Perché la pace dei “due popoli, due stati” richiede il disarmo nucleare dell’Iran

Daniele Nahum, consigliere comunale di Milano
22/06/2025
Orizzonti

La distruzione dei tre siti nucleari iraniani da parte degli Stati Uniti, avvenuta questa notte, rappresenta un passo decisivo verso la sicurezza globale. È un’azione che segna una chiara linea di demarcazione tra chi difende la libertà e chi, mascherandosi dietro parole come “pace” e “diplomazia”, finisce troppo spesso per fare il gioco degli aggressori. In queste ore abbiamo visto cortei, appelli, lenzuola arcobaleno sventolate in piazza contro l’intervento israelo-americano, contro il riarmo europeo, contro l’unico strumento reale che le democrazie hanno per difendersi. E dobbiamo dirlo chiaramente: tutto questo non contribuisce in alcun modo alla pace. Al contrario, incoraggia l’aggressività degli autocrati e alimenta la corsa verso nuovi conflitti.

La storia, purtroppo, si ripete. Le generazioni cambiano, ma i pacifisti sembrano sempre uguali: nel 1938 esultavano per gli Accordi di Monaco, offrendo a Hitler il tempo e il consenso per armarsi e devastare l’Europa; negli anni ’80 scesero in piazza contro l’installazione degli euromissili, lasciando l’Europa vulnerabile di fronte alla minaccia sovietica; oggi, si oppongono al rafforzamento della difesa europea, proprio mentre affrontiamo un’epoca di instabilità globale in cui l’Europa non può più permettersi di essere ingenua o disarmata. Esiste un filo rosso che attraversa tutte queste stagioni: l’incapacità di riconoscere da che parte sta la minaccia. E quella cecità ha sempre avuto un prezzo.

Il programma nucleare iraniano non è un semplice dossier di politica estera: è una minaccia reale, immediata e destabilizzante per l’intero Medio Oriente. Non riguarda solo Israele, benché Israele ne sia il bersaglio più diretto. Riguarda anche i popoli arabi, minacciati dalla proiezione militare dell’Iran attraverso Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, e gli Houthi nello Yemen. Riguarda soprattutto il popolo iraniano, che da decenni vive sotto un regime teocratico e autoritario, che reprime ogni forma di dissenso, nega diritti fondamentali alle donne e investe in armi e milizie mentre milioni di cittadini sprofondano nella povertà.

L’azione condotta dagli Stati Uniti non è una dichiarazione di guerra: è un atto di dissuasione, di contenimento e di responsabilità. Smantellare le infrastrutture nucleari di un regime che ha fatto dell’aggressione e della destabilizzazione una dottrina è un passo necessario per evitare una corsa agli armamenti nella regione. È, paradossalmente, un atto di pace. Perché non c’è pace possibile senza sicurezza. E non c’è sicurezza possibile finché il regime iraniano punta a dotarsi dell’arma atomica.

Naturalmente, la politica deve riprendere il suo ruolo. La fase successiva a quest’azione militare deve essere quella del rilancio del dialogo. È ora di ridare slancio agli Accordi di Abramo, di costruire nuove relazioni tra Israele e il mondo arabo, di lavorare concretamente per una soluzione negoziata e sostenibile del conflitto israelo-palestinese. Una soluzione che preveda due Stati per due popoli, in confini sicuri e riconosciuti, con piena sovranità e pari dignità. Ma questo orizzonte, oggi, non è possibile finché un attore regionale come l’Iran semina guerra e distruzione su più fronti.

Siamo a un bivio. Da una parte ci sono le democrazie, che faticano ma resistono, si interrogano e si correggono. Dall’altra parte ci sono regimi che non tollerano dissenso, che armano fanatici, che minacciano l’esistenza di interi popoli. Schierarsi non dovrebbe essere difficile. E invece una parte dell’opinione pubblica continua a cadere nella trappola di un pacifismo cieco, ideologico, incapace di leggere la realtà.

La pace non è assenza di guerra. È costruzione di un ordine giusto. E per essere giusto, un ordine deve essere difendibile.