Arabia Saudita e USA verso un nuovo patto difesa. Nel solco degli Accordi di Abramo

Vincenzo D'Arienzo
20/10/2025
Orizzonti

L’Arabia Saudita e gli Stati Uniti si preparano a rilanciare una partnership che potrebbe ridisegnare il quadro della sicurezza mediorientale. Secondo quanto riportato dal Financial Times, l’amministrazione Trump starebbe lavorando a un accordo di difesa con Riad, simile al patto siglato con il Qatar il mese scorso, che impegnerebbe Washington a considerare qualsiasi attacco al regno come una minaccia diretta alla propria pace e sicurezza nazionale.

Il principe ereditario Mohammed bin Salman potrebbe firmare l’intesa già durante la sua prossima visita alla Casa Bianca, prevista per il mese prossimo. Si tratterebbe di un accordo “robusto”, con un ampliamento della cooperazione militare e di intelligence tra i due Paesi, in un contesto regionale segnato da tensioni crescenti fra Israele, Iran e Gaza.

Una svolta strategica per Riad e Washington

L’intesa in discussione riflette un mutamento profondo della strategia saudita: dopo anni di aperture verso Cina e Russia, Riad sembra pronta a tornare sotto l’ombrello della sicurezza americana. La prospettiva di un patto formale con gli Stati Uniti rappresenterebbe non solo una garanzia militare, ma anche un segnale politico chiaro: la leadership saudita intende riaffermare il proprio ruolo centrale nel mondo arabo, all’interno di una nuova architettura di alleanze nel Golfo Persico.

Per Trump, si tratterebbe di un successo simbolico e strategico. Il possibile allargamento degli Accordi di Abramo, da lui stesso rilanciato con l’annuncio che “l’Arabia Saudita e altri si uniranno presto”, rafforzerebbe la narrativa di un Medio Oriente stabilizzato grazie alla diplomazia americana, in contrapposizione al caos generato dalle politiche di disimpegno degli ultimi anni.

L’ombra iraniana e la questione di Gaza

Dietro la dimensione diplomatica, tuttavia, l’accordo ha una chiara valenza di dissuasione verso l’Iran. Riad, nonostante i timidi tentativi di distensione avviati nel 2023, teme l’instabilità crescente nella regione e la capacità di Teheran di proiettare potere attraverso le milizie alleate in Iraq, Siria e Yemen.

Allo stesso tempo, la guerra a Gaza e il deterioramento dei rapporti tra Israele e il mondo arabo rendono più complessa l’eventuale normalizzazione tra Riad e Tel Aviv. Un accordo di difesa con Washington potrebbe offrire ai sauditi lo spazio politico per avvicinarsi a Israele senza compromettere la loro legittimità nel mondo musulmano, soprattutto se accompagnato da garanzie a favore della causa palestinese.

Una politica estera di realismo e interessi

Sia per Washington che per Riad, questo nuovo patto rientra in una logica di realismo geopolitico. Gli Stati Uniti puntano a consolidare la propria influenza nel Golfo in un momento di competizione globale con la Cina; l’Arabia Saudita, dal canto suo, cerca di assicurarsi protezione e stabilità per portare avanti i progetti economici della Vision 2030, che richiedono un contesto regionale meno volatile.

Ma non mancano i rischi: un impegno di difesa reciproca con Washington potrebbe trascinare gli Stati Uniti in nuove crisi regionali, mentre per Riad significherebbe rinunciare, almeno in parte, alla propria autonomia diplomatica. Inoltre, un’eccessiva enfasi sull’asse militare potrebbe ridurre lo spazio per il dialogo multilaterale, compromettendo i tentativi di distensione che negli ultimi anni avevano ridotto la tensione nel Golfo.



Il Medio Oriente di Trump: tra pragmatismo e rischio instabilità

L’annuncio di Trump di un’imminente espansione degli Accordi di Abramo è coerente con una visione pragmatica, centrata su alleanze bilaterali e interessi di sicurezza condivisi. Tuttavia, la pace duratura nella regione non può basarsi solo sulla deterrenza o sugli accordi di difesa: richiede un approccio politico inclusivo, che riconosca la complessità dei conflitti in corso, a partire da quello tra Israele e Palestina.

Se il nuovo patto USA-Arabia Saudita dovesse concretizzarsi, segnerebbe il ritorno a un ordine regionale fondato sull’egemonia americana. Ma la vera sfida sarà capire se questo modello, che privilegia la stabilità rispetto al dialogo, potrà davvero garantire un equilibrio sostenibile in un Medio Oriente che resta, oggi più che mai, frammentato e imprevedibile.


Casa Europa