l’Ucraina (checché ne dicano gli USA)”. Travaglio, una settimana più tardi, cioè a meno di 48 ore dall’inizio della guerra più grande del secolo, sul social X, definiva “fake news” gli alert dell’intelligence americana in merito all’imminente invasione. Di due esperti di tal fatta, che anziché sotterrarsi, continuano ad imperversare in tv come autorevoli opinionisti, perché non dovremmo accettare lezioni di verità e geopolitica?