O con Israele o nell’ombra: Bernard-Henri Lévy indica il bivio irreversibile dell’Occidente

Piercamillo Falasca
15/06/2025
Orizzonti

«Questa guerra tra Israele e Iran è storica». Con queste parole, Bernard-Henri Lévy ha lanciato un monito che va ben oltre l’attualità immediata. In suo recente post su X, il filosofo francese afferma che se Stati Uniti ed Europa non sosterranno Israele con “tutte le loro forze”, l’asse totalitario — composto da Russia, Cina, islamisti radicali come il Pakistan, e forse in futuro anche la Turchia — potrebbe intervenire in favore di Teheran. Da quel momento, scrive, «entreremo in un altro mondo, in una nuova era della nostra storia».

È un messaggio che, pur nella sua drammaticità, interpella direttamente le classi dirigenti occidentali. La guerra scoppiata tra Tel Aviv e Teheran, con bombardamenti mirati su siti nucleari e reazioni verbali e operative da parte iraniana, segna un punto di svolta. Non solo nel fragile equilibrio del Medio Oriente, ma nella geopolitica globale.

Uno scontro che va oltre il teatro mediorientale

Nel quadro evocato da Lévy, lo scontro in corso non è un episodio isolato, ma il sintomo di una frattura profonda tra due universi. Da una parte, le democrazie liberali, affaticate ma ancora radicate in principi di diritto e pluralismo. Dall’altra, un blocco autoritario che, pur eterogeneo, condivide un’ambizione: riscrivere le regole del sistema internazionale a proprio vantaggio.

L’Iran, sostenuto da una narrativa anti-occidentale di lungo corso, è oggi uno snodo strategico di questa rete. Mosca rafforza le relazioni con Teheran in chiave anti-NATO; Pechino, con il suo pragmatismo opaco, continua a trattare con tutti, ma si muove di fatto contro l’egemonia occidentale. Il Pakistan resta un’incognita, mentre Ankara – pur formalmente legata all’Alleanza Atlantica – gioca da tempo una partita autonoma, oscillando tra sponda islamista e pulsioni neo-ottomane.

L’Europa tra ambiguità e paralisi

Per l’Unione Europea, il bivio è sempre lo stesso: restare spettatrice di un disordine crescente o farsi finalmente soggetto geopolitico. Le cancellerie del continente, finora, hanno adottato un profilo basso. Dichiarazioni prudenti, appelli generici alla de-escalation, ma nessuna vera strategia. Eppure, se davvero ci troviamo di fronte a una trasformazione epocale, la neutralità potrebbe risultare una colpa, non una virtù.

Nel momento in cui Israele si trova esposto a una minaccia sistemica, l’Europa dovrebbe interrogarsi non tanto sulle mosse del governo Netanyahu – che restano legittimamente oggetto di critica – ma sul proprio ruolo in un mondo in cui l’equilibrio tra libertà e autoritarismo rischia di rompersi.

Una questione di identità

Difendere Israele, nel contesto attuale, significa anche riaffermare l’identità dell’Occidente come spazio di civiltà democratica. Non una solidarietà meccanica, ma la consapevolezza che l’indebolimento di un alleato storico, nel cuore di una regione cruciale, avrebbe ripercussioni profonde sulla credibilità stessa dell’ordine internazionale liberale.

L’Occidente, già segnato da divisioni interne e da un senso crescente di smarrimento, non può permettersi di apparire irresoluto. Ogni segnale di esitazione viene immediatamente sfruttato dai regimi che mirano a sovvertire gli attuali equilibri. La “nuova era” di cui parla Lévy non è una metafora: è il possibile scenario in cui norme, alleanze e valori consolidati perdono significato.

La soglia del futuro

Questa guerra, come suggerisce il filosofo francese, è storica perché rappresenta una soglia. O l’Occidente riscopre la propria coesione, la propria visione, la propria determinazione strategica. Oppure verrà progressivamente marginalizzato, reso irrilevante da potenze che non hanno remore nell’uso della forza e nella manipolazione del caos.

L’Europa ha oggi l’occasione – e forse l’ultima possibilità – per dimostrare che le sue aspirazioni globali non sono solo retorica. Servono decisioni, coraggio, visione. Soprattutto, serve smettere di credere che la storia sia finita, e accettare che il futuro si sta già scrivendo, con o senza di noi.