Perché i governi europei criticano Israele su Gaza ma lo sostengono sull’Iran (mentre l’Italia si eclissa)

Piercamillo Falasca
18/06/2025
Orizzonti

C’è un’apparente contraddizione nella politica estera dei tre principali Paesi europei — Regno Unito, Francia e Germania — nei confronti di Israele: da un lato, forti critiche per la condotta nella Striscia di Gaza; dall’altro, un sostegno pressoché incondizionato nel confronto con l’Iran. Eppure, questa dinamica non è frutto di incoerenza, ma di una lucidissima gerarchia delle minacce. L’Europa distingue tra ciò che considera moralmente inaccettabile e ciò che reputa strategicamente intollerabile. È una distinzione che L’Europeista condivide e rivendica.

Il dilemma del dopo 7 Ottobre

La guerra tra Israele e Hamas ha posto l’Europa davanti a un dilemma doloroso. Se da un lato il diritto alla difesa di Israele dopo il massacro del 7 ottobre è stato riconosciuto da tutte le cancellerie europee, dall’altro l’offensiva israeliana su Gaza è stata giudicata sproporzionata, con gravi ricadute sulla popolazione civile palestinese. I tre governi europei — oggi guidati da Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz — hanno espresso con crescente nettezza il loro dissenso: Londra ha sospeso i negoziati per un accordo di libero scambio con Israele; Parigi ha imposto restrizioni alla partecipazione israeliana a fiere militari; Berlino ha messo in discussione la fornitura di armamenti. Si tratta di prese di posizione che riflettono sentimenti pubblici e parlamentari molto sensibili alla questione umanitaria, e una memoria storica — in particolare in Germania — che impone il rispetto rigoroso del diritto internazionale.

Queste reazioni sono insomma il riflesso di un’opinione pubblica europea sensibile alle immagini di devastazione e all’idea di “punizione collettiva” inflitta a una popolazione civile già allo stremo. Ma sono anche l’espressione di un principio: la forza va usata nel rispetto delle regole e a Gaza, agli occhi di molti in Europa, Israele ha oltrepassato questa soglia.

Iran: la minaccia strategica

Eppure, gli stessi leader che condannano le modalità dell’intervento israeliano a Gaza, riconoscono a Tel Aviv il diritto — e il dovere — di difendersi dalla minaccia iraniana. La differenza di tono è evidente, e pienamente giustificata da almeno tre elementi.

Il primo è la gravità dell’allarme nucleare. Il recente rapporto dell’AIEA ha certificato una violazione sistematica da parte di Teheran del Trattato di Non Proliferazione: arricchimento dell’uranio a livelli senza precedenti, assenza di cooperazione, opacità strategica. L’Iran, in altre parole, è ormai una potenza sul punto di acquisire l’arma atomica.

Il secondo fattore è il legame tra Teheran e Mosca. L’asse tra gli ayatollah e Vladimir Putin, con la fornitura di droni iraniani per la guerra in Ucraina, ha cambiato la percezione dell’Iran in Europa. Non è più solo un attore regionale problematico, ma parte di un fronte autoritario globale.

Il terzo elemento è il peso storico della minaccia. L’Iran è noto da decenni per le sue operazioni clandestine in Europa: attentati, omicidi mirati, tentativi di sabotaggio. L’attuale cancelliere tedesco Friedrich Merz lo ha ammesso candidamente: “Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi“. Quando una potenza autocratica, alleata con la Russia, punta all’atomica e mantiene una lunga tradizione di terrorismo internazionale, la risposta non può che essere ferma.

L’equilibrio europeo non è una contraddizione

Da fuori può sembrare un’ambiguità, ma in realtà l’approccio europeo è molto lineare. Si può — e si deve — chiedere a Israele di rispettare il diritto internazionale a Gaza. Ma si può — e si deve — sostenere Israele quando affronta un pericolo esistenziale come quello rappresentato dall’Iran. Non si tratta di due pesi e due misure, ma di due registri diversi: uno etico, l’altro strategico.

Chi confonde i due piani finisce per adottare una posizione ideologica, incapace di distinguere tra errore politico e minaccia strutturale. L’Europa ha scelto invece una postura responsabile: sanziona ciò che ritiene sproporzionato, ma non abdica al proprio ruolo di garante della sicurezza globale.

Come ha notato Laura Blumenfeld della Johns Hopkins University, “Netanyahu può essere criticato per Gaza, ma l’Iran è un’altra storia: è uno Stato teocratico che ha annunciato la volontà di distruggere Israele, e che oggi è a un passo dal farlo con mezzi atomici. Il sostegno a Israele, in questo caso, è quasi obbligato.



L’Italia a rischio smarrimento

E l’Italia? Assente. Non ostile, ma semplicemente non pervenuta. Il governo Meloni sta sprecando un’occasione cruciale per rafforzare il proprio profilo internazionale. Né in sede G7, né in ambito NATO, né all’interno dell’Unione europea, la voce italiana si distingue per iniziativa, chiarezza o coerenza.

Le dichiarazioni ufficiali della Farnesina sono generiche, prudenti fino all’evanescenza. Le prese di posizione parlamentari, quando arrivano, appaiono timide e spesso contraddittorie. E anche nell’opinione pubblica italiana, i temi di politica estera restano marginali, fagocitati dalle beghe interne.

L’Italia è spesso percepita come un attore secondario nella definizione della postura europea verso le grandi crisi internazionali, limitandosi a seguire le scelte altrui senza esercitare influenza propria. L’ulteriore conferma è arrivata anche nel G7 in corso in Canada, dove la premier Meloni non è riuscita a ottenere un ruolo centrale nelle discussioni su Iran, Ucraina o Medio Oriente.

La nostra linea

Noi de L’Europeista crediamo che in politica estera serva chiarezza morale e visione strategica. Non ci si può rifugiare nell’equidistanza quando è in gioco l’equilibrio globale. È legittimo — e necessario — criticare Israele per le operazioni su Gaza che violano il diritto umanitario. Ma è altrettanto legittimo — e forse ancor più urgente — sostenere Israele quando affronta una minaccia esistenziale come l’Iran. Non farlo significa ignorare la posta in gioco.

L’Italia dovrebbe avere il coraggio di dire entrambe le cose. Con fermezza, con chiarezza e con responsabilità. Finché non lo farà, continuerà a contare meno di quanto potrebbe e dovrebbe.