Potevamo prendere la Palla al balzo

Rubrica a cura di Matteo Grossi
04/10/2025
Poteri

Vi presentiamo “L’Italia dentro”, la rubrica settimanale de L’Europeista a cura di Matteo Grossi. Ogni sabato leggiamo l’Italia con occhi diversi: non come un Paese chiuso nei propri confini, ma come parte integrante di un progetto più grande. Politica, economia, società: l’Italia è spesso un laboratorio di tutto ciò che può andare benissimo, o malissimo, in Europa, in Occidente e nel mondo. La rubrica ha un tono volutamente provocatorio, perché scuotere convinzioni consolidate e smontare i luoghi comuni è l’unico modo per stimolare un dibattito serio. L’obiettivo non è compiacere, ma mettere in discussione, anche in modo scomodo, i nodi irrisolti della nostra democrazia.


In Germania, un’italiana di Bolzano prende in mano le rotaie delle ferrovie pubbliche. Evelyn Palla, manager cresciuta all’estero ma di chiare origini italiane, è stata nominata alla guida della Deutsche Bahn. Sarà la prima donna a dirigere il colosso tedesco, con un compito ben chiaro: rimettere sui binari un sistema ferroviario che da orgoglio nazionale è diventato simbolo del declino infrastrutturale.

Partiamo con una battuta: gli italiani migliori ce li lasciamo scappare all’estero, gli altri li mandiamo spesso in politica.

Certo, anche in Germania i problemi non mancano. Deutsche Bahn è piegata dai ritardi cronici (solo il 62% dei treni sono arrivati in orario lo scorso anno), da guasti, cantieri infiniti, carenza di personale e da una montagna di debiti pari a circa 22 miliardi. Tuttavia, di fronte a tutto questo, il governo tedesco ha avuto la lucidità e il coraggio di cambiare. Il ministro dei Trasporti Patrick Schnieder ha rimosso l’amministratore delegato uscente, Richard Lutz, e ha messo al comando proprio lei: Evelyn Palla, che dal 2022 guidava i trasporti regionali, che sono l’unico comparto a funzionare per davvero, con un tasso di puntualità vicino al 90%.

In conferenza stampa, Palla ha detto parole chiare: “La Deutsche Bahn deve cambiare. Deve diventare più chiara, più coraggiosa, più veloce. E noi la cambieremo“. Il governo tedesco non si limita agli annunci ma ha stanziato oltre 100 miliardi per le infrastrutture ferroviarie entro il 2029, e una parte del fondo speciale da 500 miliardi, approvato con la riforma del freno al debito, sarà dedicata proprio ai trasporti su rotaia. Di più, i bonus dei dirigenti saranno legati direttamente alla puntualità dei treni. Non è una rivoluzione, piuttosto una semplice gestione. E anche seria.

Per paradosso, in Italia accade il contrario: l’alta velocità – nonostante tutto – è considerata un’eccellenza mondiale, frutto di una liberalizzazione che ha prodotto concorrenza e qualità. Il mercato funziona, lo Stato no: le ferrovie regionali – quelle vere, quelle dei pendolari – sono invece un inferno quotidiano.

I treni sono in ritardo, sporchi, sovraffollati. I guasti vengono riparati solo quando il treno è già fermo. La manutenzione preventiva è un concetto sconosciuto. Gli annunci si sprecano, le inaugurazioni pure, ma i passeggeri vivono sulla loro pelle la realtà di ritardi sistemici dove nessuno voglia metterci mano.



Il ministro dei Trasporti – chiunque sia, oggi o domani – appare e scompare come un fantasma. Nessun piano industriale, nessun vincolo di responsabilità, nessuna idea chiara sul da farsi. È tutto lasciato al caso, o al consenso. E nel frattempo, chi ha talento e visione se ne va. Evelyn Palla non è un’eccezione anzi, è l’esempio di un’Italia che funziona solo quando smette di essere gestita all’italiana.

E Palla non è sola. Prendiamo un altro caso emblematico: quello di Mauro Ferrari, scienziato italiano di fama internazionale, chiamato a guidare il Consiglio Europeo della Ricerca nel 2020. Laureato in Italia, ha costruito la sua carriera negli Stati Uniti diventando uno dei massimi esperti mondiali di nanotecnologie applicate alla medicina. Eppure, nel nostro Paese, il suo nome è quasi sconosciuto. L’abbiamo ignorato quando avrebbe potuto contribuire in modo decisivo alla ricerca italiana, specialmente in ambito biomedico. All’estero, invece, lo hanno scelto per guidare uno dei più prestigiosi enti di ricerca al mondo. Poi, certo, le vicende politiche e burocratiche europee lo hanno fatto dimettere poco dopo – ma resta il fatto: non è stata l’Italia a cercarlo, a valorizzarlo, a coinvolgerlo. Semplicemente, non c’è spazio per chi ha troppa competenza e troppa indipendenza.

All’estero c’è ancora chi sceglie i dirigenti pubblici in base ai risultati. Da noi si preferisce chi ha i contatti giusti. In Germania, per rimettere in piedi una macchina inceppata, hanno promosso chi ha fatto funzionare l’unico pezzo ancora efficiente. Da noi si premia chi sa dire che è colpa di qualcun altro.

Il treno del cambiamento in Italia passa raramente. E quando passa, è in ritardo. O guasto. O soppresso. La lezione tedesca – e non solo – ci insegna che i problemi si risolvono scegliendo chi li sa affrontare, non chi li racconta meglio.

E finché in Italia non torneremo a credere che la competenza conta più della propaganda, continueremo a perdere i treni migliori. E i passeggeri migliori.