La marina russa spia l’Italia: la guerra invisibile al largo della Libia

«Quasi sempre le nostre navi al largo della Libia sono seguite da una nave spia russa, spesso camuffata da peschereccio, ma carica di sensori e antenne». Con questa dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera, l’ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ha acceso i riflettori su una guerra silenziosa che si combatte ogni giorno nel cuore del Mediterraneo centrale.

È un confronto elettronico, fatto di intercettazioni, mimetismi e manovre intimidatorie, dove l’obiettivo non è lo scontro diretto, ma il controllo dell’informazione, l’accesso ai dati sensibili e la supremazia tecnologica.
Navi spia travestite da pescherecci
Secondo quanto riferito da Credendino in diverse occasioni pubbliche, le navi italiane in missione davanti alle coste libiche sono sistematicamente pedinate da unità russe, spesso battenti bandiera civile e camuffate da innocui pescherecci. A bordo, però, non ci sono reti da pesca, ma array di sensori, radar passivi, sistemi di intercettazione SIGINT ed ELINT, strumenti per captare comunicazioni radio e segnali radar.
“Sono navi spia a tutti gli effetti, ma operate in modo ambiguo, al limite del diritto internazionale”, ha sottolineato l’ammiraglio. In un tratto di mare formalmente internazionale, ma ad alta densità operativa italiana, Mosca conduce una strategia di monitoraggio continuo, raccogliendo informazioni su rotte, composizione, comunicazioni e comportamento delle forze NATO.
Perché proprio al largo della Libia?
La Libia, frammentata e instabile, è da anni uno snodo geopolitico e militare cruciale. L’Italia è fortemente presente in quell’area, con missioni bilaterali a sostegno della Guardia Costiera libica, l’Operazione Mare Sicuro, e la partecipazione alla missione UE Irini per il controllo dell’embargo sulle armi. La presenza militare italiana è quindi continua e ben visibile.
La Russia, dal canto suo, ha rafforzato negli ultimi anni il proprio avamposto nella Cirenaica, sostenendo il generale Khalifa Haftar, anche tramite contractors legati al gruppo Wagner e fornendo tecnologie militari avanzate. Alcune basi navali e aeree nella Libia orientale sarebbero oggi sotto il controllo operativo russo o comunque accessibili a Mosca, che utilizza anche assetti navali civili per operazioni di spionaggio e dissuasione.
Il Mediterraneo centrale è diventato così una zona di attrito quotidiano, dove le operazioni italiane sono costantemente seguite, registrate, analizzate – e potenzialmente disturbate – da unità russe camuffate.
Un confronto che non è più solo simbolico
La strategia di “guerra ibrida” adottata da Mosca non riguarda solo l’Ucraina o il Mar Nero. Anche nel Mediterraneo, le forze russe utilizzano strumenti di pressione indiretta, come l’intelligence navale, la disinformazione e il posizionamento energetico, per influenzare gli equilibri.
In questo quadro, la marina militare italiana si trova a operare in un ambiente ostile, costantemente sorvegliato, dove ogni errore potrebbe essere sfruttato per scopi propagandistici o per azioni future. Le “navi spia” non sono più un elemento eccezionale: sono diventate parte strutturale del paesaggio operativo, un segnale della normalizzazione dell’ostilità nel mare di casa nostra.
Come risponde l’Italia?
L’ammiraglio Credendino ha segnalato la questione in modo pubblico non per generare allarme, ma per stimolare una maggiore consapevolezza politica. In un’epoca in cui si parla sempre più di difesa europea, autonomia strategica e minacce ibride, il Mediterraneo centrale non può essere trascurato. La presenza di navi spia russe è solo un sintomo: il rischio è quello di un deterioramento progressivo della sicurezza marittima e del margine operativo delle forze italiane ed europee.
La Marina italiana dispone di strumenti per identificare, monitorare e contrastare passivamente queste attività, ma resta il fatto che il diritto internazionale marittimo consente un’ampia zona grigia, dove gli Stati possono agire “legalmente” in modi ostili. Serve quindi una risposta politica oltre che tecnica, che rafforzi la capacità dell’Italia e dell’Europa di proteggere le proprie rotte, i propri assetti e i propri interessi.
L’illusione di non considerare la Russia ostile
Com’era quella storia della Russia che non è nostra nemica? La domanda, posta con amara ironia dal giornalista Marco Fattorini, risuona oggi più attuale che mai. Le attività di spionaggio marittimo, le interferenze nei nostri teatri operativi e il silenzioso ma costante braccio di ferro nel Mediterraneo raccontano una realtà che va ben oltre le dichiarazioni diplomatiche. La Russia non ha bisogno di sparare un colpo per minare la nostra sicurezza: le basta osservare, registrare, insinuarsi tra le maglie della nostra presenza strategica. E in questo gioco a scacchi, ogni “peschereccio” che ci segue non è un dettaglio, ma una mossa calcolata. Smettere di fingere che non sia così è il primo passo per difendere davvero l’interesse nazionale e quello europeo.
