L’Impero e la Città di Dio, il papa agostiniano nella tana del lupo

Piercamillo Falasca
09/05/2025
Orizzonti

La pace sia con voi”. Con queste parole, Leone XIV si è affacciato al mondo. È americano, è stato missionario in Perù ed è un agostiniano. Quest’ultima non è solo una nota biografica: è forse la chiave più profonda per capire quale potrebbe essere la cifra spirituale e culturale del papato di Robert Francis Prevost.

Nel momento in cui la Chiesa sceglie un uomo del Nord America, con esperienza nelle periferie dell’America Latina, lo fa anche scegliendo un linguaggio, un’eredità teologica, un’immagine della libertà e del potere. Sant’Agostino, padre della Chiesa e anima dell’ordine a cui il nuovo Papa appartiene, è il pensatore della tensione tra la Città di Dio e la città degli uomini — quella che ha esplorato nella sua opera più celebre, il De Civitate Dei — tra la volontà ferita e la grazia redentrice, tra la pace desiderata e quella vera, che è solo in Dio.

Libertà, potere e crisi dell’umano

Agostino ha insegnato che la libertà non è fare ciò che si vuole, ma volere il bene, e che questo è possibile solo se il cuore umano è guarito dalla grazia. In una società che scambia la libertà con l’assenza di limiti e la sovranità con la forza, l’elezione di un Papa agostiniano rappresenta un atto radicale. Non è un ritorno al passato, ma un salto in profondità: l’individuo moderno ha bisogno di riscoprire la sua interiorità, la propria volontà, il proprio limite. In questo senso, l’agostinismo può parlare alla psiche ferita del mondo occidentale e al bisogno di redenzione spirituale che affiora anche dove la fede sembra più fiacca.

Un Papa che parla dall’interno dell’Impero

Che sia americano conta tantissimo. In un mondo lacerato, serviva un pastore capace di parlare ai potenti senza soggiacere al potere. E per farlo, bisogna conoscere la lingua del lupo e non aver paura della sua tana. Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, portando con sé una visione muscolare e bilaterale dell’ordine globale. In questo contesto, un Papa americano – paradossalmente – può essere l’unico interlocutore credibile. Non per compiacere, ma per resistere e testimoniare.

Il male non prevarrà

“Il male non prevarrà”. Non è una formula politica, ma un’affermazione escatologica. Una frase agostiniana, appunto. Contro la guerra, contro l’ingiustizia sistemica, contro l’indifferenza. È un appello alla responsabilità, per credenti e non. È la dichiarazione di una Chiesa protagonista e non spettatrice negli scenari globali. Non neutrale, ma universale.

Non è un Papa progressista, non è conservatore. È un pastore che ha respirato le ferite dell’America Latina e la frammentazione dell’Occidente. Il suo richiamo iniziale — la pace sia con voi — non è un gesto liturgico, ma una dichiarazione programmatica. Una pace che non è solo fine delle guerre, ma riconciliazione dell’anima.

In un mondo che ha perso i suoi riferimenti morali, in una Chiesa che cerca di sopravvivere al declino demografico e al discredito, l’elezione di un agostiniano può essere il segno di una svolta silenziosa ma decisiva: tornare a pensare l’uomo, la libertà, la grazia. Tornare a Cristo, ha detto.