I pacifisti non bruciano bandiere, bruciano la verità

Vincenzo D'Arienzo
22/06/2025
Radici

In un’epoca in cui le democrazie liberali sono sotto pressione, strette tra la crescente assertività dei regimi autoritari e la crisi dell’ordine multilaterale, la politica estera non può essere ridotta a slogan da corteo o a totem identitario. È, invece, il banco di prova della credibilità di un Paese sulla scena internazionale, della maturità della sua classe dirigente e della fedeltà ai propri principi fondativi. In questo contesto, l’Italia ha il dovere di mantenere una posizione salda, coerente con il suo ancoraggio euro-atlantico, consapevole del proprio passato e proiettata verso la stabilità globale.

Israele e Iran: quando la realtà smentisce l’ideologia

La manifestazione del 21 giugno a Roma, promossa da esponenti dell’ecologismo radicale e da una parte del centrosinistra, ha riaperto un dibattito urgente ma anche profondamente divisivo. Al centro della contestazione, le operazioni israeliane contro l’Iran, denunciate da alcuni manifestanti come “genocidio”. Un’accusa grave, frutto di una visione ideologica che dipinge Israele come aggressore per definizione e le teocrazie regionali come vittime inermi. Una narrazione distorta che cancella ogni distinzione tra democrazie, pur imperfette, e regimi che opprimono i propri cittadini e minacciano l’ordine regionale.

Difendere Israele – e, più in generale, qualunque democrazia sottoposta a minacce esistenziali – non significa negarne errori o storture. Significa però affermare il diritto di uno Stato sovrano a proteggersi in un contesto in cui attori come Hamas, Hezbollah e il regime iraniano operano apertamente per distruggerlo e sabotare ogni tentativo di stabilizzazione.

Il mito del pacifismo assoluto e la lezione della storia

Le parole di Angelo Bonelli – “non si esporta la democrazia con le bombe” – possono suonare ispirate, ma appaiono disarmate di fronte alla brutalità di certi regimi. Senza l’intervento armato degli Alleati, l’Europa non avrebbe conosciuto la fine del nazifascismo, né sarebbe nato lo Stato di diritto che oggi consideriamo un pilastro della civiltà occidentale. I bombardamenti su San Lorenzo, Dresda o Amburgo furono tragici, ma anche parte del prezzo pagato per riconquistare la libertà. Quando nel 1944 gli americani entrarono a Roma, furono accolti non da manifestazioni pacifiste, ma da cittadini che vedevano in loro la promessa di una nuova era.

Oggi questa memoria è spesso rimossa, sacrificata a un pacifismo selettivo che condanna l’Occidente e assolve i suoi nemici. È la stessa logica che ha assistito in silenzio al crollo dell’Afghanistan: vent’anni di conquiste cancellate in poche settimane, donne e bambine ricacciate nell’oscurità, la libertà soffocata sotto il velo del fanatismo.

Dall’analisi alla militanza: la deriva ideologica dell’anti-occidentalismo

Quello a cui assistiamo non è semplice attivismo pacifista. Le immagini delle ultime manifestazioni parlano chiaro: bandiere israeliane, europee e della NATO date alle fiamme, simboli dell’Occidente liberale profanati tra cori anti-NATO e slogan inneggianti alla “resistenza”. Non è protesta: è ostilità ideologica verso l’Europa, l’Occidente, la democrazia rappresentativa.

In queste piazze non si chiede il cessate il fuoco: si dichiara guerra a un intero sistema di valori.

L’Unione Europea, che da decenni finanzia lo sviluppo dei territori palestinesi, promuove il dialogo interreligioso e investe nel processo di pace, viene oggi rappresentata come una potenza oppressiva e neocoloniale. I suoi simboli, dati alle fiamme nelle piazze occidentali, non sono l’unica vittima di questa furia ideologica: insieme alle bandiere, si brucia anche la verità. Nessuno ricorda le donne iraniane incarcerate per un velo fuori posto, i dissidenti arabi torturati, i giornalisti uccisi dal fanatismo. Questo pacifismo ideologico, mentre si illude di difendere la pace, finisce per distorcere i fatti e capovolgere le responsabilità: non è una protesta, è una menzogna militante contro l’Occidente.



Europa e responsabilità: la bussola della politica estera

Di fronte a questa deriva, l’Europa deve saper distinguere tra critica legittima e propaganda illiberale. È il momento di riaffermare con chiarezza la propria scelta occidentale, senza cedere al relativismo morale. L’Italia ha il dovere di ribadire la propria vocazione europeista e atlantica, partecipando attivamente alla costruzione di una difesa comune credibile, in grado di proteggere non solo i confini fisici, ma anche quelli etici e culturali del continente.

La politica estera non può essere usata come campo di battaglia per il consenso interno. È la dimensione in cui si misura la responsabilità storica di una nazione: la capacità di distinguere tra neutralità e complicità, tra diplomazia e resa. Non tutte le guerre sono giuste, ma non tutte le rinunce sono innocue. E quando le bandiere europee bruciano nelle nostre piazze, fingere di non vedere è già un atto di resa.

Difendere la democrazia non è un’opzione, ma un dovere

In un mondo attraversato da conflitti asimmetrici, revisionismi storici e rigurgiti autoritari, è più che mai necessario difendere i fondamenti del nostro modello di civiltà: libertà, pluralismo, diritti umani. Non si tratta di approvare ogni scelta dei governi occidentali, ma di riconoscere la differenza – sostanziale – tra sistemi aperti e chiusi, tra democrazie imperfette e regimi teocratici.

Chi oggi rifiuta ogni intervento, ogni deterrenza, ogni uso della forza come “imperialismo”, dovrebbe porsi una domanda più scomoda: quale futuro stiamo lasciando ai nostri figli se non siamo disposti a difendere ciò che abbiamo costruito con tanta fatica? Non si afferma la pace bruciando bandiere. Si celebra una resa culturale. E la storia, prima o poi, presenta il conto.