Maria Corina Machado: la Nobel che sfida il socialismo venezuelano
Il riconoscimento alla leader di Vente Venezuela riporta al centro del dibattito internazionale la crisi democratica del Paese sudamericano e la complessa relazione tra liberalismo e autoritarismo in America Latina.
Il Premio Nobel per la Pace 2025 a Maria Corina Machado è un segnale forte, tanto simbolico quanto politico. L’Accademia di Oslo ha voluto premiare “il suo instancabile impegno nella promozione dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta volta a realizzare una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”.
Una motivazione che, da sola, riassume più di vent’anni di scontro fra due visioni del Venezuela: da un lato, il socialismo bolivariano che ha plasmato lo Stato; dall’altro, la richiesta di libertà politica, economica e civile che Machado incarna.
Una figura scomoda per il regime
In patria, Machado è considerata una figura divisiva. Intransigente nelle sue posizioni, è stata più volte esclusa dalle elezioni, perseguitata giudiziariamente e privata dei suoi diritti politici dal regime di Nicolás Maduro. Ma la sua ostinazione le ha garantito un seguito crescente, soprattutto tra le nuove generazioni urbane, stanche della stagnazione economica e della repressione.
Leader del movimento Vente Venezuela, Machado si definisce una liberale di centro. “Siamo un partito liberale di centro — ha detto — quindi dicono che è di estrema destra, perché per i marxisti se non sei di sinistra sei di estrema destra”.
Una frase che riassume perfettamente la polarizzazione ideologica che domina il discorso politico latinoamericano: la tensione irrisolta tra libertà individuale, giustizia sociale e democrazia liberale.
Un segnale politico all’America Latina
Il Nobel a Machado non è soltanto un tributo personale: è anche un messaggio diretto al continente. L’America Latina vive una fase di profonda incertezza politica, in cui il pendolo ideologico oscilla fra il ritorno dei governi di sinistra e la crescita di movimenti populisti di destra.
In questo scenario, la figura di Machado rappresenta un terzo spazio, quello di un liberalismo democratico che rifiuta sia il caudillismo autoritario sia il messianismo socialista.
Per l’Europa e per l’Occidente, questo riconoscimento può essere letto come una riaffermazione dei valori liberali e dello Stato di diritto in un momento in cui le democrazie sembrano fragili anche altrove. È un invito a non abbandonare le società civili latinoamericane alla loro solitudine, ma a sostenere con coerenza chi continua a chiedere pluralismo e istituzioni indipendenti.

Il valore simbolico del premio
Premiare Maria Corina Machado significa anche riaccendere i riflettori su un Paese dimenticato. Il Venezuela, un tempo una delle economie più prospere della regione, è oggi un esempio di collasso istituzionale e umanitario. Milioni di cittadini hanno lasciato il Paese, mentre l’inflazione, la corruzione e la violenza restano endemiche.
In questo contesto, la battaglia di Machado assume un valore universale: la difesa della libertà politica come condizione necessaria per qualunque progresso sociale. Non si tratta di una battaglia ideologica, ma di civiltà.
Un premio che apre un dibattito
Come ogni scelta del Comitato di Oslo, anche questa farà discutere. I sostenitori del regime venezuelano la vedranno come un’ingerenza straniera; i difensori della democrazia come un atto di giustizia. Ma al di là delle opinioni, resta il fatto che, con questo riconoscimento, il mondo torna a parlare del Venezuela e di chi, come Maria Corina Machado, non ha smesso di credere nella possibilità di una transizione pacifica e democratica.
In tempi di crescente sfiducia verso la politica, il Nobel alla leader venezuelana invita a riscoprire un concetto essenziale: che la pace, senza libertà, è solo una tregua.










