Il giornalista che sfida le censure di Meta. Parla Mariano Giustino

Filippo Rigonat
11/06/2025
Poteri

Mariano Giustino,  corrispondente da Ankara per Radio Radicale dal 2010. Articolista specializzato in questioni mediorientali per diverse testate italiane, tra cui Il Foglio, Huffington Post e L’Altravoce. Giornalista professionista dal 1999.

Voce italiana di riferimento “dal campo” relativamente alla politica turca e mediorientale, anche grazie alla divulgazione del suo lavoro sui social. Da quattro giorni a questa parte i profili professionali Instagram e Facebook di Giustino non sono più visibili agli utenti, a causa della dichiarata incompatibilità dei contenuti diffusi con gli standard della Community stabiliti da Meta.

Di fronte alla palese violazione della libertà di informazione e dell’integrità professionale dei giornalisti, abbiamo deciso di interpellare il diretto interessato per approfondire meglio la questione.


Nota di redazione: L’intervista è stata registrata e trascritta poche ore prima della riabilitazione degli account di Giustino da parte di Meta, avvenuta grazie alla pressione pubblica e istituzionale. Riportiamo comunque la conversazione integrale, per rimarcare l’importanza degli organi di stampa liberi di fronte a una situazione emblematica di censura arbitraria compiuta dalla più grande piattaforma tecnologica globale ai danni di un nostro collega.


INTERVISTA A MARIANO GIUSTINO, DA ANKARA

Il 7 giugno scorso la piattaforma META di Mark Zuckerberg le notificava con uno scarno messaggio la disabilitazione dei suoi account professionali a causa di ripetute violazioni degli Standard della Community. A che contenuti in particolare si riferisce Meta e quali criteri sarebbero stati violati nei suoi post?

Sono stato disabilitato con una motivazione del tutto fumosa e sibillina. Meta sostiene di aver controllato a più riprese la mia attività social, riguardante esclusivamente le mie corrispondenze giornalistiche, giudicandola irrispettosa degli standard della piattaforma. Meta non specifica quali siano questi standard, nè nel messaggio di disabilitazione nè sulle proprie pagine. Si riferisce genericamente ad “attività violente” riportanti istigazione all’odio, minacce e reati contro l’umanità. Nell’oscurare tale attività, la piattaforma non fornisce alcuna spiegazione di metodo e di merito, consegnando agli utenti il fatto compiuto senza possibilità di contestazione.

L’ultimo mio post riguardava un mio articolo pubblicato sul quotidiano L’Altravoce nel quale ho denunciato le fake news di Hamas a Gaza secondo le quali Israele avrebbe aperto il fuoco contro la popolazione civile in un sito di distribuzione di aiuti. Notizia che era stata smentita da tutti i maggiori media internazionali. In linea con la mia professione, non ho mai dato notizie non verificate o infondate; e quale sia l’autorità o il criterio di fact-checking della company statunitense per smentirmi e silenziarmi è a me sconosciuto.

Nel corso di questi anni sono stato spesso oggetto di censura da parte dei social, Facebook e Twitter. Ero stato già bandito una volta nel 2020 dall’allora Facebook Inc per circa due mesi, sempre per motivi riguardanti la documentazione delle pratiche repressive contro l’opposizione in atto in Turchia. Solo dopo una lunga azione di denuncia istituzionale, il mio account fu ripristinato. Oggi invece non sono a conoscenza delle motivazioni del ban, e la decisione viene presentata come inappellabile, se non in un contesto giudiziario, a cui ovviamente ricorrerò.

Dunque abbiamo a che fare con una big-tech privata, Meta, dotata di piattaforme social di massa su cui tutti i professionisti dell’informazione si appoggiano per diffondere il loro lavoro, rilanciando i contenuti stampa. Dal momento in cui Meta si arroga il diritto di oscuramento dell’attività giornalistica, siamo di fronte a un pericoloso cortocircuito? In che modo si può ovviare a questa palese onnipotenza incontrollata?

La mia espulsione da Meta è avvenuta per ragioni politiche. Non avendo postato nulla di offensivo o violento contro nessun individuo, è chiaro che è stata espressa una censura, perdipiù nei confronti un giornalista accreditato presso gli organi internazionali di stampa. I miei account sono finalizzati solo alla diffusione della mia attività lavorativa, non contenendo nulla di privato, pertanto i contenuti espressi sono a tutti gli effetti riconducibili alla mia professione, tutelata internazionalmente come garante del diritto umano alla libera informazione.

L’azione censoria evade la facoltà di garanzia in capo a Meta rispetto ai contenuti diffusi, consistendo in una vera e propria violazione della libertà di espressione. Il fatto che una piattaforma privata rivendichi il diritto di stabilire cosa è pubblicabile e cosa no, senza dettagliata motivazione e possibilità di contraddittorio, è gravissimo e inaccettabile.

Per questo è necessario e doveroso rivolgersi alle autorità politiche, italiane ed europee. E’ loro competenza difendere la libertà dei cittadini di esprimersi ed informarsi, e sono dotate dell’autorevolezza istituzionale necessaria a dialogare con tutti i soggetti interessati per garantire il rispetto di questi diritti fondamentali. Non è solo una questione personale dunque, ci riguarda tutti direttamente.

E’ evidente la marcata politicizzazione delle logiche dietro gli algoritmi delle big-tech. In che modo alcuni governi ricattano le piattaforme? Oltre a questo, vista ad esempio la centralità di Erdogan nello scacchiere diplomatico, non crede che questo tipo di influenza condizioni la reazione delle autorità internazionali?

Gli autocrati minacciano tangibilmente le piattaforme per impedire la diffusione di voci critiche contrarie al loro regime. In Turchia, sono state approvate leggi ad hoc contenenti regole molto stringenti relative alla libertà di informazione. I gestori dei social network possono incorrere in pesanti sanzioni o addirittura all’oscuramento in tutto il territorio nazionale. Da questo vincolo nasce la complicità di tutte le piattaforme- escluso X- con il governo di Ankara. A riprova di ciò, migliaia di profili X di media indipendenti e autorevoli giornalisti sono stati oscurati dalle autorità turche.

Rispondendo alla seconda parte della sua domanda, mi sento fiducioso. Nutro la speranza che il governo italiano, visti i suoi ottimi rapporti con la Turchia, utilizzi le sue leve per convincere il governo Erdogan a rispettare i diritti umani fondamentali.

Ormai da quindici anni vive ad Ankara raccontando la Turchia, il medioriente e il Caucaso. Da giornalista, che percezione ha rispetto alla libertà di informazione nel paese. E poi, come vive quotidianamente la sua professione in tale scenario?

La Turchia, secondo tutti gli indici delle organizzazioni internazionali competenti, è il paese con il più elevato numero di giornalisti in carcere. Calcoliamo che le carceri turche contengono più di quattrocento mila prigionieri. Decine di migliaia sono prigionieri politici. Tanto che, attualmente, sono detenuti tutti e tre più importanti leader di opposizione.  

Fare il giornalista in Turchia richiede un grande senso del dovere professionale. Soprattutto per chi come me lo fa senza veline e autocensure. Purtroppo, sono l’unico giornalista italiano ad operare in Turchia documentando quotidianamente la dura repressione autocratica, dando voce a chi non ne ha.

L’integrità professionale impone di raccontare, con prove e testimonianze, tutto quello che accade, senza essere condizionati da pressione alcuna. Ci sono stati casi di diversi colleghi stranieri, come Mark Lowen della BBC, ai quali non è stata rinnovata l’annuale tessera stampa concessa dal governo turco per operare, determinando la conseguente espulsione dal paese.

In conclusione, che reazione ha percepito da parte dei suoi colleghi italiani e non solo a seguito della sua espulsione da Meta. Ma soprattutto, in che modo possiamo attivarci tutti per esprimere concretamente dissenso verso questo provvedimento?

Immediatamente dopo la mia denuncia fatta su Radio Radicale e sul mio account X, sono arrivate diverse dichiarazioni di supporto, molte individuali, da parte di esponenti della politica e dell’informazione. In particolare, l’associazione di categoria Articolo 21tramite il suo coordinatore Giuseppe Giulietti– insieme al Cdr di Radio Radicale, hanno fatto pervenire la loro solidarietà e appoggio nel chiedere il ripristino dei miei account e la cessazione universale di ogni attività di censura social nei confronti miei e di tutti i colleghi che si trovano in situazioni analoghe.

Questa mobilitazione non è avvenuta per ragioni personali di Mariano Giustino, ma a difesa dei diritti umani fondamentali, quali la libertà di espressione e informazione. E riguarda non solo giornalisti e fruitori di stampa, ma riguarda.

Noi de L’Europeista ringraziamo Mariano Giustino per la sua testimonianza e il suo coraggio professionale. Continueremo a seguire con ancor maggiore attenzione vicende simili, che di certo non si chiudono con un account riattivato. Ribadiamo inoltre la necessità di una presa di posizione netta da parte delle autorità politiche, affinché la libertà di espressione sia garantita in tutte le sedi pubbliche. A maggior ragione quando si ha a che fare con big-tech governate da logiche opache

Perché difendere l’informazione libera, significa in definitiva difendere sé stessi.