Russia e Iran, avevano ragione i neocon: la politica internazionale non è business

Carmelo Palma
17/06/2025
Poteri

In una intervista sul Corriere della Sera Bill Kristoll, saggista e figlio di Irving, uno dei padri della filosofia neocon, si toglie qualche sassolino dalla scarpa rilevando come la storia recente non dimostri il fallimento di una strategia “interventistica”, anche di tipo militare, degli Usa nelle principali aree di crisi, ma al contrario confermi la necessità di un ruolo globale per gli Stati Uniti, anche nell’interesse dei cittadini statunitensi. È difficile dargli torto.

Per qualche decennio destre e sinistre isolazioniste, unite dall’opzione pacifista e da un approccio negoziale sostanzialmente affaristico alle relazioni internazionali, hanno screditato gli intellettuali neocon, accusandoli di essere stata la causa dell’impazzimento post 11 settembre. La storia si è ora incaricata di smentire l’illusione che la guerra si sarebbe placata nel momento in cui gli americani avessero cessato di fare i gendarmi del mondo e l’Occidente avesse rinunciato alla pretesa di rappresentare un modello politico universale. 

Non c’è focolaio di guerra e di disordine che oggi non nasca sostanzialmente dalla ritirata dell’alleanza euro-atlantica da scenari che, secondo la vulgata antimperialista di destra e di sinistra, non le appartengono e che devono essere lasciati alla loro evoluzione “naturale”. 

Per stare alle minacce più prossime, naturale è stata la putrefazione del regime siriano, naturale l’espansionismo russo in Est Europa, Nordafrica e Medioriente, naturalissima la strategia sciita contro Israele, gli stati arabi e il grande Satana americano. Il risultato? L’endemizzazione della guerra e l’impossibilità di stabilizzare un ordine compatibile con gli interessi del mondo libero attraverso una strategia di concessioni ai nemici del mondo libero. 

I neocon avevano anche ragione quando sostenevano che l’ordine internazionale non è la semplice risultante aritmetica di rapporti di potenza, ma ha un fondamento essenzialmente politico-culturale e che gli stati non si muovono secondo un principio di astratta razionalità economica, bensì seguendo le linee di ciò che classi dirigenti e opinioni pubbliche giudicano come la propria missione e il proprio ruolo storico. 

L’illusione del realismo e la resa dell’Occidente

Anche se hanno fallito nell’obiettivo di esportare la democrazia, i neocon avevano ragione a sostenere che la sicurezza dell’Occidente era comunque condizionata dalla possibilità di imporre in partibus infidelium imporre culture e pratiche politiche se non collimanti, almeno compatibili con quelle occidentali. Proprio la Russia e l’Iran sono l’esempio del fallimento della dottrina “realistica”, che riduce le relazioni internazionali a un negoziato d’affari come un altro, in cui con un accorto do ut des le parti possono darsi reciproche garanzie e soddisfazioni. Ma la Russia di Putin e l’Iran degli Ayatollah non hanno mai avuto interessi semplicemente concorrenti con quelli dell’Occidente, hanno avuto sempre l’obiettivo di batterlo e di riprendersi quel che ritenevano avesse usurpato: da una parte le terre ex sovietiche, dall’altra le terre dell’Islam.

Trump è il presidente meno adatto a gestire questa sfida esistenziale dell’Occidente, non solo perché è una persona moralmente corrotta e intellettualmente cieca, ma perché è egli stesso il prodotto dell’alienazione occidentale, che porta a contrapporre ruolo globale e interesse nazionale a crogiolarsi nell’allucinazione di un Occidente che si salva rinnegando se stesso e diventando sempre più simile ai propri nemici e a disprezzare la società aperta e lo stato di diritto come colpevoli debolezze nella lotta per la sopravvivenza.