Dazi al 50 per cento all’Europa? Trump si comporta da agente russo-cinese


Donald Trump non ha mai amato l’Unione Europea. Lo aveva detto da candidato nel 2016, lo ha dimostrato da presidente, e lo ribadisce oggi, da presidente tornato alla Casa Bianca. Con un post su Truth, il suo social network, Trump ha raccomandato di imporre dazi diretti del 50% su tutti i prodotti europei a partire dal 1° giugno 2025, a meno che non siano fabbricati negli Stati Uniti. Il messaggio è semplice: “se volete vendere in America, dovete produrre in America”. La retorica è quella della guerra commerciale, lo stile è quello della rappresaglia, ma l’effetto sarebbe, se attuata, quello di un terremoto economico.
Trump accusa l’Unione Europea di essere “stata creata con lo scopo principale di trarre vantaggio dagli Stati Uniti”. È una distorcente lettura storica e politica, che ignora settant’anni di cooperazione atlantica, di investimenti incrociati, di imprese americane che prosperano in Europa e di forniture europee che sostengono l’industria statunitense. Ma è soprattutto una lettura miope: colpire l’Europa con dazi del 50% significa colpire la spina dorsale del mercato globale occidentale, alimentando una spirale di ritorsioni che finirà per danneggiare anche i consumatori e le imprese americane.
Il danno all’Europa – e il boomerang per l’America
L’Unione Europea è il principale partner commerciale degli Stati Uniti. Le catene di approvvigionamento che legano le due sponde dell’Atlantico sono fitte, complesse e profondamente integrate. Aumentare artificialmente il costo delle importazioni europee significherebbe far lievitare i prezzi per i consumatori americani, ostacolare l’innovazione, e indebolire la competitività dell’industria statunitense. L’autarchia che Trump sogna non solo è economicamente dannosa, ma anche tecnicamente impossibile: nessuna nazione può prosperare nel XXI secolo chiudendosi al mondo.
Per l’Europa, la sfida è doppia: difendersi dalla minaccia di nuovi dazi e, al tempo stesso, non cadere nella tentazione di un protezionismo speculare. L’errore da evitare è pensare che Trump rappresenti un’anomalia americana: se questa politica dovesse passare senza una risposta ferma e strategica, l’intera architettura commerciale dell’Occidente rischierebbe di collassare sotto il peso delle paure identitarie e delle nostalgie industriali.

Un disarmo economico dell’Occidente
La posta in gioco è più alta di quanto sembri: non si tratta solo di commercio, ma di leadership geopolitica. In un momento in cui la Cina rafforza la propria influenza globale e la Russia rimette in discussione le regole fondamentali dell’ordine internazionale, l’Occidente dovrebbe unirsi attorno a principi condivisi, a partire dalla libertà economica e dal rispetto delle regole multilaterali. Invece, l’America trumpiana si propone come distruttrice di ponti, più interessata a isolarsi che a guidare.
Il paradosso è evidente: nel nome dell’“America First”, Trump rischia di rendere l’America più debole, più isolata, più povera. E nel farlo, mette a rischio la coesione di tutto l’Occidente. Sta agendo, consapevolmente o meno, come un vero e proprio facilitatore degli interessi russi e cinesi, indebolendo dall’interno quell’alleanza transatlantica che Mosca e Pechino sognano da tempo di dividere.
Se questa strategia dovesse prevalere, non ci sarebbero vincitori. Solo un’Europa più sola, un’America più chiusa, e un mondo meno libero.