L’accordo secondo Mosca: pace o resa? Analisi delle condizioni pretese dal Cremlino

Marco Setaccioli
03/06/2025
Orizzonti

Parte 1 – Le condizioni russe: un documento di “pace” o di egemonia?

Il 1° giugno 2025, subito dopo il termine del breve incontro delle delegazioni russa ed ucraina ad Istanbul (è durato meno di un’ora), diverse media russi hanno pubblicato quella che viene definita una proposta di accordo di pace da parte della Federazione Russa, presentata come base negoziale per la fine della guerra in Ucraina. Il documento, strutturato in tre sezioni, elenca una serie di condizioni che Kyiv dovrebbe accettare in cambio del cessate il fuoco e di un progressivo ritorno alla normalità. Tuttavia, il contenuto di queste condizioni solleva interrogativi profondi sulla reale natura di questa “pace” proposta.

La Sezione I stabilisce i parametri chiave dell’accordo. Tra questi vi è innanzitutto il riconoscimento giuridico internazionale dell’annessione alla Federazione Russa di Crimea, Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson, con conseguente ritiro completo delle truppe ucraine da tali territori, inclusa la parte di questi oblast’ non ancora conquistata (degli ultimi due Mosca non controlla nemmeno i rispettivi capoluoghi). Seguono richieste che mirano a una neutralizzazione strutturale dell’Ucraina, vietandole ogni forma di alleanza militare e persino la presenza di basi o infrastrutture militari straniere. La bozza impone inoltre un disarmo selettivo, con il controllo delle dimensioni e delle capacità dell’esercito ucraino, lo scioglimento delle unità ritenute “nazionaliste”, ed il riconoscimento del russo come lingua di stato. C’è anche spazio per un riferimento alla protezione della popolazione russofona, con il quale la Russia rispolvera uno dei cavalli di battaglia di propaganda utilizzati per giustificare l’invasione.

La Sezione II riguarda il cessate il fuoco, con due opzioni: una legata al ritiro unilaterale delle forze ucraine, e una “offerta pacchetto” che impone la fine della mobilitazione, la cessazione degli aiuti militari occidentali, lo smantellamento della cooperazione con Stati terzi e la rinuncia ad attività di resistenza interna o esterna. In cambio, Mosca prevede l’amnistia dei prigionieri politici, l’abolizione della legge marziale e la fissazione, entro 100 giorni, di elezioni nazionali supervisionate.

Infine, la Sezione III definisce la sequenza temporale per l’attuazione dell’accordo, che include un cessate il fuoco preliminare per la raccolta dei caduti, la creazione di un centro bilaterale di monitoraggio, la firma progressiva di vari memorandum, fino alla ratifica finale del trattato da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Nel complesso, il documento proposto da Mosca si configura come un pacchetto fortemente sbilanciato: da un lato impone condizioni molto dettagliate e vincolanti a Kyiv, dall’altro si limita a offrire generiche aperture su riconciliazione economica e diplomatica. Le condizioni delineano una ridefinizione completa della sovranità ucraina nei termini stabiliti da Mosca, non come esito negoziale paritario, ma come risultato di un rapporto di forza.



Parte 2 – Un’agenda che violerebbe l’intero diritto internazionale

Con questo elenco di condizioni, Mosca non propone un accordo di pace, ma una ridefinizione unilaterale dell’ordine internazionale. E lo fa a colpi di violazioni. Un semplice esame giuridico del documento russo ci mostra come ogni paragrafo sia in aperta contraddizione con i pilastri normativi delle Nazioni Unite, dell’OSCE, degli accordi di Helsinki e della stessa giurisprudenza costituzionale europea.

Lo Statuto dell’ONU è chiaro fin dai primi articoli. L’articolo 1 comma 2 sancisce il diritto dei popoli all’autodeterminazione, mentre l’art. 2 impone la sovrana eguaglianza tra gli Stati membri, il rispetto degli impegni presi, la risoluzione pacifica delle controversie e, soprattutto, l’astensione dalla minaccia o uso della forza. Eppure il piano russo è stato concepito e presentato durante un’occupazione militare, sotto la minaccia delle armi e prevedendo un disarmo selettivo dell’Ucraina: una clausola che, se accettata, toglierebbe a Kyiv perfino il diritto all’autodifesa (art. 51) e legherebbe le sue mani rispetto a qualunque alleanza regionale (art. 52).

Non va meglio con la Carta per la Sicurezza Europea sottoscritta a Istanbul nel 1999, che all’art. 8 impone a ogni Stato di non rafforzare la propria sicurezza a scapito di quella altrui. Il documento russo invece impone la smobilitazione ucraina e lo scioglimento di intere strutture militari, senza alcun impegno speculare. Gli articoli 11, 14, 19, 21, 22 e 25 rafforzano poi il quadro, evocando principi come il rispetto dello Stato di diritto, il divieto di violenza, la difesa della libertà di coscienza e l’obbligo di garantire elezioni libere: tutte condizioni che la bozza russa ignora o deroga.

L’OSCE stessa si fonda sui 10 principi degli accordi di Helsinki del 1975, rilanciati nel 1990 dalla Carta di Parigi: sovranità, integrità territoriale, non ingerenza, diritti umani, libertà di espressione, autodeterminazione. Niente di tutto questo sopravviverebbe se venisse siglata la proposta moscovita, che sancirebbe una resa politica, militare e culturale dell’Ucraina sotto la spinta di un diktat neozarista.

Si infrange così anche l’accordo di amicizia russo-ucraino del 1997, già calpestato con l’invasione della Crimea nel 2014. E addirittura si contraddice un parere della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa (2011), che raccomandava di proteggere prioritariamente la lingua ucraina per evitare un suo svilimento sotto pressione russa.

Un’imposizione unilaterale

Alla luce di queste considerazioni, è legittimo interrogarsi sul significato attribuito oggi al concetto di “pace”, soprattutto quando viene invocata in assenza di condizioni che garantiscano giustizia e rispetto del diritto internazionale. L’ipotesi di un ordine mondiale fondato sul principio della forza anziché sul diritto è intollerabile. La proposta avanzata da Mosca non appare come un trattato di pace equilibrato, ma come un’imposizione unilaterale che sancisce la sconfitta e la subordinazione di una delle parti. Definire questa dinamica come “realismo” legittima una visione dei rapporti internazionali fondata sulla sopraffazione. Una pace duratura, al contrario, presuppone il rispetto delle regole condivise, la tutela delle libertà fondamentali e un equilibrio tra le parti. Elementi che, nel documento diffuso dal Cremlino, risultano assenti.