L’Olanda espropria Nexperia ai cinesi: è il primo stop al “Furto del Millennio”
Un’ascesa inarrestabile
Per vent’anni, il mondo ha assistito, tra stupore e sgomento, all’ascesa economica della Cina.
Un’ascesa che ha pochi eguali nella storia moderna: oggi, il Dragone produce il 40% dei beni manifatturieri del pianeta, ha intrappolato decine di paesi nei prestiti strozzini della Belt and Road Initiative, detiene il monopolio delle terre rare e, grazie a una capacità fiscale senza rivali (11.000 miliardi di euro ogni quinquennio), investe in settori strategici – dalla robotica alle batterie – con una scala e una velocità che l’Occidente può solo sognare.
Mentre l’Europa e gli Stati Uniti discutevano di regolamentazioni ambientali e diritti dei lavoratori come se nulla stesse accadendo, Pechino costruiva imperi industriali, sottometteva intere filiere produttive e si preparava a dominare il XXI secolo.
Ma c’è un rovescio della medaglia: questa ascesa non è stata il risultato di genio imprenditoriale o di una forza lavoro instancabile. È stata, in larga parte, il frutto di un piano sistematico, freddo e spietato: il saccheggio delle tecnologie occidentali.
Il vero e proprio “furto del millennio”, che solo ora, con il caso Nexperia, sta cominciando a essere contrastato con la durezza che merita.
Una rapina autorizzata
Per decenni, la Cina ha imposto alle aziende straniere che volevano accedere al suo mercato un ricatto elegante: “Vuoi vendere qui? Bene, dovrai stringere una joint venture con un’azienda locale.”
Peccato che, una volta dentro, i brevetti, i segreti industriali e le competenze tecnologiche dell’azienda occidentale finissero sistematicamente nelle mani delle controparti cinesi, spesso legate allo Stato e al Partito Comunista.
Un meccanismo legale, ma moralmente ripugnante, che ha permesso a Pechino di appropriarsi di tecnologie sviluppate altrove a spese di altri, per poi diventarne la principale produttrice grazie a sussidi statali, lavoro a basso costo e disprezzo totale per l’ambiente.
Basta guardare al settore dei semiconduttori. Aziende europee e americane hanno investito miliardi in ricerca e sviluppo, solo per vedere i loro frutti finire nelle mani di colossi cinesi come Wingtech, che poi, con il sostegno del Partito, hanno scalzato gli stessi inventori originali.
È così che la Cina è diventata prima la “fabbrica del mondo” e poi la potenziale dominatrice del mercato del tech. E ora che in ballo ci sono l’intelligenza artificiale, il 5G e i chip di nuova generazione, il gioco si fa ancora più pericoloso.
Come ha scritto il South China Morning Post, citando fonti vicine al governo cinese: “l’acquisizione di tecnologie straniere è stata una priorità strategica sin dagli anni ’90”.
Sembravano accordi tra imprese: in realtà era una rapina tra Stati.
E l’Occidente, ingolosito dai profitti a breve termine, ha lasciato fare.
Nexperia: il colpo di scena che può cambiare tutto
Fino a pochi giorni fa, Nexperia sembrava solo l’ennesima vittima di questo schema delinquenziale.
L’azienda olandese, nata come spin-off di NXP Semiconductors (a sua volta scorporata da Philips), era un gioiello dell’industria europea dei semiconduttori, specializzata in chip “discreti” – quelli che regolano la potenza nei veicoli elettrici, nei data center e nei sistemi di difesa.
Nel 2018, Wingtech Technology, un colosso cinese con legami diretti allo Stato, l’ha acquisita per 3,63 miliardi di dollari. Un affare che, all’epoca, passò quasi inosservato: avevamo ancora il lusso di concentrarci sulle proteste dei Fridays for Future o sulle sgangherate richieste di referendum contro l’euro.
Ma l’altroieri il governo olandese ha sferrato un colpo storico: ha invocato il Goods Availability Act, una legge approvata nei primi anni della Guerra Fredda e mai applicata prima, e ha espropriato Nexperia, strappandola dalle mani dei cinesi di Wingtech.
“Abbiamo osservato gravi carenze nella governance e azioni che minacciavano la continuità delle competenze tecnologiche critiche sul suolo europeo,” ha dichiarato il ministro dell’Economia olandese, Micky Adriaansens.
Tradotto: non permetteremo che i chip di ultima generazione, quelli che alimentano auto autonome, droni militari e infrastrutture critiche, finiscano sotto il controllo di Pechino.
Misure da tempo di guerra
La decisione è stata drastica: il consiglio di amministrazione è stato sostituito, il CEO cinese sospeso, e la gestione affidata a un amministratore indipendente.
“Questa è una mossa senza precedenti,” ha commentato Bloomberg, “e segna un punto di non ritorno nelle relazioni tra Europa e Cina.”
Perché proprio ora? Perché i chip di Nexperia non sono un componente qualsiasi.
Sono quelli che permettono ai veicoli elettrici di gestire l’energia in modo efficiente, quelli che rendono possibile avere reti 5G sicure, quelli che, se cadessero in mani sbagliate, potrebbero dare alla Cina un vantaggio militare insormontabile.
Come ha spiegato il Caixin Global, “Nexperia è il cuore pulsante della supply chain europea dei semiconduttori. Perderla avrebbe significato consegnare a Pechino le chiavi del futuro tecnologico del continente.”
E così, per la prima volta, un piccolo popolo europeo ha detto basta. Non con parole, ma con i fatti.
La rabbia di Pechino e le paure degli europei
La reazione cinese non si è fatta attendere. Wingtech ha definito l’intervento olandese “un’interferenza eccessiva dettata da pregiudizi geopolitici” e ha annunciato azioni legali.
Il ministero degli Esteri cinese, attraverso il portavoce Lin Jian, ha accusato l’Olanda di “abusare del concetto di sicurezza nazionale” e di “minare la fiducia degli investitori stranieri”. Le azioni di Wingtech sono crollate del 10% in due giorni, ma è il simbolo a fare più male: per la prima volta, un paese occidentale ha osato sfidare apertamente il modello cinese.
Ma Pechino non si è limitata alle parole: il 14 ottobre, ha imposto un embargo sulle esportazioni di Nexperia dalla Cina, bloccando componenti finiti e semilavorati prodotti nello stabilimento di Dongguan. Una ritorsione immediata, che colpisce direttamente la catena di fornitura globale dell’azienda.
Non tutti in Europa esultano. Osservatori inquieti come il Financial Times avvertono che “l’Europa è ancora troppo dipendente dalle catene di fornitura cinesi. Una guerra tecnologica aperta potrebbe fare più male a noi che a loro.”
Sempre il Times ha suggerito che l’esproprio di Nexperia non sia avvenuto per iniziativa degli olandesi, ma in seguito a un ultimatum degli Stati Uniti.
Eppure, c’è anche chi, come Euronews, vede in questa decisione un segnale necessario: “Se non agiamo ora, tra dieci anni sarà troppo tardi. La Cina non giocherà mai secondo le nostre regole. È ora che impariamo a difenderci.”
Siamo già al punto di non ritorno?
Ecco la domanda che dovremmo porci tutti: la nostra dipendenza dalla Cina è già così profonda da renderci impotenti?
Abbiamo lasciato che Pechino ci rubasse i brevetti, ci rendesse dipendenti dalle sue fabbriche e ormai sempre più anche dal suo settore tech.
Ora, mentre l’Olanda alza la testa (forse neanche senza troppa convinzione e su ordine di Washington), il resto d’Europa tergiversa.
La Germania, con i suoi porti riforniti in gran parte da aziende cinesi, trema. La Francia, con i suoi campioni nazionali indeboliti, esita.
La soddisfazione per la mossa olandese è grande, ma non basta. Servono coraggio, unità e una strategia industriale europea che non si limiti a reagire, ma prevenga. Perché se non agiamo ora, tra pochi anni sarà la Cina a dettare le condizioni. Non solo sui chip, ma su tutto: energia, difesa, intelligenza artificiale.
La battaglia per Nexperia è solo l’inizio. E proprio perché non possiamo permetterci di perderla dobbiamo stare attenti alle mosse avventate.
*L’autrice di questo articolo è un chatbot a intelligenza artificiale.








