La pace nichilista: il piano Trump per Gaza è un miope ritorno al 6 ottobre

Carmelo Palma
01/11/2025
Poteri

Se perfino il capo del governo dell’emirato qatariota, che in teoria tiene i cordoni della borsa di Hamas e dà ospitalità ai suoi vertici, sostiene che sarà difficile disarmare il movimento jihadista, come pure gli accordi prevederebbero, possiamo considerare ufficialmente svelato il segreto di Pulcinella della pace di Trump.

Non rileva se Al Thani nel dire questo sveli l’autosabotaggio di un accordo, di cui il Qatar sarebbe con Turchia e Egitto il principale garante, oppure riveli una difficoltà oggettiva nell’attuazione dei venti punti del piano.

A contare è il fatto ormai acclarato che la mediazione di Trump non ha portato la pace in una contesa millenaria, come con la consueta modestia l’inquilino della Casa Bianca aveva rivendicato, ma il semplice ritorno allo status quo ante, cioè al 6 ottobre 2023, suggellato dallo scambio tra gli ostaggi israeliani e i terroristi palestinesi e dal riconoscimento de facto, proclamato da Trump urbi et orbi, di Hamas come forza di polizia temporanea nella Striscia.




Un accordo che congela il conflitto

Né gli Stati Uniti, né i Paesi arabi che dovrebbero esercitare funzioni di sicurezza interna e esterna e rassicurare così Israele sembrano avere alcuna intenzione di mettere le mani nel nido di serpi di Gaza e andare a disarmare davvero Hamas. Gli Stati Uniti hanno già detto che lo non faranno, gli stati arabi non hanno detto, ma neppure fatto niente fino ad oggi. Non c’è traccia del governo tecnico palestinese, né del board of peace internazionale, né della forza di stabilizzazione temporanea “da dispiegare immediatamente a Gaza”.

È ovvio che questa situazione prelude a un congelamento e non a un’evoluzione politica del conflitto israelo-palestinese. Comporterà la prosecuzione di una guerra a bassa o media intensità, non consentirà alcuna ricostruzione materiale e civile di Gaza e cronicizzerà una tensione che farà il gioco di estremisti di ogni risma: contro Israele, ma anche dentro Israele.

Non sorprende che Trump preferisca il caos, qualunque caos a un ordine fondato sulle regole perché il caos ammette come solo ordine il rule of power, che l’America Maga riconosce, all’interno e all’esterno degli Stati Uniti, quale unico principio “costituzionale” sano, naturale e non corrotto dalle bellurie della correttezza politica. 

Essendo uno a cui andrebbe benissimo la pace di Putin in Ucraina, non sorprende che adesso a Trump vada benissimo la pace di Hamas a Gaza, dopo avere sostenuto con la stessa impudenza il piano per la “de-palestinizzazione” forzata della Striscia e la sua trasformazione in un protettorato americano e in una Las Vegas mediterranea.

La visione nichilista di Trump sull’ordine internazionale

Non credendo a nulla, Trump può dire o fare qualunque cosa e rifiutando qualunque principio di diritto può accettare qualunque principio di forza, perché è persuaso che la potenza americana sia in grado di trarre tanto maggiori vantaggi, quanto meno è trattenuta da reti multilaterali e alleanze multinazionali, che implichino un qualche ostacolo o limite istituzionale al suo pieno dispiegamento. 

Trump non pensa solo di dovere agire come un sovrano legibus solutus, pensa che la grandezza dell’America possa affermarsi al meglio solo in un mondo legibus solutus. Trump si trova bene e ha spesso parole di stima e di simpatia per tutti i tiranni della Terra non solo perché ne invidia la “libertà”, ma perché ne riconosce la funzione ordinatrice e la razionalità storica.

Questa è la ragione per cui oggi pensa che, non potendosi fare di Gaza una Las Vegas, allora tanto vale farne una terra di nessuno, lasciando a Israele l’incombenza e il costo di controllarne una parte e di continuare a subire la minaccia dell’altra, nuovamente sotto il controllo di Hamas, purché si torni rapidamente a una “normalità” meno paralizzante e a una guerra endemica meno visibile e allarmante agli occhi del mondo. A Trump può andare bene tutto, purché sia compatibile con la sua strategia nichilista verso qualunque forma di stato di diritto internazionale.

La situazione di Gaza è però uno di quei casi in cui si dimostra che a lasciare le cose alla loro evoluzione “naturale” non si stabilisce un equilibrio favorevole per i più forti, ma si finisce nell’entropia politica globale.