Crisi Russia: il cibo scarseggia, l’erario langue e Putin ha finito gli alibi

Daniele Venanzi
09/06/2025
Poteri

Un Paese stanco, impoverito, ora persino affamato. È il ritratto di una Russia stremata, che per sostenere lo sforzo bellico raschia il fondo del barile di petrolio. Una guerra che, nei sogni di gloria del Cremlino, avrebbe dovuto condurre alla vittoria lampo in tre giorni, assume sempre più i connotati di una sconfitta lunga tre anni, riportata su ogni fronte: militare, economico, civile, politico.

Un Paese che raschia il fondo del barile… di petrolio

A mancare, per ammissione dello stesso Putin, sono persino le patate, alimento base della dieta dei russi. Quelle reperibili, come in ogni economia di guerra, hanno registrato un’impennata nei prezzi senza precedenti, con un rincaro del 133%, che ne rende l’acquisto ormai proibitivo per i ceti popolari. Parimenti, nell’ultimo anno il costo degli ortaggi è raddoppiato, in una carestia di generi alimentari che riflette il severo squilibrio strutturale che attanaglia l’economia del Paese, alle prese con stime inflazionistiche del 7,6% su base annua che mettono in ginocchio i consumi.

La ricetta del disastro è presto spiegata. La torsione bellica, infatti, ha spinto la spesa militare al 7,1% del Pil, dato più alto registrato dai tempi dell’Urss, in aumento del 38% dall’anno scorso, con oltre il 40% del bilancio 2025 destinato a spese per difesa e sicurezza. Un incremento, questo, che eccede di gran lunga le attuali possibilità finanziarie di Mosca, stretta tra la morsa del tetto al prezzo del suo greggio, imposto dai Paesi occidentali a 60 dollari al barile e sceso del 20% da inizio anno, e il preoccupante aumento del deficit di bilancio, balzato all’1,7% del Pil e che, soprattutto, galoppa sempre più con il passare dei mesi. Principali imputati del dissesto sono proprio il crollo verticale dei proventi fiscali da idrocarburi (-17% su base annua) e la contestuale stagnazione dell’economia, ulteriormente congelata dai sostenuti tassi d’interesse della banca centrale, al 20% nel mese in corso. Per fornire una misura del fenomeno, la sola Unione Europea ha ridotto dell’85% il proprio rifornimento di idrocarburi dalla Russia dal 2022 al 2024, causando una contrazione di 122 miliardi di euro nei ricavi energetici del Cremlino.

L’emorragia dei conti, la fine degli alibi

L’erario appare dunque condannato a un’emorragia senza rimedio, data l’impossibilità di ritoccare a ribasso l’esborso militare in una fase che vede la controffensiva ucraina riportare successi rilevanti in teatri chiave del conflitto. Un’impasse, questa, non scalfita nemmeno dal recente aumento del prelievo fiscale, con il doloroso abbandono dell’emblematica flat tax e una crescita delle imposte su imprese e persone fisiche per molte classi di reddito. È così, in un’implicita ammissione che ha il sapore della sconfitta, che lo Zar dichiara che le risorse stanno finendo, e con loro anche i soldati, sempre più giovani, da mandare al fronte. Stando alle stime di Radio Free Europe, infatti, entro l’estate il bilancio tra morti e feriti nello schieramento russo raggiungerà il milione di uomini, con il più alto tasso di mortalità dalla Seconda Guerra Mondiale. Ora, a fornire ulteriore deterrente all’arruolamento volontario, si aggiunge il netto taglio, in diverse province del Paese, dei generosi bonus pecuniari previsti all’assoldamento, fino a pochi mesi fa superiori al reddito medio annuo dei cittadini russi. È solo uno dei molteplici risvolti pratici di una crisi che vede anche il progressivo prosciugamento del Fondo Sovrano, sempre più a corto di liquidità, impiegata nell’urgenza di rattoppare i ragguardevoli buchi di bilancio. Appena quattro anni fa, infatti, le riserve ammontavano a 117 miliardi di dollari, mentre oggi ne restano solo 31: un dissanguamento che induce talune stime a predire il sostanziale esaurimento dei fondi entro il prossimo autunno.

Così, la retorica sciovinista, un tempo forte di un consenso indiscusso, sembra ormai battere la ritirata, incrinata dalle crepe di un Paese allo stremo. Lo Zar appare sempre più nudo, incapace di celarsi ancora dietro al paravento dell’ambizione geopolitica che oggi, come unico frutto, produce il vistoso indebolimento del tessuto economico e sociale di una nazione che si credeva impero e si riscopre provincia del mondo sviluppato, destinata a un isolamento politico, tecnologico e commerciale che la condanna all’irrilevanza globale.