L’Ucraina a Putin, il resto a me: Trump e la rivincita della logica a somma zero

Carmelo Palma
03/07/2025
Orizzonti

Gli Stati Uniti hanno interrotto la fornitura di armi per la difesa antiaerea all’Ucraina esattamente nel momento in cui questa è sottoposta ai più violenti attacchi missilistici dall’inizio della guerra.
Dietro la scelta dell’amministrazione Usa, giustificata con l’alibi di non sguarnire i propri arsenali, utili in altri scenari di crisi, c’è una precisa strategia, prevista da alcuni analisti quando scattò l’operazione israelo-americana in Iran.

Tra Trump e Putin non c’è solo un patto bilaterale di spoliazione dell’Ucraina, con la Russia che se ne prende un pezzo e gli Usa che ne sfruttano il pezzo residuo in cambio di un simulacro di sicurezza, garantita proprio dall’accordo tra Cremlino e Casa Bianca.
Tra Trump e Putin c’è un patto globale – che magari qualche fattucchiera geopolitica del partito Maga legittimerà in funzione anticinese – per la riperimetrazione delle zone di influenza, con Putin che lascia agli Usa il Medioriente e Trump che lascia libera la Russia di scorrazzare in Ucraina e in Nord Africa, sostituendo la Siria con la Libia, e mettendo l’Europa nel mirino non solo dei missili, ma anche di una pressione migratoria geo-politicamente orientata, come sta facendo la Bielorussia sui confini orientali dell’Ue.

Il patto globale tra Trump e Putin è quindi programmaticamente contro l’Ucraina e contro l’Europa che entrambi ritengono, per ragioni sostanzialmente identiche, un intralcio al pieno dispiegamento della potenza neo-imperiale dei “grandi”.
Della strategia trumpian-putiniana si può ovviamente esecrare la scandalosa malvagità, ma in primo luogo occorre comprenderne i presupposti per così dire “filosofici”. Come non si può comprendere il fascismo e il comunismo semplicemente indagando la mostruosità morale e psicologica di Hitler e di Stalin, senza approfondire i fondamenti storico-culturali dei due fenomeni, così non si può capire (e neppure fronteggiare) quel che Trump e Putin stanno realizzando se non si capisce quale filo di coerenza leghi quello che fanno e quello che pensano.
Se rispetto a Putin c’è una qualche (piccola) consapevolezza che la sua strategia è legata alle paranoie e frustrazioni del Russkiy Mir e a una nostalgia imperiale che lega e riabilita insieme passato zarista e sovietico, rispetto a Trump non solo gli amici, ma anche gli avversari sembrano non volere guardare fino in fondo nell’abisso dell’America First (forse per paura, come avrebbe detto Nietzsche, che l’abisso guardi dentro di loro).



Il rifiuto dell’Occidente e la logica a somma zero

La dottrina Trump è semplice, perché si basa sul ripudio radicale dei fondamenti dell’Occidente liberal-democratico, così come si è andato costruendo negli ottant’anni che ci separano dalla fine della Secondo Guerra mondiale. Cosa è stato l’Occidente? Un ordine politico internazionale fondato su una scommessa intellettuale e morale: quella della possibilità di superare i giochi politici e economici “a somma zero”, per cui al guadagno di qualcuno (di libertà, di ricchezza, di sicurezza) consegue una perdita corrispondente da parte di qualcun altro.

È stato un ordine di pace e non di guerra, di diritto e non di sopraffazione, non perché impersonato da santi uomini o sante donne, ma perché guidato dalla fiducia razionale che un sistema di cooperazione e competizione internazionale fondata sul rule of law, per gli individui e per gli stati, avrebbe “moltiplicato” quel capitale di sviluppo e di felicità umana che la violenza politica non solo “divide” in parte arbitrariamente disuguali, ma deteriora e corrompe.

La “somma zero” non è in assoluto illogica, ma risponde a un funzionamento primitivo della mente umana, che riduce ogni problema di scarsità o di pericolo in un “mors tua, vita mea”, quando per l’assoluta maggioranza dei problemi che gli individui e le società devono affrontare le soluzioni più efficienti hanno una base cooperativa, che riconosce la natura non necessariamente maligna delle interdipendenze competitive.

Infatti la storia dell’Occidente e la fortuna straordinaria degli Stati Uniti sono lì a dimostrare che la scommessa di una “America globale” è stata vinta ed oggi proprio questo successo viene sconfessato ed abiurato dal suo principale beneficiario.

Il trumpismo come ideologia neo-imperiale

Il trumpismo è il ritorno prepotente della logica “a somma zero”. Ciò che guadagnano gli altri, lo perdono gli americani. E come l’Occidente pre-trumpiano ha provato a universalizzare il modello sperimentato all’interno delle società occidentali, facendo dei rapporti di diritto non solo il fondamento delle relazioni sociali, ma anche di quelle internazionali, la dottrina Maga è partita dalla guerra dell’America contro il mondo per arrivare alla teorizzazione di una necessaria guerra civile americana, che salvi gli Stati Uniti dai suoi nemici interni, mentre li fa trionfare sui suoi nemici esterni.

Venuto meno il suo fondamento epistemico, l’ordine liberal-democratico cessa di esistere se non come organizzazione elettorale della violenza politica interna e internazionale, che è quanto il trumpismo sta provando a perfezionare nella forma di una autocrazia plebiscitaria imperiale.
Trump si trova bene con Putin non tanto per un’uguale abiezione morale, ma per la comune convinzione intellettuale che Russia e Stati Uniti abbiamo diritto al risarcimento di ciò che è stato loro tolto e che nella giungla delle relazioni politiche tra gli individui e tra gli stati l’unica forma di giustizia è il rispetto della catena alimentare tra i “grandi” e i “piccoli”.