Jared d’Arabia. Lo yankee dietro la svolta mediorientale trumpiana

Filippo Rigonat
17/10/2025
Poteri

Molti di noi, seguendo appassionatamente le recenti vicende diplomatiche mediorientali – culminate lunedì 13 ottobre con la firma del cessate-il-fuoco di Sharm– ci siamo fatti più di una domanda su un uomo.

E no, non sto parlando di Donald Trump, o Benjamin Netanyahu, o del presidente egiziano Al-Sisi. L’uomo in questione, nato a Livingstone 44 anni fa, si chiama Jared Kushner. Ed è il regista segreto delle strategie americane in Terra santa e nel Golfo.

Infanzia tra la Torah e “The wolf of Wall Street”.

Primo di quattro figli. Jared cresce in una famiglia di confessione ebraica ortodossa di seconda generazione. Sua nonna Rae, nata nel 1923 a Novogrudok (attuale Bielorussia) subisce la persecuzione nazista negli anni dell’olocausto, riuscendo a sfuggire ai rastrellamenti solo grazie a un tunnel sotterraneo scavato dalle forze partigiane Bielski nel 1943. Dopo un anno di latitanza passato nella foresta di Naliboki, arriva la liberazione per mano sovietica. Rae si trasferisce a Budapest, dove sposa Yossel, ex falegname conosciuto in clandestinità. Con lui, grazie all’aiuto di parenti alla lontana negli States, nel 1949 si trasferisce a New York.

Charles Kushner, padre di Jared, è primogenito della coppia immigrata.

Nell’esame della figura di Jared Kushner, non si può in alcun modo prescindere dal retaggio familiare. Non si potrebbero comprendere altrimenti gli studi di tipo yeshiva complementari a studi finanziari di alto livello, sostenuti dai fratelli Kushner negli anni del college e poi ad Harvard.

La famiglia per anni ha dominato il mercato immobiliare newyorkese, tramite la Kushner Real Estate Company e la Kushner Companies, gestite da Charles e dal fratello Murray. Fresco di laurea, nel 2005 Jared si trova a fronteggiare l’arresto del padre Charles, reo confesso di evasione fiscale, manipolazione di testimoni e donazioni illecite al Partito Democratico.

Da quel momento, all’età di 24 anni, diviene il principale azionista delle attività di famiglia.

L’incontro coi Trump

In quegli anni, in cui mantiene inalterato il legame col padre, conosce Ivanka Trump, secondogenita di Donald e Ivana.

Nel 2009 arriva il matrimonio- di rito ebraico- al golf club di Bedminster. E’ ormai noto che nelle settimane precedenti la cerimonia la figlia del tycoon si sia convertita al culto giudaico secondo il Ghiur, adottando il nome ebreo Yael.

A sposare la scelta è il suocero di Jared, Donald J.Trump, non ancora politicamente impegnato ma già da allora ottimo partner di affari per la Kushner Company. I due sviluppano un buon rapporto, differendo particolarmente in un solo aspetto: il colore politico sostenuto economicamente. Già da qualche anno convintamente Repubblicano Trump, da sempre Democratico Kushner.

La candidatura del tycoon e la cyber campagna elettorale

Nel 2015 la svolta. Dopo aver scenograficamente sceso le lucenti scale mobili della Trump Tower, Donald annuncia la candidatura per la nomination presidenziale repubblicana. A quel punto, l’intero inner circle familiare e affaristico del tycoon si mobilita nella campagna “Make America Great Again”. E Jared non è da meno, anzi.

Guida in prima linea la campagna di advertising social del suocero, creando un sofisticato sistema che secondo CNN ha giocato un ruolo decisivo nella vittoria elettorale del 2016.

In un hub segreto a San Francisco, Kushner insieme a quasi 100 persone (ingegneri, tecnici, manager “subappaltati” dalla Silicon Valley) ha gestito l’intera raccolta dati e targeting dell’elettorato della campagna. La direttrice principale: “unificare raccolta fondi, messaggistica e advertising”. A pagare più di tutti è stato l’uso del micro targeting su Facebook, in un processo dinamico capace di generare efficaci annunci personalizzati a più di 100.000 utenti della piattaforma al giorno. Nel modello, apprendimento automatico e razionalizzazione hanno guidato le scelte di spesa della macchina elettorale trumpiana. Spese snelle ma decisive, ponderate da software e indici di tendenza per indirizzarsi verso gli  swing voters degli swing states. Da qui una delle chiavi dietro la vittoria di Trump nel Collegio elettorale, non corrisposta nel voto popolare.

Il consigliere degli “Accordi di Abramo”

Una volta eletto, Donald gratifica lo sforzo di Jared Kushner nominandolo “Consigliere senior del Presidente USA”, insieme alla moglie Ivanka. Lungi da accettare incarichi politici formali a causa dei problemi che avrebbero creato le leggi sul “conflitto d’interessi”, i coniugi agiscono comunque come figure chiave della prima amministrazione Trump.

In particolare, a Jared è assegnato il gigante compito di “pacificare l’area mediorientale”. Di fronte all’obiettivo titanico, dal 2017 Kushner attiva un’importante network politico, imprenditoriale e diplomatico finalizzato alla creazione un canale di dialogo tra lo Stato di Israele e le forze palestinesi. Gli sforzi si scontrano contro il niet di Hamas e ANP al “Peace to Prosperity Plan” proposto dal team Kushner agli attori regionali, colpevole di muoversi attorno a una logica economica e non politica.

Proprio le premesse finanziarie che non hanno funzionato in Terra santa guidano invece la stipula del trattato spartiacque dello scacchiere mediorientale moderno: gli “Accordi di Abramo”.

Siglata da Israele, Bahrein, EAU e USA; l’intesa prevede la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra lo stato ebraico e i paesi arabi, contraccambiata dall’apertura di fronti commerciali favorevoli; il tutto sotto l’egida degli Stati Uniti.



Private equity tra Golfo, Miami e Tel Aviv

I più critici hanno definito il regista dell’operazione come un “mercante di pace”,  ma è un dato di fatto che gli Accordi siano stati un evento game-changer nelle relazioni arabo-israeliane. Fattore di stabilità dell’area ma, evidentemente, anche movente principale dell’attacco terroristico di Hamas in territorio Israeliano del 7 ottobre 2023.

Secondo la logica economicista che ha sempre guidato le sue azioni, una volta concluso il mandato presidenziale del suocero, Kushner fonda la società di private equity Affinity Partners. Grazie alla profonda rete di conoscenze sviluppata a fianco di Trump, riesce a raccogliere ingenti investimenti mediorientali– su tutti provenienti dal Fondo sovrano saudita- distribuendoli su un fruttuoso portafoglio di investimenti internazionali.

Perno del gruppo, dal punto di vista politico ed economico, il colosso assicurativo israeliano Phoenix, tramite il quale Kushner si rende vettore di iniezione di capitali sauditi nel mercato israeliano. Un modo sì meno romantico di intendere la politica, ma pur sempre politico.

Blair e l’”affaire Gaza”

Proprio dai comuni interessi in Medio oriente nasce il rapporto tra Kushner e Tony Blair.

I due si incontrano nel 2010 per la prima volta a un evento privato, ma è negli anni dell’esperienza alla Casa Bianca che intensificano il loro rapporto. Jared infatti si è sempre affidato alla consulenza di Blair sulle questioni arabo-israeliane, divenendo dopo l’incarico fellow nel Tony Blair Institute

Quando a Miami l’inviato speciale per il Medio oriente della seconda amministrazione Trump, Steve Witkoff, chiede a Kushner supporto nel lavoro di mediazione su Gaza, l’intuizione di coinvolgere anche Blair è immediata.

E’ così che il TBI– generosamente finanziato dal magnate Larry Ellison– inizia a lavorare a un piano comprendente un iniziale cessate il fuoco, seguito dalla transizione politica e dalla riqualificazione economica dell’area. Depurandola dalle stravaganze immobiliari del Presidente, i due presentano la prima bozza a Washington il 27 agosto scorso. La genesi del “piano in venti punti” ripercorre il modus operandi di Kushner: coinvolgimento dei massimi partner economici del Golfo, avvicinamento degli interessi Arabi e israeliani, isolamento dei terroristi con annessa via d’uscita “onorevole”. 

Sirene politiche all’orizzonte degli affari

Gli avvenimenti della passata settimana hanno rappresentato per Trump-Witkoff-Kushner un vero e proprio trionfo. 

La liberazione degli ostaggi israeliani e l’arretramento dell’IDF a Gaza City sembravano fino a pochi giorni fa un miraggio. Invece la diplomazia mercantilista di stampo “Kushneriano”, che come detto in incipit non a caso è un ebreo ortodosso capitalista, ha dato i suoi frutti.

Ora, per Jared risuonano sirene politiche sempre più forti. Sembra si stia formando una cordata di donatori repubblicani favorevoli alla sua candidatura post-Trump. Lo scenario non dispiacerebbe- naturalmente- neanche a gran parte della famiglia presidenziale, ma al momento tutto tace. E Jared nega con decisione qualsiasi interesse politico.

Dopo essere riuscito a trasferire l’epicentro diplomatico americano da Washington a Miami, perché mai tornare nella mischia e muoversi? 

La sua storia, familiare, affaristica, religiosa, fa intendere che questo senso proprio non lo trovi. Ma nulla è scolpito nella pietra. Potrà un giorno quel giovane ebreo che faceva parlare arabi e israeliani diventare Presidente? Jared calcolerà al millimetro tutte le possibilità, e state certi che andrà dove lo porta la logica– non il cuore.


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