Potenza e deterrenza: il piano francese per l’Europa (ma l’Italia non s’è desta)

Nel discorso tenuto il 13 luglio all’Hôtel de Brienne, alla vigilia della festa nazionale francese, il Presidente Emmanuel Macron ha delineato una visione netta: la sicurezza dell’Europa non può più essere delegata. L’intervento, rivolto formalmente alle forze armate francesi, è stato in realtà un messaggio politico a tutta l’Europa. Un discorso che rivendica un’identità strategica per il continente e propone la Francia come perno di questa trasformazione.
Macron ha scelto di parlare con toni gravi ma misurati. Non ha nascosto la sua preoccupazione per l’instabilità globale, né la consapevolezza che i prossimi anni potrebbero essere segnati da conflitti ad alta intensità anche sul suolo europeo. Senza cedere a proclami roboanti, ha rivendicato con determinazione il ruolo della Francia come attore capace di guidare – insieme ad altri – un rafforzamento sostanziale della difesa europea. È un richiamo alla responsabilità, più che un appello all’orgoglio nazionale.
Verso una dottrina europea della difesa
Il cuore del discorso di Macron è una diagnosi precisa della fase storica in cui ci troviamo: un’epoca di transizione, in cui gli equilibri del secondo dopoguerra si stanno sgretolando. La Russia è una minaccia permanente ai confini dell’Europa. Il Medio Oriente è teatro di crisi continue e di fratture profondissime. L’Africa è completamente destabilizzata. Le guerre si ibridano, lo spazio, il cyberspazio e la sfera cognitiva diventano nuovi domini operativi. In questo scenario, Macron delinea una strategia di adattamento e resistenza, che passa per un rafforzamento delle capacità militari, industriali e tecnologiche.
Il raddoppio del bilancio della difesa francese entro il 2027 – dai 32 miliardi del 2017 ai 64 previsti – è l’espressione concreta di questa strategia. Ma la vera novità sta nell’approccio multilaterale: la Francia non parla più solo per sé stessa, ma propone un modello di cooperazione europea articolata. Non si limita a invocare più spesa: chiede che l’Europa produca di più, innovi insieme, investa nella propria autonomia strategica. E annuncia che il proprio ombrello nucleare potrà avere un ruolo nella sicurezza collettiva.
Macron non arriva a parlare esplicitamente di esercito europeo, ma i segnali sono inequivocabili: una difesa integrata, dottrine condivise, industriali comuni, strumenti di deterrenza multilivello. È un messaggio rivolto a chi, in Europa, è pronto a compiere un salto di qualità.
L’Italia assente e non percepita: un fatto politico
Un passaggio del discorso ha colpito per la sua assenza significativa. Quando Macron cita i principali alleati con cui rafforzare il coordinamento strategico – Germania e Regno Unito – l’Italia non è menzionata. Non si tratta, a ben vedere, di una dimenticanza. È la conseguenza di un’ambiguità reale che il nostro Paese trasmette oggi sul piano della politica estera e di difesa.
Un’ambiguità che riguarda sia il governo sia l’opposizione. La politica italiana continua a oscillare tra europeismo a parole e immobilismo nei fatti, tra un atlantismo passivo e una sovranità proclamata ma mai tradotta in proposta. L’Italia è rimasta al margine dei grandi dossier europei sulla difesa comune, non per mancanza di mezzi o competenze, ma per assenza di una linea politica chiara e continua.
Eppure, il nostro Paese avrebbe molto da dire. Non solo per la sua collocazione geografica – al centro del Mediterraneo – ma per la solidità della sua industria militare, per la qualità della sua diplomazia, per l’esperienza nei teatri internazionali. Tuttavia, in assenza di un orientamento strategico, l’Italia rischia di essere esclusa dai processi decisionali più rilevanti, come già avviene in parte oggi.
Difesa comune, dissuasione condivisa
L’offerta – ancora abbozzata ma politicamente rilevante – che la Francia mette sul tavolo è quella di una dissuasione nucleare condivisa. È una proposta che apre un capitolo finora rimasto fuori dal dibattito europeo: il ruolo della deterrenza atomica nel futuro dell’Europa. Se la Francia intende davvero porsi come garante della sicurezza continentale, la questione della condivisione di prerogative e responsabilità sarà inevitabile.
Un passo di questo tipo, per quanto graduale, implica una riflessione seria sulla costruzione di un esercito europeo vero e proprio, con un comando politico e militare unitario, una catena di comando condivisa e una visione strategica comune. In questo senso, la Francia non potrà sottrarsi all’evoluzione istituzionale di lungo periodo che una tale apertura comporta.
Il rischio, in caso contrario, è che l’Europa resti un mosaico di eserciti nazionali coordinati tra loro, ma senza un vero potere politico unitario, né capacità di reazione rapida in scenari complessi. La difesa europea non può essere solo una somma di buone intenzioni: ha bisogno di una visione, ma anche di una struttura.
Una chiamata alla responsabilità
Il discorso del 13 luglio è stato dunque più di un discorso militare: è stato un discorso europeo, pronunciato da un leader che cerca – con i limiti e le contraddizioni del caso – di assumere la responsabilità politica della trasformazione strategica del continente. Macron non pretende di dettare la linea a tutti, ma si candida a fare da catalizzatore per chi, in Europa, condivide l’urgenza di una svolta.
L’Italia, da questo punto di vista, è a un bivio. Può restare in posizione attendista, limitandosi a dichiarazioni formali e a una presenza di basso profilo nei teatri internazionali. Oppure può rientrare nel nucleo di Paesi che definiscono l’Europa del futuro, rilanciando una visione chiara, autonoma, costruttiva sul piano della sicurezza comune.
Nel 75° anniversario della NATO e a 70 anni dalla Comunità europea di difesa mai nata, l’Europa ha bisogno di una nuova architettura militare, e anche politica. Serve coerenza. Serve volontà. Serve coraggio. Macron ha provato a mettere sul tavolo uno schema possibile. Spetta ora agli altri – Italia compresa – decidere se rispondere.
