In Georgia il governo arresta i dissidenti: perché il governo italiano lo legittima?

Nel silenzio quasi assordante della diplomazia europea, il governo georgiano ha compiuto l’ennesimo passo verso l’autoritarismo: l’arresto di Nika Melia, uno dei volti più noti dell’opposizione democratica, segna un nuovo capitolo della repressione politica in corso a Tbilisi. Melia è stato fermato con l’accusa di aver insultato un agente di polizia durante una manifestazione pacifica. Ma dietro l’arresto si nasconde molto di più: la volontà di soffocare ogni voce critica, ogni resistenza civile, ogni aspirazione europea del popolo georgiano.
A far rumore, in Italia, è invece l’assordante indifferenza. Nelle stesse ore in cui le immagini dell’arresto di Melia iniziavano a circolare sui media internazionali, il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli riceveva alla Farnesina il suo omologo georgiano George Zurabashvili per parlare – si legge in una nota ufficiale – dello “stato delle relazioni bilaterali”. Nessuna parola pubblica su quanto accade in Georgia, nessuna condanna, nessuna solidarietà espressa verso le migliaia di cittadini che manifestano da settimane in piazza contro la famigerata “legge sulla trasparenza dell’influenza straniera”, ribattezzata da molti come la “legge russa”.
Un errore strategico che mina la credibilità europea
Il problema non è solo morale, è politico. La scelta di normalizzare i rapporti con un governo che reprime l’opposizione, limita la libertà di stampa, ostacola la società civile e ha abbandonato la rotta europea fino al 2028, non è una svista diplomatica: è un errore strategico che mina le fondamenta della politica estera dell’Unione Europea. Un’Unione che, per essere credibile nel proprio vicinato, deve dimostrare coerenza tra principi e azioni. Non può dirsi promotrice della democrazia e della libertà e poi voltarsi dall’altra parte quando uno Stato partner, candidato ufficiale all’adesione, imbocca la via dell’autoritarismo filorusso.

Nel comunicato ufficiale della Farnesina si legge che «l’Italia continua a sostenere convintamente la necessità di un dialogo franco e costruttivo tra la Georgia, l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica», ribadendo che «l’Unione Europea deve rimanere al fianco del popolo georgiano» e auspicando che Tbilisi «riprenda quanto prima il suo percorso di adesione». Queste dichiarazioni, sebbene formalmente condivisibili e aderenti alla linea comune della UE, finiscono però per essere vuote e addirittura controproducenti, perché di fatto legittimano come interlocutore un governo filorusso, che ha conquistato il potere con brogli elettorali e lo sta mantenendo con un approccio sempre più repressivo.
Schierarsi senza ambiguità
In questo quadro, l’Italia – storicamente tra i paesi più favorevoli all’allargamento dell’UE ai Balcani e al Caucaso – sta scegliendo una linea ambigua, se non apertamente contraddittoria. Accogliere gli esponenti di un regime che ha sospeso il processo di integrazione europea e reprime sistematicamente l’opposizione significa legittimarne l’azione e indebolire l’intera architettura di valori su cui si fonda la politica europea di vicinato. Significa, soprattutto, tradire la maggioranza del popolo georgiano, che non ha mai accettato l’idea di tornare un satellite di Mosca e che continua a scendere in piazza per rivendicare un futuro europeo.
L’Europa deve scegliere da che parte stare. E l’Italia, se vuole contare davvero nella costruzione di un’Europa geopolitica, non può permettersi di restare equidistante tra chi lotta per la libertà e chi costruisce un regime sul modello russo. È il momento di schierarsi, senza ambiguità, al fianco del popolo georgiano. Prima che sia troppo tardi.