Tutti DOGE coi soldi degli altri. Trump, Musk e il requiem della democrazia americana

Daniele Venanzi
06/06/2025
Interessi

Parafrasando Troisi, “sembrava amore… invece era un rent seeker. Un altro, l’ennesimo “bandito stanziale” – nel senso politico, per carità, come inteso da Bastiat e Pareto – alla corte della Casa Bianca. Tutti DOGE coi soldi degli altri, che poi sono sempre quelli dei contribuenti, a Washington così come a Bruxelles e in ogni altro leviatanico centro di potere. È il gioco a somma negativa di una democrazia consunta, segnata da rigidità sociali, deficit da capogiro e sostanziale stagnazione: la ricetta dell’inesorabile declino di un sistema politico dominato da portatori di interessi che non mirano tanto ad arricchirsi, quanto a farlo a spese della collettività.

Tutti DOGE coi soldi degli alti

Partono incendiari e si scoprono lobbisti, attori della “grande finzione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri”, riprendendo le parole di Bastiat sull’essenza del big government. Elon Musk avrebbe voluto metterlo a dieta, lo Stato spendaccione, ma solo per gli altri, celandosi anche lui dietro la maschera ipocrita di un ambientalismo di comodo, secondo cui alcuni incentivi pubblici – quelli alle sue aziende, guarda caso – sarebbero più etici di altri. Credeva di essere il magnate più influente d’America, sognava di diventare un Presidente non eletto; si è risvegliato estromesso da interessi che contano più dei suoi: quelli delle petrolifere, che giocano a questo gioco a somma negativa, di “benefici concentrati in poche mani e perdite diffuse”, per recitare il mantra di Mancur Olson, da secoli prima che Elon venisse concepito.

Gli incentivi vanno aboliti… se a prenderli non sono io

Che volino gli stracci, allora, e si invochi l’impeachment di cui pregustiamo già la serie Netflix, perché è questo il giusto e ovvio epilogo di una delle pagine più raccapriccianti della storia recente dell’intera civiltà occidentale. Ogni nazione ha la sua autobiografia; Piero Gobetti sosteneva che quella italiana consistesse nel Ventennio fascista. Vorremmo, con tutto il cuore, credere ancora che quella americana si rinvenisse nei principi che ispirarono George Washington e Thomas Jefferson, nel Boston Tea Party o nel mito della “città sulla collina” che ha illuminato la presidenza Reagan. I fatti, tuttavia, non si prestano a interpretazioni benevole. Attendiamo nuovi e orripilanti sviluppi, con un quesito che ci toglie il sonno: ma Jeffrey Epstein lo hanno suicidato?