Cosa dicono davvero i sondaggi sui russi e la guerra
Quando cercano di convincermi che il 146% dei russi sosterebbe la guerra mostrando i sondaggi, io sospiro dentro di me.
Ricordiamoci per un attimo che non è affatto nella natura dei popoli voler la guerra.
Perché mai dovrebbero?
Non lo dico io, lo disse Hermann Göring, comandante della Luftwaffe: “Naturalmente, la gente comune non vuole la guerra — né in Russia, né in Germania, né in Inghilterra, né in America, né in nessun altro Paese. Perché mai un povero contadino dovrebbe rischiare la vita in guerra, quando il meglio che può ottenere è tornare a casa sano e salvo? Ma, ovviamente, tutti i popoli alla fine sostengono i loro leader. È facile. Basta dir loro che sono sotto attacco.”
Ecco la domanda: Putin e i suoi sono riusciti a convincere i russi che sono sotto attacco?
No, non ci sono riusciti.
Per questo sono costretti a pagare somme enormi perché la gente vada a combattere (e questa gente non è percepita dal popolo come difensori, anzi!).
Poi naturalmente, nei regimi autoritari come la Russia, ciò che le persone dichiarano nei sondaggi spesso non riflette le loro vere opinioni, ma piuttosto ciò che ritengono sicuro dire, per paura della repressione. Ma se proprio volete trarre conclusioni dai sondaggi, almeno leggeteli veramente.
Davvero, ragazzi: provate a leggere almeno per intero questi sondaggi. Leggetene diversi.
E vi si aprirà davanti un quadro tragicomico di schizofrenia collettiva:
“La guerra è giusta, l’abbiamo iniziata bene, la stiamo combattendo con successo, il presidente ha ragione su tutto…” però “La guerra non finirà presto” (strano, se stiamo vincendo). “Bisogna avviare negoziati di pace” (perché mai, se sta andando tutto bene?).
Oltre l’80% degli intervistati appoggerebbe una decisione pacifica presa da Putin (tradotto: “Appoggiamo qualsiasi cosa, basta che ci lasciate in pace”). Più della metà sarebbe d’accordo con un cessate il fuoco senza condizioni (di nuovo: perché, se tutto va alla grande?).
La maggioranza “non sa rispondere” quando viene chiesto quali sarebbero per loro le condizioni di pace desiderabili, accettabili o probabili (tradotto: “non ci importa più, basta che finisca”).
Vi sembrano davvero risposte da sostenitori entusiasti della guerra?
A me sembrano piuttosto le risposte di un popolo sfinito, che ha ben capito come bisogna rispondere per non avere problemi.
Entusiasmo sanguinario? Non pervenuto.
In più, ci sono sondaggi sui cosiddetti “eroi dell’operazione speciale”, e cosa ne pensa la gente?
Che sono persone che sono andate a combattere per soldi.
Non sono percepiti come difensori, perché nessuno li ha mandati a difendere nulla. Secondo molti, non meritano privilegi, e anzi il loro ritorno a casa preoccupa, perché “hanno l’anima paralizzata”.
Sembra davvero l’immagine di eroi difensori dipinta dalla propaganda?
No. Sembrano più dei potenziali problemi da evitare.
Guardate le classifiche di popolarità dei politici: i più apprezzati sono Mishustin, Sobyanin, Kirienko, Siluanov. Li avete mai sentiti esaltare la guerra? O invitare ad arruolarsi e morire per la patria?
Mai.
Quando parlano della guerra, lo fanno solo in termini amministrativi e tecnici. Ammesso che ne parlino.
E perché mai, se fosse una causa popolare?
Un politico sfrutta sempre i temi più sentiti per ottenere consenso. Ebbene, il tema della guerra lo evitano tutti.
E i “veterani” tanto celebrati dalla propaganda non vengono spinti verso la politica, nonostante le promesse: la gente non li voterebbe.
Insomma, la Russia non è un paese entusiasta della guerra: è un paese spaventato, passivo, e profondamente disilluso.
La propaganda non ha generato un’ideologia totalitaria alla maniera del nazismo. Ha generato qualcosa di più sottile e velenoso: apatia, rassegnazione e senso di impotenza.
Per chiarezza: tutto questo non è una giustificazione. Ma nemmeno ha senso rappresentare la società russa come un popolo assetato di sangue e desideroso della guerra.
Anche i sondaggi ufficiali non mostrano questo quadro. E nella realtà quotidiana si vede ancora meno.
La paura è reale, ma non produce consenso. Produce silenzio. E il silenzio non è sostegno.









