Il vero crimine è stato costruire i gasdotti Nord Stream, non distruggerli
l recente rifiuto della Polonia di estradare un cittadino ucraino sospettato di coinvolgimento nelle esplosioni dei gasdotti sottomarini Nord Stream riapre un capitolo complesso della geopolitica energetica europea.
Il primo ministro Donald Tusk ha dichiarato che Varsavia non intende consegnare Volodymyr Z. alla Germania, ribadendo come il vero problema non sia l’attacco al Nord Stream 2, ma la sua stessa costruzione.
Una posizione che non è solo giudiziaria, ma strategica: Tusk rimette in discussione l’intera politica energetica europea degli ultimi quindici anni.
La graduale costruzione di una sudditanza
L’8 novembre 2011, Angela Merkel, raggiante, inaugurava il flusso del Nord Stream a Lubmin, insieme a Medvedev, Fillon e Rutte. Era il simbolo di un’Europa che (nonostante l’invasione della Georgia di tre anni prima) pensava ancora di poter costruire la pace attraverso il gas.
Ma quella visione — condivisa da Berlino, Parigi e dalla schiacciante maggioranza dell’élite europea — si è trasformata in un errore strategico.
Alla costruzione parteciparono giganti come Snam, Saipem, GDF-Suez e Rolls-Royce, in nome di una realpolitik che chiudeva gli occhi sulla deriva autoritaria del Cremlino.
Il tutto mentre i movimenti ambientalisti radicali – alcuni dei quali foraggiati dalle lobby del gas – si agitavano in tutto il continente per far spegnere le centrali atomiche e riportavano incredibili successi in Italia, Germania, Belgio e Spagna, a tutto vantaggio dei magnati di Mosca.
Per consolidare ulteriormente la dipendenza dell’Europa dal gas russo, aggirando i Paesi di transito dell’Est e tagliando fuori Kiev (che aveva già sofferto le invasioni della Crimea e del Donbass), venne poi costruito il Nord Stream 2.
Varsavia, Vilnius e Riga lo denunciarono fin dall’inizio come una minaccia diretta alla sicurezza continentale. Oggi, la Polonia considera quel gasdotto un monumento alla connivenza dell’Europa occidentale, costruito con capitali russi e fondi tedeschi in un’illusione di equilibrio economico che ha finito per favorire Mosca.
Le esplosioni del 2022 nel Mar Baltico segnarono la fine di quell’illusione: non esiste più separazione tra economia e geopolitica, ammesso che fosse mai esistita.
E ancora Merkel difende le sue scelte
Eppure c’è tuttora chi rimpiange quell’epoca di complicità interessata nei crimini di Putin, come se gli eventi degli ultimi tre anni fossero stati solo uno spiacevole incidente.
Ancora qualche giorno fa Merkel ha descritto il 2021 come l’anno in cui “Putin non prendeva più sul serio l’accordo di Minsk” (che in realtà aveva già infranto più volte nel 2015), spiegando di aver tentato una nuova forma di dialogo con lui.
In un’intervista al media ungherese Partizán, l’ex cancelliera ha dichiarato che la proposta di negoziati diretti tra UE e Russia, sostenuta da Macron, fu bloccata da Polonia e Paesi baltici (da cui la Russia, in quei sedicenti “negoziati”, chiedeva che si ritirassero tutte le truppe Nato, trasformandoli in prede indifese).
Non c’è da stupirsi se quei paesi oggi definiscono “incredibile” la posizione dell’ex cancelliera, accusandola di fare “il gioco di Putin”.
Non si può più tornare indietro
La recente intervista di Merkel mostra la distanza tra due Europe: quella dell’accondiscendenza e quella della deterrenza.
Tusk, oggi, ne rappresenta il contrappunto.
La sua frase — “il problema non è che Nord Stream 2 sia stato fatto saltare in aria, ma che sia stato costruito” — sintetizza la lezione politica del presente: il vero crimine non è stato la distruzione del gasdotto, ma l’illusione che potesse garantire stabilità a un’Europa che aveva scelto, quando guardava la Russia, di non vedere ciò che esisteva realmente ma ciò che le faceva comodo vedere.








