Meloni vira al largo da Ventotene. Per fortuna non tutti i suoi la seguono
C’è un paradosso che aleggia sulla politica europea: l’Italia, patria del Manifesto di Ventotene, e dunque culla dell’idea di un’Europa federale e solidale, oggi è guidata da chi sembra rinnegarne lo spirito più autentico.
Giorgia Meloni, dal banco di Palazzo Chigi, ha lanciato l’ennesimo siluro contro quella visione d’Europa che nacque proprio su uno scoglio del Tirreno, diventato da allora il simbolo della speranza e del riscatto democratico nel secolo più buio del continente.
Quell’amore anti-italiano per l’Europa dei veti
Nel suo intervento in Parlamento di qualche mese fa, la presidentessa del Consiglio ha ribadito che “l’Europa di Ventotene non è la mia Europa”, accusando il manifesto spinelliano di predicare una “rivoluzione” che, a suo dire, avrebbe poco a che fare con la realtà dei popoli e delle nazioni sovrane.
Ma il passaggio citato è stato estrapolato e decontestualizzato: il “manifesto per un’Europa libera e unita” era un inno alla libertà, non un proclama ideologico.
La rivoluzione evocata da Spinelli e Rossi era politica e morale, non ideologica: era il rifiuto dei nazionalismi che avevano distrutto il continente.
Eppure Meloni insiste su un modello di Europa populista, fatta di Stati (sulla carta) indipendenti e gelosi delle proprie prerogative, in una visione protezionista e autarchica che mal si concilia con il mondo globale di oggi (oltreché con le caratteristiche della nostra penisola, da sempre priva di materie prime, dipendente dai commerci e dotata di confini naturali indifendibili senza aiuti esterni).
La sua è l’Europa delle frontiere, non dei ponti.
È la stessa narrazione che lega la premier italiana a Trump e ai conservatori americani, ansiosi di disarticolare l’Unione e ridisegnare un nuovo ordine mondiale dove gli Stati europei tornino a essere vassalli di Washington.
Un disegno che trova sponde nei nazionalismi di Orban e Fico, e che si innesta in un più ampio confronto tra blocchi geopolitici.
Sul fronte opposto, infatti, anche la Cina di Xi Jinping sta lavorando a un bipolarismo globale fondato su un “capitalismo socialista”, sfruttando il logoramento simultaneo di Europa e Russia — intrappolate nella guerra d’Ucraina — per rafforzare la propria influenza su Asia, Africa e Sud America.
Mentre il Partito Comunista Cinese si espande in Mongolia, prepara l’invasione di Taiwan (che non ha mai controllato nella storia) e consolida le proprie posizioni nell’Africa centrale, il “vecchio continente” discute ancora se contare qualcosa o scomparire.
L’Italia e l’ambiguità europea di Palazzo Chigi
Il 22 ottobre, mentre il Parlamento europeo approvava la risoluzione Gozi chiedendo di superare la regola dell’unanimità, Giorgia Meloni difendeva in Aula il diritto di veto per le singole nazioni.
In pratica, un “no” alla capacità dell’Europa di decidere. Un “no” a quell’efficienza politica che oggi è indispensabile per reggere l’urto delle potenze globali.
Una posizione che è in aperta contraddizione con quella del suo stesso governo.
Antonio Tajani, ad esempio, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, aveva firmato nel maggio 2023 una “Lettera degli amici della maggioranza qualificata”, a nome dell’Italia, sostenendo l’esatto opposto: superare l’unanimità per rafforzare la politica estera comune.
Lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha più volte richiamato il sogno federalista di Spinelli e dei padri fondatori, come unica via per restituire all’Europa voce e peso nel mondo.
Oggi, perciò, i partner europei si chiedono: “Qual è la vera posizione dell’Italia?”
La risposta, purtroppo, oscilla tra ambiguità e contraddizioni. Da un lato il patriottismo di bandiera di Meloni, dall’altro la consapevolezza concreta — espressa dal ministro della Difesa Crosetto — che l’Italia da sola “non gioca nella stessa serie” di Stati Uniti, Cina, Russia o India.
Nel mezzo, un’Europa che rischia di essere spettatrice di sé stessa.
Europei al bivio: federazione o irrilevanza
La storia bussa ancora una volta alla porta del continente. La guerra in Ucraina, l’instabilità mediorientale, le crisi migratorie, la sfida climatica e l’incertezza nei rapporti transatlantici hanno mostrato con brutale chiarezza che nessuno Stato europeo può più garantire da solo sicurezza, prosperità e libertà.
Le elezioni europee del 2024 hanno consegnato un Parlamento frammentato, con un quarto dei seggi occupato da forze populiste ed euroscettiche: un pericoloso segnale di regressione storica.
Ma la lezione del Novecento resta scolpita: la divisione è debolezza, l’unità è forza.
Tornare all’“Europa delle nazioni” significherebbe rinunciare al sogno di Ventotene e ripristinare anche dentro l’Europa quelle logiche di potenza che hanno incendiato il secolo scorso (e che fuori dall’Europa stanno incendiando anche questo secolo).
L’alternativa è chiara: o si completa l’integrazione, o si accetta l’irrilevanza.
Verso un’Europa federale
Un’Europa potente, con una difesa comune; democratica, con un Parlamento che conti davvero; solidale, capace di ridurre le disuguaglianze; sovrana, libera dalle dipendenze energetiche e strategiche: questo era l’orizzonte di Spinelli, e dovrebbe essere oggi quello dell’Italia.
Per realizzarlo, però, servono riforme coraggiose: abolire il diritto di veto espandendo il voto a maggioranza qualificata, rafforzare il bilancio dell’Unione, costruire una politica estera unica e una vera partecipazione dei cittadini al destino comune.
Il tempo del coraggio
Ogni rinvio equivale a un arretramento.
Significa lasciare che altri — Stati Uniti, Cina o potenze autoritarie minori — decidano per noi. Significa condannare gli europei, compresi gli italiani, a una marginalità storica.
L’interesse nazionale italiano, quello vero, non è nella solitudine sovranista, ma in un’Europa capace di agire con forza e legittimità democratica.
Ventotene non è un ricordo polveroso: è la bussola che può ancora indicarci la rotta. Ma oggi la premier italiana sembra aver scelto di virare altrove.
La storia giudicherà se questa rotta di collisione con l’isola di Ventotene sarà il simbolo di una stagione politica o il preludio di un naufragio europeo.








