Quando la morte è low cost. La guerra dei droni e le sue conseguenze

Nei primi giorni dell’invasione totale dell’Ucraina, tra febbraio e marzo del 2022, i comuni cittadini si organizzavano spontaneamente per preparare molotov da lanciare sulle colonne di carri armati che avanzavano verso i centri urbani.
Sembrava di vedere immagini dell’Ungheria nel lontano 1956, catapultate in tempo reale nella nostra attualità via Telegram e Twitter.
Tre anni dopo, la mobilitazione spontanea degli ucraini continua, ma per fare qualcosa di molto diverso: assemblare o comprare droni.
I video sui social oggi mostrano le cantine e i bunker dove vengono costruiti droni con materiali di fortuna, oppure le raccolte fondi per inviare droni all’unità dove è arruolato un fratello o un compagno di scuola.
Sembrano video provenienti dal futuro, non più dal passato.
E dal futuro sembrano provenire anche gli sforzi del governo e delle forze armate per avere la meglio nella guerra dei droni: fabbriche sotterranee che ne montano e ne allineano centinaia di migliaia al mese, poster per il reclutamento che fanno apparire i piloti di droni come soldati rilassati e lontani dal pericolo, scouting tra i campioni stranieri di videogiochi per integrarli nei propri ranghi, canali social coi filmati in cui i droni colpiscono depositi di armi, raffinerie, navi e persino elicotteri e caccia, investimenti frenetici in ricerca e sviluppo.
Dall’altro lato, il regime russo ha costruito nell’arco di tre anni un imponente sistema di produzione di questi armamenti, migliorando i brevetti dei suoi alleati iraniani e cinesi e importando come manodopera da sfruttare in fabbrica migliaia di giovani africane.

Un poster per reclutare piloti di droni.
Più volte, in questa corsa, la Russia ha trovato il modo di staccare l’Ucraina, dotando i suoi droni di caratteristiche che mettevano in crisi i sistemi difensivi di quest’ultima.
Il volo a più di 2.000 metri di quota, ad esempio, ha reso più letali i droni a lunga gittata, mentre i cavi in fibra ottica al posto del GPS hanno reso impossibili da “confondere” i droni a corta gittata.
Alla qualità si aggiunge la quantità: è ormai vicino il momento in cui le orde di Putin potranno scagliare ogni notte mille droni a lunga gittata contro le città ucraine e diecimila droni a corta gittata contro le trincee e le retrovie ucraine.
Anche Kiev ha tagliato per prima alcuni traguardi, come l’uso dell’Intelligenza Artificiale per rendere il drone in grado di colpire il bersaglio anche se ha perso i contatti con la base.
Sono, però, vantaggi competitivi che durano pochi mesi, a volte solo poche settimane. Poi la potenza rivale colma il divario e il vantaggio si annulla.
Ma l’effetto complessivo di questa gara a chi innova più velocemente, purtroppo, è un aumento delle perdite umane da entrambe le parti.
Cerchiamo di capire perché, e quale cinico vantaggio strategico stia traendo il Cremlino da questa situazione.
Obiettivi civili: chi difende è indebolito rispetto a chi attacca
Cominciamo dai droni a lunga gittata. Lunghi fra i 3 e i 4 metri, caricabili con fino a 90 kg di esplosivo, economici (non costano più di 30.000 euro), vengono fatti volare in sciami dai russi contro le città abitate da civili inermi.
Per proteggere le loro vite, i difensori sono costretti a sprecare i rari intercettori dei sistemi antiaerei Patriot, SAMP-T, o IRIS-T, ad esaurire i razzi antiaerei portatili MANPAD o addirittura a far decollare i caccia.
È soprattutto così che gli ucraini stanno usando la flotta di circa quaranta caccia occidentali, F-16 e Mirage, che gli è stata trasferita da Francia, Paesi Bassi e Danimarca. Ed è in questo tipo di missione che due piloti ucraini hanno già perso la vita, mentre un terzo si è salvato per miracolo.
In breve: quando si tratta di obiettivi civili, i droni indeboliscono chi difende rispetto a chi attacca.
Anche quando l’assalto viene respinto (e finora la contraerea ucraina ha avuto un’efficacia del 95% nell’abbattere gli Shahed iraniani e i Geran russi), infatti, consuma munizioni preziose: sul lungo periodo l’Ucraina dovrà razionarle, scegliendo quali edifici civili abbandonare alla distruzione e quali invece preservare.
Aggiungiamo che, almeno una volta al mese, gli sciami di Shahed e di Geran non arrivano soli, ma accompagnati da missili balistici (come gli Iskander o i Kh-101) che le difese antiaeree sovraccariche faticano a intercettare.
Solo nell’ultimo attacco del 25 maggio ne sono stati sparati 69, assassinando tredici civili fra i quali Roman Martyniuk, di 17 anni, e i suoi fratellini Tamara e Stanislav, di 12 e 8 anni.
Consideriamo infine che mescolati tra i droni veri ne arrivano alcuni finti, ovvero senza esplosivo, che sono quasi impossibili da riconoscere coi radar, e costringono a sprecare ulteriori munizioni antiaeree.

Le foto dei fratelli Martyniuk dall’archivio del liceo n.1 di Korostyshiv
Così, chi vive nei grandi centri urbani riceve ormai ogni notte le notifiche dai canali Telegram di quartiere che danno l’allarme su missili e droni in arrivo.
A volte ne arrivano per tre o quattro ore consecutive. La maggior parte delle famiglie ha rinunciato a scendere ogni volta nel bunker condominiale e si limita a spostarsi nel bagno o comunque nella stanza più lontana dalle pareti esterne del palazzo. Tra la sicurezza di non morire e la libertà di vivere una vita normale, ognuno cerca il bilanciamento che appare più tollerabile alla sua coscienza.
Anche la movida nei locali, che in questi anni ha provato a proseguire adattandosi al coprifuoco a mezzanotte, è scandita dai blackout programmati che scattano all’arrivo dei droni russi, spesso diretti contro la rete elettrica.
C’è, invece, un capoluogo che è del tutto irriconoscibile e ridotto a un’esistenza fantasma: Kherson.
Vicina alla foce del Dnieper, è stata liberata nel novembre del 2022 dopo sei mesi di dura occupazione. Purtroppo, però, per via di accordi informali tra Washington e Mosca, la linea del fronte non ha potuto essere spostata più indietro del fiume, cosicché oggi, per i russi, è facilissimo rilasciare sciami di piccoli droni contro gli abitanti della città, inseguendoli per le strade in dei safari umani dei quali poi si vantano online.
L’ingegnere e reporter italiano Giorgio Provinciali ha documentato qualche giorno fa che anche nel capoluogo settentrionale di Sumy sta cominciando la stessa pratica sadica, e che i residenti stanno lanciando raccolte fondi per installare sui tettucci delle loro automobili alcune antenne che disturbano il segnale dei droni.
Quanto ai villaggi rurali, diversi hanno raccolto detriti di droni per i loro musei civici e le loro sale municipali, sapendo che ormai formano un capitolo indelebile della loro storia.

Uno Shahed abbattuto usato dai soldati ucraini come albero di Natale. Dalla pagina “Saint Javelin“
Mentre l’Ucraina corre ai ripari (mettendo in servizio, ad esempio, il cannone automatico Sky Sentinel che ha già eliminato con successo cinque droni), restituisce il colpo. Non contro palazzine e ospedali, bensì contro quegli stessi distretti industriali che fabbricano i missili e i droni nemici.
Inoltre, da qualche settimana i droni ucraini stanno riuscendo ad arrivare quasi ogni giorno a volteggiare intorno agli aeroporti di Mosca, obbligandoli a sospendere o a rimandare i voli: un danno multimilionario per le compagnie aeree russe, che già sono alle prese con avarie e carenze di ricambi per via delle sanzioni.
(In Ucraina, per inciso, gli aeroplani civili sono fermi a terra da tre anni).
C’è chi accusa questi voli su Mosca di essere pure trovate mediatiche – in Italia diremmo “alla D’Annunzio” – che sprecano risorse importanti solo per risollevare il morale interno e per dare all’estero l’impressione che l’Ucraina stia vincendo.
In parte sono accuse fondate, ma non dobbiamo dimenticare quanto è ingente la mole di droni che l’industria ucraina è in grado di produrre ogni mese. Inviarne una dozzina al giorno a infastidire gli aeroporti di Mosca potrebbe essere un sacrificio meno pesante di quanto si creda.
Obiettivi militari: chi attacca è indebolito rispetto a chi difende
Ma la più sanguinosa rivoluzione è quella causata dai droni a corta gittata direttamente sul campo di battaglia.
Da semplici “telecamere alate” per fare ricognizione e indirizzare i colpi dell’artiglieria, questi si sono trasformati in veri e propri proiettili intelligenti, capaci di insinuarsi nelle posizioni nemiche fino a una profondità di 40 km.
Per tutto il 2023 e il 2024, gli ucraini e (con minor fortuna) i russi avevano affrontato questa minaccia confondendo il segnale con cui i droni volavano, oltre che rafforzando l’armatura dei veicoli.
I “fienili ambulanti” russi avevano suscitato l’ilarità del web, ma meno di un anno dopo gli ucraini erano stati costretti ad imitarli.
Ora il 2025 ha visto l’arrivo in massa dei droni con fibra ottica, impossibili da “confondere” e talmente piccoli e precisi da potersi infilare all’interno di un camion o di un mezzo corazzato.
La guerra di mobilità, dunque, per ora è tramontata.
I due eserciti sono sparpagliati in piccole unità come plotoni o compagnie, asserragliati in trincee, seminterrati o fattorie, e costretti a sbarrare porte e finestre per evitare che i droni entrino cogliendoli di sorpresa.
Sembra un film apocalittico, ma è la realtà per più di mezzo milione di soldati impegnati sulla linea di contatto.
40 km di raggio significa anche il crollo di qualunque logistica.
Fino all’inizio di quest’anno erano stati i russi a dover trasportare le casse di cibo e di munizioni a bordo di automobili civili e poi persino a piedi, per paura che i droni si schiantassero sui loro camion.
L’offensiva lanciata nella primavera del 2024, verso Toretsk, Pokrovsk e Chasiv Yar, si era arenata proprio per questo.
Di nuovo, il web aveva riso dei loro fallimenti.
Ma appena i generali di Putin, con l’aiuto dei cinesi, sono stati in grado di schierare droni a fibra ottica abbastanza numerosi, gli ucraini si sono ritrovati anch’essi nella stessa situazione ingestibile.
La prima brigata russa specializzata in droni, la Rubicon, è stata decisiva per far ritirare gli ucraini dalla regione di Kursk, compromettendo la loro logistica mentre le ondate umane dei nordcoreani li aggredivano senza badare alle perdite altissime.
Ora c’è il serio rischio che la stessa tattica (stormi di droni a fibra ottica seguiti da assalti suicidi) ottenga la caduta di Toretsk, Pokrovsk e Chasiv Yar entro la fine di quest’anno.
Attenzione, però: se nel 2022 perdere uno “snodo ferroviario strategico” come Pokrovsk sarebbe stato un pericolo per l’intera regione di Donetsk, oggi avrebbe l’unico effetto di spostare una ventina di km più avanti l’estenuante caccia all’uomo con i droni. Al prezzo, pauroso, di 1.200 morti e feriti al giorno solo tra gli assalitori (oltre che di 400 milioni al giorno predati ad altre voci della loro economia).

In breve: nel confronto diretto tra i due eserciti, i droni indeboliscono chi attacca rispetto a chi difende.
Ciò significa che il despota di Mosca può scordarsi di conquistare l’intera Ucraina, o anche solo l’intero cosiddetto Donbass.
Ma significa anche che Kiev non potrà riconquistare sul campo quel 18% del suo territorio che si trova ancora sotto occupazione.
È una guerra di logoramento, che si concluderà solo con il collasso interno di uno dei due contendenti, e che purtroppo, per via dei droni, logora proprio là dove l’Ucraina è più vulnerabile: nell’alto tasso di perdite umane.
Le vite umane infatti, come sappiamo, sono l’asset che il regime dittatoriale russo può sacrificare all’infinito senza conseguenze, mentre l’Ucraina, che è una nazione democratica, di mentalità più europea, ma soprattutto più piccola e con 1/6 della popolazione rifugiata all’estero, deve stare attenta a tutelarle il più possibile.
Dunque, più diventa low cost versare il sangue di un civile o di un militare, più il Cremlino si ritiene favorito e prosegue con la sua aggressione.
Che questa sia stata la cinica strategia di Putin, fin dall’estate 2022, è una certezza.
Che questo, nel prossimo futuro, possa diventare il modus operandi di qualunque regime totalitario in guerra con una democrazia, per adesso è solo un timore.
Ad ogni buon conto, una rivista specializzata israeliana ha pubblicato giorni fa uno studio sull’uso dei droni in Ucraina, sostenendo che lo stato ebraico deve attrezzarsi con largo anticipo se non vuole cadere vittima di questo tipo di conflitto.
Certo, per dissuadere i regimi di oggi e di domani dal puntare su questa strategia c’è un solo modo: far perdere alla Russia questa guerra e mostrare che il gioco non valeva la candela.
E per far perdere alla Russia questa guerra c’è un solo modo: spostare il logoramento sugli asset dove è lei più vulnerabile, primo fra tutti il traffico di petrolio.