Diavolerie bulgare sull’euro, quando la moneta tocca l’anima delle nazioni
Quando si cambia moneta si punzecchia un nervo sensibile dell’identità collettiva. Lo si vide chiaramente in Italia all’inizio del 2002, quando le nuove banconote in euro suscitarono non solo curiosità economiche, ma anche reazioni di tipo simbolico e perfino superstizioso. In molti notarono subito l’assenza di volti, personaggi storici o monumenti reali. Al loro posto, le banconote presentavano ponti, finestre e portali stilizzati, ispirati a diversi stili architettonici europei, ma del tutto inventati. Questo linguaggio architettonico volutamente neutro fu giudicato da alcuni freddo, impersonale, quasi massonico.
Inoltre, alcuni videro nelle banconote segni “sospetti”: sulla banconota da cinque euro, ad esempio, si poteva intravedere, piegandola in un certo modo, il numero 13, notoriamente associato alla sfortuna. Il viola della banconota da cinquecento euro evocava invece il colore bandito dal teatro, altro simbolo di cattivo presagio. Nulla di realmente fondato, naturalmente, ma si trattava di un gioco collettivo, un modo per esorcizzare le novità, per alleggerire l’ansia di un cambiamento epocale. Allo stesso tempo, però, quelle interpretazioni contenevano un linguaggio sottinteso, una resistenza culturale che segnalava il disagio di abbandonare un pezzo di identità nazionale — la Lira — per adottare una moneta percepita come estranea, distante, simbolo di un potere sovranazionale.
A distanza di oltre vent’anni, la storia sembra ripetersi, stavolta in Bulgaria. A pochi mesi dall’ingresso ufficiale del Paese nell’eurozona, previsto per gennaio del prossimo anno, un video virale sui social ha alimentato le polemiche: vi si mostrano alcune banconote da cinquanta euro che, se piegate in un certo modo e osservate allo specchio, rivelerebbero — secondo gruppi religiosi e movimenti euroscettici — la sagoma del diavolo. Un’interpretazione fantasiosa, ma che ha trovato terreno fertile nel movimento nazionalista “Rinascita”, che ha fatto propria la polemica, trasformando l’ombra del demonio in una vera e propria bandiera contro l’euro.
Funziona, perché sposta l’attenzione dai numeri al piano dei valori, della memoria collettiva, del senso di appartenenza. Il timore di perdere un simbolo identitario come il Lev bulgaro diventa così una questione di sovranità, di autonomia culturale e politica.
La Banca Centrale Europea ha replicato con toni fermi: “Non esiste alcun messaggio nascosto o riferimento occulto nelle banconote in euro. Le figure che qualcuno interpreta come un demone sono semplicemente il frutto di piegature e riflessi ottici, non del design ufficiale.” Bruxelles ha inoltre ricordato che i disegni delle banconote si ispirano a stili architettonici europei e vogliono rappresentare valori di apertura, comunicazione e cooperazione.
Ma il dato politico resta. Una parte significativa della popolazione bulgara vive con timore l’entrata nell’eurozona. Per alcuni il problema è principalmente economico, con la paura che i prezzi salgano, che gli stipendi non tengano il passo e che il costo della vita aumenti. Per altri, è soprattutto una questione identitaria: il Lev è una moneta storica, radicata nella memoria collettiva, e sostituirla significa rinunciare a un simbolo nazionale. È qui che la superstizione diventa utile: vedere il diavolo nella banconota non è altro che un modo simbolico per esprimere paure concrete — la paura di perdere il controllo, di diluire la propria identità, di affidarsi a un’entità percepita come lontana.
E l’Italia e la Bulgaria non sono casi isolati. Anche in Germania, nel 2002, l’euro fu accolto con freddezza da una parte dell’opinione pubblica. Circolavano voci di aumenti mascherati dei prezzi, e i media avevano coniato il termine “Teuro” (da teuer, “caro” in tedesco) per sottolineare come, secondo la percezione popolare, tutto sembrasse costare di più con la nuova moneta.
Insomma, cambiare moneta non è mai solo una questione economica. È anche, e forse soprattutto, una questione simbolica. Il denaro, dopotutto, è anche una costruzione culturale: rappresenta fiducia, sicurezza, continuità.
È accaduto in Italia, accade oggi in Bulgaria, e probabilmente accadrà ancora nei prossimi Paesi destinati ad adottare l’euro, come la Romania o i Paesi balcanici ancora in fase di transizione. Buon euro alla Bulgaria, dunque, con l’augurio che la vera sfida non sia cercare demoni sulle banconote, ma domare i conti pubblici, proteggere il potere d’acquisto e garantire crescita e stabilità.
Dopotutto, la superstizione l’abbiamo messa in discussione già con l’Illuminismo del Settecento.








