Polonia: Nawrocki presidente, rinnovamento perdente

L’ultimo mese di presidenza polacca del Consiglio dell’UE si è aperto con la vittoria al ballottaggio presidenziale del candidato euroscettico del PiS, Karol Nawrocki. Una scelta di segno opposto rispetto alla coalizione governativa europeista guidata da Donald Tusk.
Ora a Varsavia si riafferma l’incertezza politico-istituzionale, in rinvigorita oscillazione tra l’Europa di Bruxelles e l’anti-Europa di Visegrad.
“Quei 400 mila voti”. Trzaskowski battuto come nel 2020
Come approfondito in questa intervista per Radio Radicale, a sfidarsi al secondo turno presidenziale del 1 giugno sono stati Rafal Trzaskowski di Piattaforma Civica e Karol Nawrocki di Diritto e giustizia.
Pur aggiudicandosi il ballottaggio, entrambi i candidati dei principali partiti di Polonia, rispettivamente rappresentanti il Primo ministro Tusk e il Presidente uscente Duda, non avevano brillato al primo turno, raccogliendo solamente il 31,4% e il 29,5% dei consensi.
Stessa bipartizione del 2020, quando lo stesso Trzaskowski contese lo scranno presidenziale ad Andrzej Duda. Oggi come allora, a prevalere è stato il candidato del PiS, con uno scarto minimo e cristallinamente immutato di circa 400 mila preferenze.
In questi cinque anni il panorama politico è cambiato e non poco, complice soprattutto il passaggio di consegne governativo da Morawiecki a Tusk, eppure gli elettori polacchi non hanno in definitiva mutato il loro orientamento.
Geograficamente demarcato e anagraficamente settorizzato, a prevalere è stato il voto per la conservazione, figlio -come nel 2020- della diffusa diffidenza dei polacchi verso il cambiamento più che dell’effettivo rispecchiamento degli elettori con la politica del Presidente eletto.
La campagna Presidenziale nella Polonia di oggi
Mai come quest’anno la disputa presidenziale è stata così sentita nello stato sarmatico. A riprova, l’importante affluenza registrata nel primo e ancor di più nel secondo turno delle votazioni, in cui si è recato al seggio il 71,63% degli aventi diritto.
Come ripetiamo da tempo, la Polonia è oramai a tutti gli effetti un gigante in corsa, crocevia economico felice tra la cultura liberale occidentale e l’etica del lavoro orientale, come affermato la settimana scorsa da The Economist.
L’attuale grandeur percepita all’estero, rafforzata dalla centralità politica continentale del governo Tusk, non è egualmente percepita internamente. A caratterizzare la campagna elettorale sono state principalmente dinamiche interne, come la preoccupazione per l’eccessiva immigrazione e per la crescita dell’indebitamento pubblico.
Il frame politico-elettorale non è stato guidato dai partiti più importanti, ad imporre i temi sono stati invece i movimenti populisti-estremisti di Slawomir Mentzen, Grzegorz Braun e Adrian Zandberg.
Polarizzanti, divisive e impattanti. Questa la cifra contenutistica delle tre candidature in questione, che grazie alla trasversale avversione al sistema, spaziante dall’eco-socialismo di Zandberg, all’antisemitismo razzista di Mentzen fino al messianesimo cattolico di Braun, hanno attratto larghe fette di elettorato.
Nawrocki e Trzaskowski, nonostante la posizione di netta preminenza nei consensi, sono stati costretti a seguire i pattern battuti dagli avversari, compiendo una vera e propria rincorsa tematica ancor più accentuata nelle due settimane precedenti il ballottaggio.
Rafal Trzaskowski: concavo, convesso e sconfitto
Ad essere più di tutti penalizzato da questa strategia è stato Rafal Trzaskowski di Piattaforma Civica. L’intera campagna del sindaco di Varsavia è stata contraddistinta dal basso grado di innovazione delle proposte, con il completo appiattimento programmatico sul governo Tusk e la ricerca affannata di trasversalità istituzionale.
Nel tentativo di intercettare il consenso più ampio possibile, il candidato di Piattaforma Civica ha assunto una postura istituzionalmente unitaria e aperta a molteplici contaminazioni politiche.
Questo atteggiamento, inverato da posizionamenti ambigui e poco chiari a proposito dei temi più sentiti dall’elettorato, non ha portato il desiderato allargamento del bacino elettorale, determinando piuttosto la snaturazione del profilo politico di Trzaskowski.
I sette anni alla guida della capitale hanno connotato il profilo di Trzaskowski come “marcatamente progressista”, a fronte soprattutto delle coraggiose delibere in materia di diritti civili.
In un’elezione a doppio turno, con fisiologico ampiamento della base valoriale delle piattaforme in ballottaggio, la radicalità incarnata da Trzaskowski nell’immaginario pubblico polacco è risultata, come nel 2020, poco premiante.
Difatti, la mediazione programmatica del candidato presidente non è riuscita a scalfire la diffidenza del ceto medio conservatore-moderato, portando piuttosto un raffreddamento dell’elettorato progressista.

L’incidenza del voto giovane nell’anno delle spaccature identitarie elettorali
A pesare più di tutti come una scure, e a determinare proprio la sconfitta del candidato filo-governativo, è stato l’elettorato under-30. Iper-polarizzato al primo turno, dove a prevalere sono stati i candidati estremisti Mentzen e Zandberg, nella seconda tornata ha aumentato ancor di più il proprio peso specifico.
I millennials, a discapito di molte previsioni, si sono nuovamente recati in massa alle urne, rispondendo a piena voce alla chiamata elettorale.
Impattante la divaricazione di genere, con il voto dei giovani uomini ultra maggioritario per Nawrocki e delle giovani donne per Trzaskowski. (fonte: Euractiv)
A prevalere, anche numericamente, sono stati i giovani uomini che, dopo aver largamente sostenuto Slawomir Mentzen di Konfederacija al primo turno , al ballottaggio si sono riversati su Nawrocki, in linea con l’endorsement fatto dal candidato escluso nei suoi popolari “Streaming”
Non è solo l’elettorato giovanile ad essersi spaccato in queste votazioni, ma lo è tutto il tessuto sociale polacco.
Come ben evidenziato da Carmelo Palma, stando ai sondaggi Ipsos è nettamente emersa la demarcazione territoriale, con l’est rurale per Nawrocki e l’ovest industrializzato per Trzaskowski, e in assoluto la differenziazione di voto per livello di istruzione, che ha visto prevalere nettamente il candidato del PiS nelle fasce poco scolarizzate e il sindaco di Varsavia dilagante tra i laureati.
La rinnovata cohabitation: il biennio incerto davanti a Tusk
I dati elettorali bicefali corrispondono perfettamente alla discordanza istituzionale a cui va nuovamente incontro la Polonia.
La grande scommessa di Donald Tusk, forte degli ottimi risultati in politica estera ed economica, prevedeva la conquista dello scranno Presidenziale per accelerare il processo riformatore prima del rinnovo della Dieta parlamentare nel 2027.
L’elezione di Nawrocki, ancor più estremista di Duda, porterà certamente nel breve periodo allo stallo in merito ai disegni di legge più caratterizzanti del programma governativo, come il progetto sulle unioni civili e la legalizzazione dell’aborto.
Il neo-presidente, forte del mandato elettorale, ha già annunciato che eserciterà a piena discrezione il proprio diritto di veto legislativo, costringendo il governo a incalzanti mediazioni. Riserviamo ad un prossimo approfondimento l’analisi approfondita del profilo di Karol Nawrocki, soprattutto alla luce dei primi provvedimenti presidenziali.
In virtù del risultato elettorale, Donald Tusk ha già manifestato l’intenzione di chiedere nuovamente il voto di fiducia al parlamento. Nonostante le numerose richieste, provenienti in particolare da Jaroslaw Kaczynski, di varare un governo tecnico in vista di elezioni anticipate, il premier è fiducioso di portare a casa la partita, grazie alla compattezza del fronte governativo.

Leggere la politica polacca con le lenti europee (ma non troppo)
Ad concludendum, negli ultimi giorni la vicenda elettorale polacca è stata centrale nel dibattito politico e giornalistico italiano e continentale. Come accade sempre, ad emergere sono state più le “tifoserie” interne che le fattispecie politiche del paese in questione, in linea con la malsana tendenza di leggere con le proprie lenti le vicissitudini altrui.
Senza scendere nei dettagli per evitare tediose polemiche, diciamo che forse questo voto può comunque servire anche a noi da lezione. Con tutte le specifiche già ampiamente affrontate, la politica polacca ci dimostra il sopravvenuto superamento del dualismo destra-sinistra, in favore del vero discrimine ormai caratteristico del panorama elettorale continentale: approccio europeista vs euroscettico.
Dunque sta ora ai partiti filo-europei trovare la propria cifra narrativa forte, senza nascondersi dietro atteggiamenti velati intermedi che non portano alcun risultato. L’unico argine ai sovranismi bi-populisti rimane un pragmatico e rinvigorito fronte del cambiamento europeo, capace di mettere in primo piano l’urgenza di costruire un’Unione forte e funzionante per non soccombere di fronte alle intemperie globali e ai tanti “Nawrocki” sparsi in tutta Europa.
Il padre dello stato moderno polacco Józef Piłsudski amava ripetere “Unione o morte”. I soggetti da unificare oggi sono cambiati, ma il messaggio rimane identico.