Accordo sulle terre rare: il vero master of the deal è Zelensky

Piercamillo Falasca
01/05/2025
Frontiere

Altro che Trump il negoziatore: il nuovo accordo siglato tra Stati Uniti e Ucraina sulle terre rare rappresenta un capolavoro negoziale di Zelensky. Nato dal tentativo di Trump di riformulare gli equilibri globali sulla base del “payback” e del primato americano, l’accordo si è rivelato tutt’altro che un’operazione predatoria. Per usare categorie tutte trumpiane, è stato proprio il presidente ucraino il vero “master of the deal”.

Una trattativa difficile, un risultato inatteso

Nei primi mesi di trattativa, Washington sembrava voler capitalizzare l’enorme sostegno militare ed economico dato all’Ucraina sin dal 2022 pretendendo accesso preferenziale alle sue risorse naturali come corrispettivo del sostegno militare fino a quel momento fornito. La bozza iniziale del patto, a detta dello stesso Zelensky, sembrava più un tentativo di costringerlo a svendere il Paese. Ma dopo settimane di confronti accesi, interruzioni nei flussi di aiuto e persino la fallita firma durante la visita presidenziale a febbraio, è emerso un compromesso che oggi rappresenta un modello di collaborazione internazionale equilibrata.

L’accordo, firmato il 30 aprile a Washington dal ministro dell’economia ucraino Yulia Svyrydenko, istituisce un fondo di investimento congiunto tra i due Paesi, basato su una governance 50/50. Non ci sarà alcuna cessione di proprietà o di sovranità: le risorse del sottosuolo ucraino rimangono saldamente nelle mani dello Stato ucraino, e ogni attività di estrazione resta soggetta alla normativa nazionale e alle decisioni del governo di Kyiv. Le società statali, come Ukrnafta ed Energoatom, non verranno privatizzate, e il gettito destinato al fondo proviene esclusivamente da nuove licenze, lasciando intatti i progetti già in essere.

Un’intesa nel rispetto della sovranità

In altre parole: nessuna spoliazione coloniale, nessun dominio unilaterale statunitense, nessun tradimento delle prerogative costituzionali di Kyiv o del suo percorso europeo. L’accordo, infatti, si affianca e non contraddice il partenariato già esistente tra Ucraina e Unione Europea siglato nel 2021.

Per una volta, la retorica muscolare di Trump si è dovuta piegare all’economia reale: un’America sotto pressione per l’inflazione e il rischio recessione, ansiosa di accedere a fonti alternative alle forniture cinesi di materiali critici, ha dovuto riconoscere il valore strategico – e non subordinato – dell’Ucraina. La creazione del fondo comune è, di fatto, una scelta pragmatica per mettere in sicurezza investimenti americani futuri e garantire un accesso trasparente, ma non esclusivo, alle ricchezze minerarie ucraine.

Zelensky costringe Trump alla realtà

Zelensky non ha semplicemente ottenuto un accordo. Ha rovesciato la logica dello scambio imposto, ha fatto valere il diritto internazionale e la propria Costituzione, e ha costretto anche l’amministrazione più transazionale della storia americana a riconoscere i limiti dell’unilateralismo.

Alla fine, la pace – anche quella commerciale – non si costruisce con gli slogan di Fox News e di Truth Social, ma con pazienza, equilibrio e fermezza. Il vero negoziatore, in questo round, è stato Zelensky.