Un camion ha vinto la più grande battaglia aerea del 21° secolo

“Il 1° giugno, la Russia perse in un solo giorno venti bombardieri nucleari”.
Sembra una frase tratta da un romanzo distopico o apocalittico, in cui le flotte aeree delle grandi potenze si sfidano nei cieli mentre le esplosioni a terra spazzano via milioni di vite. Peraltro, se nel bollettino di una guerra fantascientifica leggessimo questa notizia, penseremmo che la Russia sia in grave crisi.
Invece è il risultato di una semplice ma geniale operazione architettata dai servizi segreti ucraini: l’operazione Ragnatela.
Un piano perfetto
I preparativi sono iniziati un anno e mezzo fa. I droni sono stati fabbricati in Kazakistan con le stampanti 3D, sono stati programmati per collegarsi alla rete Internet russa e poi sono stati nascosti nel sottotetto di alcune casette prefabbricate in legno. Queste ultime sono state esportate con agio in Russia a bordo di cinque camion.
I camion, appartenenti tutti alla stessa ditta, hanno quindi ricevuto casualmente un ordine di consegna nelle zone in cui si trovano le cinque basi di Olenya (regione artica di Murmansk), Ivanovo (nei pressi della capitale Mosca), Diaghilevo (regione caucasica di Ryazan), Belaya (in Siberia, non distante dal celebre lago Baykal) e Ukrainka (regione di Amur, nell’estremo Oriente).
Per non destare sospetti, i finti clienti che avevano acquistato le casette prefabbricate non risiedevano nelle precise località in cui sorgono le basi: i cinque camionisti, però, hanno ricevuto dal proprietario della ditta (il misterioso trentasettenne “Artyom”) l’indicazione di fermarsi per la loro sosta obbligatoria presso bar o stazioni di servizio che erano proprio a Olenya, Ivanovo, Diaghilevo, Belaya e Ukrainka.
Una volta arrivati lì, i camion si sono aperti automaticamente all’insaputa degli stessi autisti, e i 117 droni sono sciamati sugli aeroporti militari.
Simili, appunto, a ragni che si calano a sorpresa dalla ragnatela sulle loro prede indifese.
Il loro itinerario di volo era stato già impostato in anticipo, ma una volta arrivati a destinazione hanno dovuto riconoscere con l’Intelligenza Artificiale come sia fatto un bombardiere russo e, anzi, addirittura dove siano i suoi punti deboli, come le giunture delle ali o il serbatoio del carburante.
Nessun problema però: gli ucraini avevano a disposizione un abbondante dataset di immagini sulle quali addestrare l’IA, visto che a Poltava tengono ancora aperto un museo dell’aviazione strategica (ovvero con capacità nucleare) dell’epoca sovietica. Del resto, anche se in questi tre anni i media hanno diffuso un’immagine dell’Ucraina come un’arcadica pianura tutta grano e girasoli, era stata il cuore industriale dell’URSS e se lo ricorda bene.
Quei bombardieri dell’epoca sovietica, i famigerati Tupolev, sono tuttora gli unici che i russi abbiano a disposizione. Non ne hanno più costruiti di nuovi e non sono più in grado di costruirne di nuovi, men che mai sotto il regime delle sanzioni. Dunque, ogni perdita di un bombardiere Tupolev è irreparabile.
L’impatto materiale
Le colonne di fumo hanno cominciato ad essere avvistate e filmate già qualche minuto dopo l’attacco.
Il presidente ucraino Zelensky ha annunciato al mondo di aver colpito 41 bombardieri strategici, circa un terzo dei 120 (di cui solo 80 operativi) che la Russia possiede.
Dalle immagini satellitari disponibili al grande pubblico, grazie ad aziende come Maxar e Umbra Space, finora è stato possibile confermare 13 colpi andati a segno.
Stime russe parlano invece di un totale di 20 velivoli perduti, i più preziosi dei quali non sarebbero tanto i bombardieri quanto due Beriev A-50, gli “Airborne Warning and Control Systems” (AWACS) della Federazione.
Si tratta di veri e propri radar volanti, che durante una guerra aerea permettono di avere consapevolezza in tempo reale delle mosse del nemico e di coordinare i propri squadroni.
Dopo che l’Ucraina ne aveva abbattuto uno nel 2023 e un secondo nel 2024 ne restavano operativi solo cinque: dunque, se davvero l’operazione Ragnatela ne ha eliminati altri due, ormai coprire l’intero territorio russo in caso di un conflitto esistenziale (ad esempio contro gli USA o la Cina) sarebbe pressoché impossibile.
Il “tridente nucleare” del Cremlino, costituito dai sottomarini, dalle basi missilistiche a terra e dall’aviazione strategica, adesso ha la sua terza punta gravemente indebolita rispetto ai due potenziali rivali.
È ancora pensabile, per Putin, minacciare un conflitto atomico in queste condizioni svantaggiate?
L’impatto morale
È difficile descrivere quanto sia stato eccitante il successo dell’operazione Ragnatela per il popolo ucraino.
Gli attacchi missilistici più letali che avevano colpito le città ucraine negli ultimi tre anni avevano coinvolto quasi sempre i bombardieri Tupolev, accanto ai caccia Sukhoi e ai droni Shahed. Vederli saltare in aria a dozzine aveva tutto l’aspetto di una giusta vendetta, nobilitata ancora di più dal fatto che è stata incruenta e senza vittime umane.
Al gusto della vendetta si è mescolato il momentaneo sollievo: a giudicare dalle immagini, parecchi dei bombardieri colpiti erano già carichi di missili Kh-101, pronti a compiere un’altra strage.
Già nella notte del 31 maggio erano stati scagliati contro i civili ucraini 472 droni e sette missili balistici, assassinando nove persone e ferendone cinquanta. Le difese antiaeree del paese cosacco erano in seria sofferenza.
Per la notte del 1° giugno, a quanto pare, era previsto un massacro ancora peggiore, il cui scopo si intuisce: mettere in ginocchio gli ucraini in vista del 2 giugno, quando si sarebbero tenuti a Istanbul gli umilianti colloqui ai quali l’Ucraina sta venendo costretta a partecipare per le esigenze elettorali del nuovo presidente americano.
Colloqui umilianti perché ogni volta la Russia invia una delegazione di burocrati di secondo rango, ai quali tuttavia mette in bocca le solite richieste di resa completa: consegna definitiva di cinque regioni, rinuncia ad avere armi pesanti ed alleati internazionali, elezioni “supervisionate”, in una parola il ritorno alla condizione di provincia sottomessa come se nulla fosse accaduto negli ultimi 35 anni.
Fino a quella notte, in breve, la Russia putiniana aveva continuato a ritenersi una grande potenza imperiale alle prese con uno staterello vassallo da punire e ricondurre all’obbedienza, alternando la pazienza alla minaccia e la violenza cieca alla magnanimità.
Anche i filorussi che intasano i social media nostrani vivono di questo bisogno di una Russia paterna, perseverante e sicura di sé, che troneggia sull’agitazione “piccoloborghese” degli europei e dei loro imitatori ucraini. Un bisogno che a mio parere ha radici psicologiche e caratteriali molto più che politiche.
Medvedev, il non sempre sobrio ministro di Putin, ci ha più volte sguazzato, ricordando ai suoi fan che al tavolo dei negoziati siedono solo la Russia e l’America trumpiana, mentre gli europei sono “sotto il tavolo” come cani o “sopra il tavolo” come carni cotte.
E il fascino che la Russia esercita sui MAGA americani è dovuto quasi del tutto a questa sua proiezione come paese gerarchico, feudale, premoderno e nonostante questo – anzi, proprio per questo! – invulnerabile. Il regime di Putin si regge interamente sulla capacità di incutere paura nei nemici e ammirazione nei servi.
Ebbene, se così stanno le cose, perdere venti bombardieri contro dei droni fuoriusciti da un camion è una catastrofe senza rimedio. È una figura da imbecilli e da incapaci agli occhi del mondo.
È un colpo durissimo alla favola dell’invulnerabilità russa, che ridà fiato ovunque ai sostenitori della linea dura contro Putin: gli stessi repubblicani del Congresso americano ora parlano di nuove sanzioni con un tono che qualche mese fa non si sarebbero neanche sognati di usare.
In una guerra che non si può vincere sul campo, perché la tecnologia militare di oggi impedisce qualunque manovra rapida, e non si può neanche risolvere con un accordo, perché in gioco c’è l’esistenza stessa del popolo ucraino e del regime russo, demolire il prestigio internazionale di Putin ha un’importanza decisiva. Demoralizza i suoi servi (interni ed esterni), incoraggia i suoi nemici (interni ed esterni) e affretta la chiusura della morsa intorno a lui (dentro e fuori dalla Russia).
Non a caso, il 3 giugno gli 007 ucraini hanno messo a segno un nuovo colpo spettacolare contro il ponte di Crimea, di cui stavolta hanno danneggiato le fondamenta sottomarine invece della campata su cui passa la strada.
Ripararlo, perciò, non sarà facile come nel 2023. Un’altra ferita nell’orgoglio del dittatore, del quale il ponte è sempre stato, per sua stessa volontà, un simbolo visibile.
Il web, che lo sa, ha già scatenato la sua ironia, con filmati generati dall’IA nei quali un camion subacqueo va a distruggere i piloni del ponte. Il Cremlino, però, dovrebbe essere più preoccupato da ciò che sta succedendo sul web cinese, dove gli ultranazionalisti che attendono il crollo della Russia e la riconquista di Vladivostok sono a dir poco euforici.
Non si poteva più aspettare
Una domanda però sorge spontanea: se l’operazione Ragnatela era pronta da più di un anno, perché farla scattare proprio adesso?
La risposta che mi do ha un retrogusto amaro: perché l’Ucraina sta attraversando davvero il suo momento più difficile.
Da quando l’esercito russo ha imparato a padroneggiare i droni a fibra ottica, respingere le sue avanzate ha un costo di sangue intollerabile. In questo momento 125.000 uomini sono tornati a invadere le regioni settentrionali di Kharkiv e Sumy, diverse brigate sono tornate all’assalto nella regione meridionale di Zaporizhzhia, e non sono che due diversivi rispetto all’offensiva principale a Est, che cerca di oltrepassare le tre roccaforti di Pokrovsk, Toretsk e Chasiv Yar.
Con le difese antiaeree esauste, gli ucraini subiscono perdite che un tempo non avrebbero subito: Mikhailo Drapatyi, il giovane e amato comandante della fanteria, ha rassegnato le sue dimissioni dopo che un missile russo ha centrato un poligono di addestramento a Dnipro. L’allarme era stato dato, le reclute erano state fatte scendere nei bunker, ma l’impatto ne ha comunque uccise 12 e ferite 60.
Senza difese antiaeree questi lutti sono inevitabili, e senza il supporto degli Stati Uniti le difese antiaeree resteranno sguarnite.
Insomma, non si poteva più aspettare. Una vittoria morale e comunicativa gigantesca come quella del 1° giugno era necessaria come l’ossigeno, per tentare di riallineare intorno a Kiev tutto il sostegno internazionale che le occorre.