Perché la pace dei “due popoli, due stati” richiede il disarmo nucleare dell’Iran

La distruzione dei tre siti nucleari iraniani da parte degli Stati Uniti, avvenuta questa notte, rappresenta un passo decisivo verso la sicurezza globale. È un’azione che segna una chiara linea di demarcazione tra chi difende la libertà e chi, mascherandosi dietro parole come “pace” e “diplomazia”, finisce troppo spesso per fare il gioco degli aggressori. In queste ore abbiamo visto cortei, appelli, lenzuola arcobaleno sventolate in piazza contro l’intervento israelo-americano, contro il riarmo europeo, contro l’unico strumento reale che le democrazie hanno per difendersi. E dobbiamo dirlo chiaramente: tutto questo non contribuisce in alcun modo alla pace. Al contrario, incoraggia l’aggressività degli autocrati e alimenta la corsa verso nuovi conflitti.
La storia, purtroppo, si ripete. Le generazioni cambiano, ma i pacifisti sembrano sempre uguali: nel 1938 esultavano per gli Accordi di Monaco, offrendo a Hitler il tempo e il consenso per armarsi e devastare l’Europa; negli anni ’80 scesero in piazza contro l’installazione degli euromissili, lasciando l’Europa vulnerabile di fronte alla minaccia sovietica; oggi, si oppongono al rafforzamento della difesa europea, proprio mentre affrontiamo un’epoca di instabilità globale in cui l’Europa non può più permettersi di essere ingenua o disarmata. Esiste un filo rosso che attraversa tutte queste stagioni: l’incapacità di riconoscere da che parte sta la minaccia. E quella cecità ha sempre avuto un prezzo.
Il programma nucleare iraniano non è un semplice dossier di politica estera: è una minaccia reale, immediata e destabilizzante per l’intero Medio Oriente. Non riguarda solo Israele, benché Israele ne sia il bersaglio più diretto. Riguarda anche i popoli arabi, minacciati dalla proiezione militare dell’Iran attraverso Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, e gli Houthi nello Yemen. Riguarda soprattutto il popolo iraniano, che da decenni vive sotto un regime teocratico e autoritario, che reprime ogni forma di dissenso, nega diritti fondamentali alle donne e investe in armi e milizie mentre milioni di cittadini sprofondano nella povertà.
L’azione condotta dagli Stati Uniti non è una dichiarazione di guerra: è un atto di dissuasione, di contenimento e di responsabilità. Smantellare le infrastrutture nucleari di un regime che ha fatto dell’aggressione e della destabilizzazione una dottrina è un passo necessario per evitare una corsa agli armamenti nella regione. È, paradossalmente, un atto di pace. Perché non c’è pace possibile senza sicurezza. E non c’è sicurezza possibile finché il regime iraniano punta a dotarsi dell’arma atomica.
Naturalmente, la politica deve riprendere il suo ruolo. La fase successiva a quest’azione militare deve essere quella del rilancio del dialogo. È ora di ridare slancio agli Accordi di Abramo, di costruire nuove relazioni tra Israele e il mondo arabo, di lavorare concretamente per una soluzione negoziata e sostenibile del conflitto israelo-palestinese. Una soluzione che preveda due Stati per due popoli, in confini sicuri e riconosciuti, con piena sovranità e pari dignità. Ma questo orizzonte, oggi, non è possibile finché un attore regionale come l’Iran semina guerra e distruzione su più fronti.
Siamo a un bivio. Da una parte ci sono le democrazie, che faticano ma resistono, si interrogano e si correggono. Dall’altra parte ci sono regimi che non tollerano dissenso, che armano fanatici, che minacciano l’esistenza di interi popoli. Schierarsi non dovrebbe essere difficile. E invece una parte dell’opinione pubblica continua a cadere nella trappola di un pacifismo cieco, ideologico, incapace di leggere la realtà.
La pace non è assenza di guerra. È costruzione di un ordine giusto. E per essere giusto, un ordine deve essere difendibile.
