I dossier segreti dell’FSB: Russia e Cina amiche solo davanti alle telecamere

Eugen Richter
08/06/2025
Frontiere

La retorica ufficiale parla di una “partnership senza limiti”. Vladimir Putin e Xi Jinping si stringono mani davanti alle telecamere, firmando accordi energetici e celebrando l’unità dei paesi “non allineati” contro l’Occidente. Ma dietro le quinte, nei documenti riservati del Servizio di sicurezza federale russo (FSB), il volto della Cina è descritto come quello di un concorrente ostile, di uno spietato osservatore del conflitto in Ucraina e, forse, di un futuro revisionista territoriale. A rivelarlo è un’inchiesta esplosiva del New York Times, pubblicata il 7 giugno 2025, basata su un documento classificato dell’intelligence russa e confermata da fonti di intelligence di sei paesi occidentali. Un thread di Massimiliano Di Mario, attento osservatore delle dinamiche russe, ha rilanciato con efficacia in Italia il contenuto di questa fuga di notizie, sottolineando la portata strategica e simbolica della rivelazione.

Una minaccia chiamata alleato

Il documento, un piano di otto pagine redatto tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, rappresenta una crepa profonda nel mosaico apparente dell’asse Mosca-Pechino. In esso, l’FSB descrive la Cina non solo come una fonte crescente di preoccupazioni in ambito di sicurezza, ma addirittura come un “nemico” sotto copertura, impegnato attivamente a spiare la Russia e a prepararsi a scenari di conflitto futuri.

Secondo quanto riportato dal New York Times, gli agenti cinesi avrebbero intensificato l’attività di intelligence contro la Russia, prendendo di mira scienziati, funzionari della difesa e istituzioni militari. L’obiettivo: appropriarsi di tecnologie sensibili legate alla guerra moderna, in particolare alle tattiche con i droni e ai sistemi di contromisure contro le armi occidentali. Ma non solo. L’intelligence cinese starebbe studiando con grande attenzione il comportamento delle truppe russe sul campo ucraino, con l’intento di adattare quelle strategie a contesti futuri, in primis nel Mar Cinese Meridionale o nello stretto di Taiwan. Un’osservazione clinica e utilitaristica, che trasforma il massacro in Ucraina in un laboratorio per le ambizioni globali di Pechino.

“Entente-4”: controspionaggio al tempo dell’amicizia

Fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il Cremlino ha fatto affidamento sull’appoggio economico e diplomatico della Cina per compensare l’isolamento occidentale. Ma proprio pochi giorni prima del 24 febbraio 2022, il FSB aveva già attivato un programma interno di controspionaggio, denominato Entente-4, mirato a limitare la penetrazione cinese nei settori scientifici e industriali strategici russi.

Il nome dell’operazione — che evoca ironicamente l’antica alleanza anti-tedesca della Prima guerra mondiale — riflette in realtà un cortocircuito geopolitico: mentre la narrazione ufficiale insiste sull’unità euroasiatica contro l’Occidente, i servizi segreti agiscono già come se Pechino fosse un avversario mimetizzato.

Entente-4 non è stato un semplice programma difensivo, ma una campagna sistematica di monitoraggio, informazione e persuasione nei confronti di cittadini russi coinvolti in relazioni con la Cina, per prevenirne l’infiltrazione o la manipolazione. Le autorità di sicurezza, secondo quanto emerge dal documento, temono che il coinvolgimento cinese nei programmi accademici e industriali in Russia sia solo una facciata per finalità ben più profonde.

L’ombra lunga del passato e il ritorno delle mappe

I sospetti del Cremlino non si fermano allo spionaggio. Una sezione particolarmente inquietante del dossier riguarda le possibili rivendicazioni territoriali cinesi sull’Estremo Oriente russo. I servizi russi denunciano l’attività di ricercatori cinesi che, con il pretesto di studi etno-storici, tracciano connessioni tra popolazioni locali e antichi popoli cinesi. In parallelo, alcune pubblicazioni cinesi avrebbero ripreso l’uso di toponimi storici cinesi per designare regioni annesse dalla Russia zarista nel XIX secolo. Il timore? Che Pechino stia preparando il terreno per una futura revisione dei confini, lavorando sulla memoria e sull’immaginario, piuttosto che sul diritto internazionale.

Massimiliano Di Mario, nel suo thread, sottolinea anche come queste preoccupazioni non siano nuove: già da anni, una parte dell’establishment russo teme che la crescente proiezione cinese in Siberia e nella regione dell’Amur possa un giorno trasformarsi in pressione politica o territoriale. In quest’ottica, il dossier FSB sembra confermare che questi timori non sono più solo ipotesi accademiche, ma valutazioni operative.



L’Artico, l’Asia Centrale e le rotte della diffidenza

Le tensioni emergono anche in altri teatri geopolitici. Il documento classifica come sospette molte delle iniziative accademiche e umanitarie portate avanti da Pechino in Asia Centrale e Artico, due aree in cui la Russia considera ancora intatta la propria influenza post-sovietica. Secondo l’FSB, dietro progetti minerari, missioni scientifiche e scambi culturali si celano operazioni sistematiche di raccolta dati e di costruzione di influenza: soft power travestito da cooperazione.

In particolare, l’Artico è descritto come un’area critica: aziende cinesi, spesso collegate al governo, raccoglierebbero dati strategici mascherandoli da ricerche geologiche, posizionandosi così per future pretese su risorse e rotte navali. Un’avanzata silenziosa, compatibile con la tradizionale strategia cinese della “penetrazione graduale”.

Dipendenza e ambiguità: la Russia cammina sul filo

Eppure, nonostante le paure e le operazioni di controspionaggio, il Cremlino non può permettersi un confronto diretto. La Cina è oggi il primo acquirente di petrolio russo, un partner insostituibile per la fornitura di componenti elettronici e militari, e un ombrello diplomatico nel sistema multilaterale. L’FSB invita dunque i suoi quadri alla massima cautela: ogni iniziativa nei confronti della Cina deve essere autorizzata ai massimi livelli politici. In altre parole, la priorità è evitare scandali, gestire la frizione con discrezione, tenere nascosto lo scontro.

È una strategia che rivela una profonda ambiguità. Da un lato, Putin continua a esibire una sintonia personale con Xi Jinping — più di quaranta incontri bilaterali negli ultimi anni —. Dall’altro, il suo apparato di sicurezza lavora per contenere quella stessa Cina, come se l’invasione dell’Ucraina avesse consegnato la Russia a una nuova dipendenza, forse ancor più opprimente di quella occidentale.

Oltre la retorica, un equilibrio instabile

Il documento dell’FSB, se autentico — come confermano il New York Times e sei agenzie occidentali —, costringe a riconsiderare il vero equilibrio dentro la cosiddetta “grande alleanza eurasiatica”. Le dichiarazioni pubbliche mascherano un rapporto pieno di diffidenze, tensioni e divergenze strategiche. La Cina, da parte sua, si muove con abilità: mantiene formale neutralità sulla guerra, si posiziona come attore di pace, ma intanto osserva, assorbe, analizza, copia, espande.

La Russia, incastrata tra sanzioni e isolamento, ha legato il proprio destino a un gigante che non risponde ad alcun obbligo di lealtà. E il vero pericolo per il Cremlino potrebbe venire, un giorno, da Pechino.