La crisi costituzionale di Taiwan, i dazi di Trump e le manovre di Pechino

Nel cuore del Pacifico, Taiwan si trova al centro di una crisi costituzionale senza precedenti, segnata da tensioni crescenti tra il potere esecutivo e quello legislativo. Il paese sta attraversando una fase critica che mette alla prova la tenuta delle sue istituzioni democratiche. La violenza nelle aule parlamentari, l’inasprimento della retorica politica e le manovre legali aggressive stanno erodendo la legittimità del sistema e minacciando la stabilità interna dell’isola. Ma da dove nasce questa crisi?
Gli scontri fisici tra parlamentari, un tempo considerati episodi folcloristici della politica taiwanese, sono diventati la manifestazione più evidente di una frattura istituzionale più profonda. L’opposizione, guidata dal Kuomintang (KMT) e dal Taiwan People’s Party (TPP), detiene la maggioranza nel Legislative Yuan, mentre il Partito Democratico Progressista (DPP) controlla la presidenza ma si trova in minoranza in parlamento. Questo scenario ha trasformato il processo legislativo in un’arena di conflitti, con il DPP che tenta di bloccare votazioni cruciali e l’opposizione che approfitta della propria superiorità numerica per far avanzare provvedimenti destinati a limitare il potere presidenziale.
Uno dei punti più controversi riguarda una serie di emendamenti volti a rafforzare il ruolo del parlamento, aumentando i poteri di supervisione sul presidente e innalzando la soglia per la revoca di funzionari eletti. Il DPP ha cercato di fermare l’approvazione di queste misure, sostenendo che minano la stabilità politica e la sicurezza nazionale. Tuttavia, l’opposizione accusa il partito al governo di voler evitare un maggiore scrutinio e di abusare del proprio ruolo esecutivo per aggirare la volontà legislativa.
Giustizia e persecuzione politica: il caso Ko Wen-je
Parallelamente agli scontri parlamentari, il sistema giudiziario è diventato un ulteriore campo di battaglia politico. L’ex sindaco di Taipei e leader del TPP, Ko Wen-je, è stato arrestato con accuse di corruzione legate a progetti edilizi risalenti al suo mandato municipale. La rapidità con cui le autorità hanno portato avanti l’indagine, il lungo periodo di detenzione preventiva e la richiesta di una pena eccezionalmente severa hanno sollevato interrogativi sulla natura politica del procedimento.
Per i sostenitori di Ko, l’intera vicenda è una mossa orchestrata dal DPP per eliminare un avversario politico scomodo, che gode di una crescente popolarità e che ha attratto elettori sia del KMT che dell’elettorato indipendente. Il suo arresto ha provocato un’ondata di indignazione culminata in una manifestazione di massa, con decine di migliaia di cittadini scesi in piazza per denunciare quella che definiscono una “autoritarismo verde”, in riferimento al colore simbolo del DPP.

Il braccio di ferro tra governo e parlamento ha avuto ripercussioni anche sul sistema giudiziario. La Corte Costituzionale, che dovrebbe fungere da vero e proprio arbitro in questa crisi, sta operando con una composizione ridotta, a causa del mancato accordo sul rinnovo di sette dei suoi giudici. La mancata nomina di nuovi membri sta di fatto bloccando il funzionamento dell’organo, rendendo più difficile risolvere le controversie tra il presidente e il parlamento in modo imparziale.
Il recente tentativo della maggioranza parlamentare di innalzare il quorum per le decisioni della Corte Costituzionale è stato duramente criticato dal DPP, che lo considera un tentativo di paralizzare ulteriormente il sistema giudiziario. Tuttavia, gli oppositori sostengono che tali misure siano necessarie per evitare che un numero ridotto di giudici prenda decisioni su questioni di fondamentale importanza, come anche la difesa dell’isola.
Nel mentre che Taiwan affronta questa crisi interna, la situazione nello stretto continua ad evolversi velocemente. Per la prima volta sotto l’amministrazione Trump, una flotta della Marina degli Stati Uniti ha attraversato lo Stretto di Taiwan, segnando un chiaro segnale di sostegno a Taipei in un momento di crescente pressione da parte di Pechino. Questa mossa ha suscitato forti reazioni sia a livello internazionale che a Taiwan stessa, dove il governo del DPP l’ha interpretata come un’importante dimostrazione di solidarietà da parte di Washington.
Il Tycoon, nel frattempo, ha rilasciato dichiarazioni ambigue sulla sua posizione riguardo Taiwan, oscillando tra un sostegno verbale all’isola e la volontà di non compromettere i rapporti con Pechino. L’incertezza della politica statunitense aggiunge un ulteriore livello di complessità alla crisi, mentre Taipei cerca di mantenere un delicato equilibrio tra il rafforzamento delle relazioni con gli USA e la gestione della sua instabilità interna. Le parole di Trump hanno spaventato Taiwan, specialmente dopo l’annuncio di dazi che potrebbero colpire l’isola. Il presidente statunitense ha recentemente delineato un nuovo piano sanzioni affermando che gli Stati Uniti imporranno dazi equivalenti a quelli applicati da altri paesi sui beni americani. Tra i principali bersagli di questa politica figurano Cina, Giappone, Corea del Sud e Unione Europea, ma anche Taiwan, il cui ruolo nell’industria globale dei semiconduttori è stato esplicitamente messo sotto accusa. Trump ha dichiarato che “Taiwan ha portato via il nostro business dei chip” e ha minacciato nuove tariffe sulle importazioni di semiconduttori taiwanesi, nel tentativo di costringere la TSMC a trasferire la produzione negli Stati Uniti.
Le dichiarazioni del presidente hanno innescato il timore di un’escalation nelle tensioni commerciali tra Washington e Taipei. Il settore tecnologico taiwanese, pilastro dell’economia dell’isola, potrebbe subire un duro colpo qualora le politiche protezionistiche di Trump venissero attuate. Questo scenario ha messo in allarme il governo di Taipei, che teme gravi ripercussioni economiche e un deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, storico alleato contro le pressioni di Pechino.
La risposta di Lai Ching-te, i timori di Taiwan
La posizione di Taipei rimane quindi fragile: se da un lato il governo di Lai Ching-te continua a rafforzare i legami con Washington per garantirsi protezione da Pechino, dall’altro deve fare i conti con l’imprevedibilità di Trump e con l’impatto economico di un’eventuale guerra commerciale. Per evitare i dazi di Trump nel caso venissero attuati, Taiwan ha già iniziato a spostare parte delle sue esportazioni verso altri mercati. In particolare, le esportazioni taiwanesi verso il Messico sono aumentate del 479% a gennaio, con un picco nelle vendite di chip AI, nel tentativo di anticipare possibili tariffe statunitensi. Questa strategia ha portato a un calo della quota di esportazioni verso la Cina, che per la prima volta in 24 anni è scesa sotto il 30%, mentre il Messico è diventato un nuovo mercato chiave. Tuttavia, la crescente pressione sulle aziende taiwanesi, in particolare nel settore dei semiconduttori, rischia di mettere a repentaglio la stabilità dell’isola, già sotto costante minaccia da parte della Cina.
Taiwan deve far fronte ora ad un’onda d’urto politica interna che sta paralizzando risorse strategiche, come il budget per la difesa, bloccato dallo Yuan legislativo. Le mosse di Trump rischiano di infliggere un durissimo colpo alla stabilità economica di Taipei, mentre Pechino osserva da vicino, pronta a sfruttare ogni segnale di debolezza. Lai Ching-te fatica a trovare un equilibrio e sull’isola giungono venti di paura che non promettono niente di buono.