L’arte al servizio del potere: Gergiev e la propaganda normalizzata in Campania

La Reggia di Caserta, uno dei luoghi simbolo della bellezza e della storia italiana, ospita quest’estate Un’Estate da RE, festival musicale promosso dalla Regione Campania. Sul podio, tra i nomi internazionali, spicca Valery Gergiev, direttore d’orchestra russo noto non solo per la sua bravura musicale, ma per il suo legame stretto – pubblico e politico – con Vladimir Putin.
La scelta di invitare Gergiev ha provocato una valanga di polemiche, non solo per la sua figura, ma per il modo in cui l’intera operazione è stata sostenuta con fondi pubblici, anche europei.
La polemica è tanto più seria perché tocca una questione istituzionale: possiamo davvero usare risorse delle Regioni italiane per accreditare sulla scena culturale europea un uomo che da anni è uno degli strumenti propagandistici del Cremlino?
Un direttore d’orchestra al servizio del regime
Gergiev non è solo un artista. È un ambasciatore. Ma non dell’arte, bensì della politica imperiale del Cremlino. Ha sostenuto apertamente l’invasione della Crimea, ha diretto concerti nei territori occupati come gesto simbolico di legittimazione, è comparso accanto a Putin in comizi patriottici. Non a caso, dopo il 2022, molti teatri occidentali – da Vienna a Milano, da Monaco a New York – hanno interrotto ogni collaborazione con lui, chiedendogli senza successo di prendere le distanze dalla guerra.
E invece, a luglio 2025, lo ritroviamo a Caserta, accolto con tutti gli onori. Con fondi pubblici. E con il sostegno politico del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.
La critica di Pina Picierno: non è solo una questione artistica
La presenza di Gergiev ha suscitato reazioni durissime, tra cui quella di Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo. Non si è trattato di un gesto simbolico, ha sottolineato l’eurodeputata, ma di una scelta grave, che lede i valori fondanti dell’Unione: “Con i fondi europei non si può finanziare l’esibizione di un fiancheggiatore del Cremlino. È una vergogna”. Ma soprattutto, ha evidenziato Picierno, c’è un problema più profondo, culturale e politico insieme: “C’è chi, dopo tre anni e mezzo di guerra, non ha ancora capito che prestare il fianco al regime di Putin rappresenta una legittimazione del suo imperialismo abietto”.
Il suo appello, rivolto sia alla Regione che agli organizzatori del festival, è stato esplicito: rimuovere Gergiev dal programma, per impedire che i soldi dei contribuenti – e ancor più, quelli dell’Unione Europea – finiscano a finanziare chi si è schierato, pubblicamente e coerentemente, con un regime aggressore e criminale. La posizione di Picierno non è un’eccezione, ma una linea di principio: la cultura non può essere usata per lavare la coscienza dei regimi, né per anestetizzare l’opinione pubblica europea di fronte alla brutalità della guerra.
Pevchikh e la denuncia internazionale
Anche Maria Pevchikh, presidente della Anti-Corruption Foundation fondata da Alexei Navalny, ha commentato la vicenda con preoccupazione. In un post su X, ha puntato l’attenzione sul profilo politico del presidente De Luca, ricordando come in un video pubblicato a inizio 2024 – dunque non in risposta diretta alle polemiche su Gergiev – il governatore campano illustrasse “le vere ragioni” dell’invasione dell’Ucraina, mostrando una mappa della presunta “espansione della NATO” e riecheggiando parola per parola la propaganda del Cremlino.
La pubblicazione di quel video, rilanciato anche sui canali ufficiali della Regione, fa riflettere. C’è una visione del mondo che relativizza l’aggressione russa e delegittima l’Occidente; scrive Pevchikh: “Word for word, straight from Putin’s playbook. He’ll be pleased.”
La questione è istituzionale, non solo culturale
In Campania – come altrove – si può e si deve programmare cultura di livello internazionale. Ma farlo usando denaro pubblico per invitare un artista che è un portavoce del regime russo significa mandare un messaggio molto rischioso: la guerra non conta più, il sostegno a un dittatore non è un problema, tutto si assolve nel nome della musica.
E questo, in un momento storico in cui l’Ucraina continua a seppellire i suoi morti sotto le bombe russe, è un insulto. Anche perché la Regione Campania ha una triste esperienza nell’aprire i propri canali a narrazioni tossiche: basti ricordare l’enfasi con cui, durante la pandemia, furono promossi contenuti favorevoli al vaccino Sputnik, nonostante fosse privo di validazione scientifica europea. Oggi si rischia di fare lo stesso con la propaganda culturale del Cremlino.
Una normalizzazione pericolosa
Ciò che sta accadendo a Caserta è il sintomo di un processo più profondo: la lenta e insidiosa normalizzazione della propaganda russa nei contesti istituzionali europei. Non si tratta più solo di campagne di disinformazione sui social o di influencer vicini al Cremlino. Quando un presidente di Regione difende – direttamente o indirettamente – un artista che ha legittimato l’annessione militare di territori sovrani, siamo di fronte a qualcosa di più pericoloso: l’erosione della bussola morale dell’Europa.
La libertà d’espressione non significa indifferenza verso le responsabilità. E la cultura non può diventare il cavallo di Troia dell’autoritarismo. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee ed ideali diversi e magari contrastanti. La società aperta, pena la sua autodissoluzione, è chiusa agli intolleranti e ai violenti.
Non possiamo permetterci la cecità
Invitare Gergiev oggi non è un atto neutrale. È una dichiarazione. È una scelta che racconta da che parte si sceglie di stare, anche quando si finge di non scegliere.
E se l’Europa vuole continuare a definirsi uno spazio di libertà, dignità e giustizia, deve pretendere che l’uso dei suoi fondi sia coerente con quei valori.
Il silenzio, in questo caso, sarebbe complicità.
De Luca può continuare a parlare di pace, di apertura, di dialogo tra culture. Ma in un’epoca in cui la democrazia è sotto attacco da parte dei peggiori regimi illiberali al mondo, anche un festival può diventare un campo di battaglia. E chi finanzia, programma o difende non è mai fuori dal gioco: è parte della storia che si scrive. Anche tra le colonne di una Reggia barocca.