In Ucraina combattono i droni autonomi: la guerra è cambiata per sempre

Sofia Fornari
26/05/2025
Orizzonti

Se hai paura dell’intelligenza artificiale, lascia che te ne dia una ragione in più.
Non è una battuta provocatoria: è una constatazione che fa sobbalzare sulla sedia. Perché mentre a Bruxelles si discutono le linee guida etiche per un’IA trasparente e affidabile, e a San Francisco si riflette sull’equilibrio tra innovazione e sicurezza, ci sono trincee – letteralmente – in cui la guerra è già combattuta da macchine capaci di decidere da sole quando colpire, dove inseguire, come abbattere.

Un post di War Monitor su X ha riportato che porzioni del fronte ucraino sono attualmente difese per la maggior parte da droni, molti dei quali dotati di capacità autonome. Non è una previsione futuribile, ma una fotografia della realtà.
Questi droni non solo sorvegliano, ma combattono, attaccano, reagiscono in modo autonomo. E ci raccontano qualcosa che va ben oltre l’ennesima evoluzione della tecnologia bellica: ci parlano di una soglia che l’umanità ha appena varcato.

Non sono solo occhi nel cielo

Per anni abbiamo pensato ai droni come strumenti di sorveglianza. Piccoli velivoli capaci di vedere meglio, più in alto, più a lungo. Poi li abbiamo visti armarsi: dalle bombe sui pick-up in Afghanistan ai missili lanciati con chirurgica (e discutibile) precisione in Yemen o Libia.
Ma ora è diverso.

In Ucraina, la combinazione tra bisogno militare, spirito di adattamento e innovazione distribuita ha portato allo sviluppo di una nuova generazione di droni: economici, adattabili, capaci di operare anche senza il controllo umano in tempo reale. In alcuni casi, con logiche basate su reti neurali rudimentali, questi droni analizzano segnali termici, movimenti, coordinate GPS, distinguono bersagli, e decidono se attaccare. A volte lo fanno in sciami. A volte anche quando la rete è disturbata e l’operatore è offline.

L’autonomia letale non è più una minaccia futura

Chi si è occupato di AI policy fino ad oggi ha sempre posto un limite preciso: niente “killer robots”, nessuna arma letale completamente autonoma. L’ONU, con tutte le sue lentezze, discute da anni su come vietarle.
Eppure eccole qui, non nel 2035, ma nel 2025. Non nei laboratori di Boston Dynamics, ma nei campi di grano crivellati dell’oblast di Kharkiv.

Siamo ancora lontani da robot umanoidi con fucili in mano. Ma il principio fondamentale – secondo cui nessuna macchina dovrebbe avere l’ultima parola sulla vita o la morte di un essere umano – è già stato messo alla prova. L’Ucraina, costretta a difendersi con ogni mezzo disponibile contro un’aggressione su larga scala, ha spinto sull’innovazione bellica con una rapidità che nessun altro Paese avrebbe potuto eguagliare.
La tecnologia, si sa, non aspetta le regole.



La nuova frontiera della guerra (e dell’innovazione)

Piaccia o meno, l’impiego di droni autonomi sui campi di battaglia segna un’evoluzione che avrà conseguenze profonde anche in tempi di pace. Le soluzioni tecniche sviluppate in contesti militari – dalla gestione degli sciami all’ottimizzazione dell’autonomia decisionale – potrebbero presto trovare applicazioni anche in settori civili: dalla logistica all’emergenza ambientale, fino alla sicurezza delle infrastrutture critiche.

La sfida, dunque, non è solo contenere i rischi, ma valorizzare l’enorme potenziale dell’intelligenza artificiale in contesti di responsabilità, trasparenza e supervisione umana. Serve un’architettura di regole globale, condivisa, capace di tenere il passo con una realtà che cambia più velocemente di quanto le istituzioni riescano a reagire.

E se tutto questo vi spaventa, è perché siamo già entrati in un futuro che fino a ieri sembrava fantascienza. La guerra come l’abbiamo conosciuta è finita, un nuovo paradigma si è imposto.