La piaga dei disturbi alimentari: la ricetta campana un modello da osservare
L’Europa sta vivendo una “seconda ondata silenziosa” di sofferenza giovanile che non riguarda solo ansia e depressione: i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) si allargano e si fanno più precoci. Nel 2025 la discussione europea sul benessere mentale di bambini e adolescenti ha messo in fila due evidenze: la prima è l’urgenza di standard di qualità nei servizi, che l’OMS Europa ha iniziato a definire con linee guida ad hoc per l’età evolutiva; la seconda è che senza indicatori omogenei e reti territoriali capaci di presa in carico, l’accesso resta diseguale e discontinuo. In questo quadro, i dataset del Global Burden of Disease confermano una crescita tendenziale della prevalenza dei disturbi alimentari nel lungo periodo, mentre la letteratura 2024-2025 insiste sul ruolo – non esclusivo, ma significativo – che i social media hanno nel modellare immagine corporea e condotte a rischio tra i più giovani.
In Italia, il tema è ormai di salute pubblica. Il Ministero della Salute ha istituito un Fondo nazionale dedicato, rifinanziato per il 2024 con 10 milioni di euro e ripartito con intese in Conferenza Stato-Regioni, e ha reso disponibili strumenti operativi come il “Percorso Lilla” in pronto soccorso insieme a un portale ISS che mappa centri e risorse. La fotografia nazionale resta però a macchia di leopardo: i numeri citati a inizio 2024 parlavano di milioni di persone interessate a vario titolo, con un marcato abbassamento dell’età d’esordio e una pressione crescente sui servizi d’urgenza. Il punto, oggi, è l’omogeneità della risposta: percorsi codificati, equipe multiprofessionali, standard misurabili e continuità tra ospedale e territorio.
In Campania l’asticella si è alzata tra fine 2024 e il 2025. Il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità la legge “Disposizioni per la prevenzione e la cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” (L.R. 10 dicembre 2024, n. 21), una norma-cornice promossa in prima battuta dal consigliere regionale Luigi Abbate che prova a fare ordine: prevenzione, riconoscimento precoce, presa in carico, cura e potenziamento dell’offerta pubblica, con l’obiettivo di integrare psicoterapia, nutrizione clinica, riabilitazione e, quando necessario, livelli residenziali e semiresidenziali.
La legge definisce la rete regionale per i disturbi alimentari come parte integrante del Servizio sanitario campano, introduce il “codice lilla” nei pronto soccorso per il riconoscimento immediato dei casi, prevede attività di screening in scuole e centri sportivi, e istituisce équipe multidisciplinari dedicate alla diagnosi e alla cura — con psichiatri, psicoterapeuti, nutrizionisti, dietisti e assistenti sociali — incaricate di garantire continuità assistenziale e presa in carico tempestiva.
La scelta politica è stata trasversale e nasce da un’esigenza concreta: la regione figura tra quelle con maggiore incidenza annua nelle segnalazioni di cronaca sanitaria, con stime locali che parlano di centinaia di nuovi casi l’anno. È una pressione che impone non solo l’apertura di servizi, ma soprattutto coordinamento e tempi certi.

In foto, il medico e consigliere regionale campano Luigi Abbate
Il raffronto con altre regioni spiega bene dove la Campania ha voluto collocarsi. Nel Lazio, nel 2025, la rete è stata potenziata con l’introduzione del “pasto assistito” in tutti gli ambulatori multidisciplinari e l’aumento dei posti semiresidenziali fino a quota 250, insieme a un incremento della residenzialità: è la traduzione organizzativa di un approccio integrato. In Emilia-Romagna e Puglia i riferimenti operativi al “Percorso Lilla” sono entrati negli atti programmatori e nelle delibere di giunta, a dimostrazione che la leva normativa nazionale funziona quando viene accompagnata da istruzioni chiare per triage, valutazione e dimissioni protette. Dentro questo mosaico, la Campania ha scelto la via della legge regionale come “spina dorsale” su cui innestare gli standard clinici e organizzativi.
È qui che entra il contributo di Luigi Abbate. Medico di base e consigliere regionale, Abbate ha spinto perché la risposta ai DNA non si limitasse all’apertura di qualche ambulatorio, ma diventasse politica pubblica con obblighi di coordinamento e monitoraggio. La legge campana, che Abbate ha sottoscritto e sostenuto in Aula fino all’approvazione, è un tassello della sua agenda sanitaria più ampia – quella che negli ultimi mesi lo ha visto lavorare anche su pacchetti oncologici integrati – e punta a tradurre in prassi alcune parole-chiave spesso evocate e poco praticate: continuità assistenziale, equipe multiprofessionali, tempi vincolati per l’accesso e indicatori di esito. Perché una legge serva davvero, tuttavia, deve “scendere a terra”: servono delibere attuative tempestive, personale formato, reti territoriali che parlino la stessa lingua e un sistema informativo in grado di misurare ciò che conta (tempi di presa in carico, rientri in PS, durata dei ricoveri, esiti clinici e psicosociali). La scommessa politica e amministrativa, oggi, è tutta qui.
Se guardiamo all’Europa, la direzione di marcia è coerente: la domanda di standard comuni per l’età evolutiva, il richiamo a strategie nazionali integrate e le evidenze – dai registri di burden globale alle ricerche sul nesso fra social media, immagine corporea e comportamenti di rischio – convergono su un punto: i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione richiedono politiche pubbliche misurabili, non campagne episodiche. L’Italia ha messo in campo fondi dedicati e strumenti tecnici; regioni come il Lazio stanno sperimentando soluzioni organizzative più avanzate; la Campania ha scelto di stabilizzarle in una norma. La differenza, nei prossimi dodici mesi, la farà la capacità di tradurre le intenzioni in risultati verificabili. Ed è su questo terreno – quello dei dati e della continuità della cura – che si misurerà il valore del contributo di Abbate e della legge campana: se cioè sapranno davvero ridurre tempi di accesso, disomogeneità e rischio clinico per migliaia di famiglie.








