Dal conclave un messaggio chiaro: è ancora tempo di multilateralismo

Francesco Emanuele Celentano
09/05/2025
Frontiere

In un’epoca in cui la diplomazia arranca, la Chiesa ricorda (e dimostra) alla comunità internazionale che un compromesso non al ribasso è ancora possibile.

Maggio 2025. Ci ha messo meno il conclave ad eleggere un Papa che il Consiglio di Sicurezza ONU a concordare un’agenda. Ventiquattr’ore dopo l’inizio delle votazioni, con una fumata bianca arrivata al secondo giorno, la Chiesa cattolica ha annunciato il nome del 267º Pontefice: Leone XIV.
Statunitense con una lunga esperienza in Perù, il nuovo Papa ha salutato il mondo in italiano e in spagnolo (seconda lingua madre più parlata dopo il cinese). Una scelta non scontata, in un tempo in cui la lingua di Madrid è stata rimossa dai siti istituzionali USA per scelta dell’altro americano importante: il Presidente Trump. Ha parlato alla sua ex diocesi, quindi, ma anche ad una comunità internazionale in costante evoluzione.

Un compromesso in tempi brevi

Non sappiamo cosa sia accaduto dietro le porte della Cappella Sistina. Se ci siano stati veti, blocchi, contrapposizioni. Ma è certo che in poche ore i 133 cardinali, o almeno 89 di loro, hanno trovato una sintesi. Non un’anonima mediazione, ma una scelta riconoscibile.
In tempi in cui ogni consesso multilaterale fatica a adottare decisioni condivise, il metodo con cui è stato eletto il Papa è già un fatto politico. La Chiesa non è un mondo senza fratture. Le differenze tra i cardinali, per provenienza, cultura e sensibilità, non sono meno profonde di quelle che dividono i Paesi al G20 o nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Eppure, il meccanismo ha funzionato raggiungendo l’obiettivo comune della, più che speciale, riunione.
Una lezione per la politica internazionale, in cui, ormai, la logica dei blocchi si impone spesso sulla ricerca di convergenze.

Un nome che parla di pace e giustizia

Leone, come il Magno che trattò con Attila. Leone, come il XIII della Rerum Novarum, l’enciclica che mise al centro il lavoro e la dignità dei più deboli. La scelta del nome dice sempre molto delle intenzioni del nuovo Papa: in questo caso, sembra, si tratti di inseguire la pace, ascoltare chi lavora, restituire dignità a chi non ha voce in un mondo diviso dalle diversità e sempre più ricco di disuguaglianze.
Nel suo primo saluto non ha parlato di geopolitica, ma ha usato una parola chiave: pace. Un richiamo forte, in tempi in cui la guerra torna a essere percepita come normale, se non inevitabile. Il predecessore, Francesco, parlava di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Leone XIV ne eredita il peso. Ma lo fa da un punto di vista diverso: non quello europeo o “occidentale”, bensì quello di chi ha conosciuto da vicino la marginalità globale pur essendo cittadino di una superpotenza e avendo vissuto al centro della Chiesa di Roma.

Il Papa della frontiera

Americano, ma non di potere. Formato spiritualmente in un ordine — quello agostiniano — che ha come pilastri interiorità, comunità e carità. Leone XIV ha attraversato il Sud globale da missionario, non da funzionario. Conosce la povertà urbana, i flussi migratori, le tensioni sociali. È un Papa che non appartiene né al Sud né al Nord, ma che ha vissuto entrambi.
Questo lo rende una figura di passaggio, forse di connessione, tra le élite e le periferie, tra chi ha molto e chi deve costruire con poco, in condizioni spesso ostili; pontifex, appunto.
In un tempo multipolare, in cui ogni crisi rischia di irrigidirsi in un blocco, il nuovo Vescovo di Roma offre un altro modello: non l’unità imposta, ma il dialogo tra diversi.

Il multilateralismo, ancora possibile

Dopo la Seconda guerra mondiale, le istituzioni multilaterali hanno permesso a interessi divergenti di convivere. Non hanno cancellato i conflitti, ma li hanno contenuti scongiurando il ripetersi di uno scontro globale. Oggi quel modello è evidentemente in crisi. L’ONU è paralizzata, l’Organizzazione mondiale del commercio ignorata e quella della Sanità dileggiata, la cooperazione regionale ormai inceppata.
L’elezione di Leone XIV non è una soluzione a questi problemi, ma un promemoria. Le differenze non impediscono l’accordo, se si riconosce che il fine è condiviso. E i grandi trattati internazionali del secondo Novecento, il secolo delle guerre, lo hanno dimostrato. La Chiesa, con tutte le sue complessità, ha mostrato che ancora oggi si può decidere insieme anche in presenza di visioni diverse.
Non serve uniformità né tanto meno unanimità. Serve volontà o, come direbbe qualcuno in Vaticano, lo Spirito Santo. In assenza, basterebbe almeno un po’ di buona volontà.