A spese dell’Ue: il voto in Polonia è il trionfo dell’azzardo morale

Il risultato delle presidenziali polacche dal punto di vista istituzionale lascia le cose come stavano, con un capo dello stato sovranista – prima Duda, ora Nawrocki – impegnato a intralciare l’azione della coalizione di governo europeista, guidata da Tusk. Dal punto di vista politico segna però una evidente battuta d’arresto delle forze politiche e del premier che nel 2023 avevano riportato la Polonia, dopo otto anni di governo del PIS (Prawo i Sprawiedliwość – Diritto e Giustizia), al centro dei processi di governo europei, sottraendo il Paese più forte e rappresentativo alla coalizione di Visegrad. Il voto polacco ha replicato alcune caratteristiche ormai comuni a quasi tutti i Paesi europei, con una fortissima polarizzazione generazionale (giovani e anziani a sostegno dei sovranisti, la popolazione adulta degli europeisti) socio-culturale (persone a media e alta scolarizzazione pro-Ue, gli altri in maggioranza anti-Ue) e territoriale (aree rurali anti europeiste e quelle urbane e industrializzate europeiste). Nel voto contro Bruxelles si sommano, in Polonia come ovunque, istanze molto diverse e contraddittorie, dalla recriminazione per l’eccessiva ingerenza di Bruxelles negli affari interni dei paesi membri, alla scarsità degli aiuti europei per rimediare alle difficoltà degli elettorati nazionali. Inoltre, l’agenda sovranista ordina priorità che riflettono insicurezze o emergenze percepite, che spesso hanno poco o nulla a che fare con la realtà, ma tantissimo con le lenti ideologiche che le narrazioni strategiche sovraniste (gemelle di quelle russe) rappresentano agli occhi di un elettorato inconsapevole e impaurito.
La convergenza tra propaganda e benefici economici
Nel successo di Nawrocki, che ha incamerato i voti di Mentzen, arrivato terzo al primo turno (il candidato filo-russo con questo programma “Sogno un paese senza ebrei, omosessuali, aborto, tasse ed Eu”), e Braun, arrivato quarto (con una piattaforma ancora più razzista), hanno trovato grande spazio i costi della guerra in Ucraina, a partire dagli oltre due milioni di profughi oggi ospitati in Polonia e delle politiche anti-immigrazione, sebbene la Polonia con i Paesi baltici sia evidentemente la frontiera più esposta dell’Ue rispetto alla minaccia russa e sia uno dei Paesi europei con meno immigrati in rapporto alla popolazione residente, il 2,6% del totale. La Polonia che ha eletto Nawrocki e che si sogna “senza Europa” è il Paese che nel 2014 ha ricevuto 14,1 miliardi di euro dal bilancio dell’UE, con un saldo netto di 7,1 miliardi, e un contributo alla spesa pubblica nazionale pari a circa il 3,4%. Vista la composizione della spesa europea – contributi allo sviluppo e alla politica agricola comune – è facile dedurre che queste risorse siano andate innanzitutto a favore delle aree territoriali che hanno consegnato la vittoria a Nawrocki. D’altra parte se la Polonia è tra i Paesi Ue che sono cresciuti di più nell’ultimo decennio questo è dovuto in larga misura alla sua integrazione nel mercato unico europeo. Senza Ue la Polonia sarebbe più povera e i poveri polacchi ancora più poveri.
L’azzardo morale e l’urgenza di una nuova formula europeista
Una lettura ingenua e benevola di queste dinamiche elettorali potrebbe portare a concludere che, date le caratteristiche dell’elettorato sovranista, a guidare le sue scelte sia stata soprattutto l’inconsapevolezza. Una lettura più realistica porta a concludere che questo voto sia stato un esempio da manuale di azzardo morale, che peraltro in Italia conosciamo molto bene perché è stato da sempre lo schema del nostro rapporto con l’Ue in particolare sui temi della finanza pubblica, ma anche della regolazione corporativa delle attività economiche. Il capolavoro della grancassa mediatica anti-europea, cioè della vera e propria guerra ibrida alle democrazie europee, è stato non solo di fare pensare che l’Ue sia il nemico che espropria gli stati e i cittadini di ogni potere, ma che sia possibile sfruttare le debolezze dell’Ue campando di rendita sulla sua paralisi politica. Gli elettori polacchi anti-europei in cuor loro credono che sia possibile stare politicamente fuori dall’Ue e continuare a ricavarne i vantaggi consueti e che le conseguenze negative del nichilismo anti-europeo non siano destinate a ricadere sui nichilisti, ma possano essere socializzate e ripartite con un saldo costantemente positivo.
È lo stesso riflesso degli italiani che per anni hanno creduto che l’Italia fosse too big to fail e che quindi l’indisciplina finanziaria italiana alla lunga non potesse essere sanzionata, perché per l’Europa questo sarebbe stato un omicidio-suicidio. La maggioranza, sia pure risicata, dei polacchi ha pensato qualcosa di simile, avendo preso una consapevolezza ormai precisa dei difetti intrinseci di una costruzione europea da “tempi di pace” e degli ampi margini di ricatto assicurati dai poteri di veto degli stati membri. Lo dimostra da anni Orban, che minaccia di spaccare tutto, e poi incassa per non spaccare niente il prezzo dell’estorsione. Sentiremo nei prossimi giorni accorati appelli a prendere sul serio il “malessere” espresso dal voto in Polonia.
Bisognerebbe invece considerare l’elezione di Nawrocki l’ennesima dimostrazione che oggi la sfida principale degli europeisti e dell’europeismo è di trovare la formula politica e istituzionale per impedire agli anti-Ue di campare a spese dell’Ue.