“In Russia regime fascista, ma la gente ormai vuole solo pace”, intervista al Premio Nobel Oleg Orlov

“Cosa dovrebbe fare l’Europa per favorire la fine del conflitto in Ucraina? Tenere a mente che la maggior parte dei russi è stanca di questa guerra. Quindi fare pressione sulla Russia con sanzioni e sostenere l’Ucraina in ogni modo possibile: militare, politico, economico. Per aiutare la Russia, prima di tutto, è indispensabile impedire che Putin vinca la guerra“.
Oleg Orlov, Premio Nobel per la Pace e cofondatore di Memorial, è una delle voci più autorevoli nel panorama dei diritti umani in Russia. L’organizzazione che ha contribuito a fondare — una delle più rilevanti nella storia civile russa — è stata ufficialmente bandita dal regime di Putin e ha cessato le proprie attività. Da oltre trent’anni, Orlov si è impegnato nella denuncia di crimini di guerra, repressioni politiche e gravi violazioni dei diritti umani, documentando le sofferenze da Cecenia alle carceri russe. Già nel 1995 si offrì volontario come ostaggio nella crisi di Budënnovsk per salvare civili: un gesto che testimonia il suo costante impegno. Nel febbraio 2024, fu condannato a due anni e mezzo di detenzione per aver descritto il regime di Putin come “totalitario e fascista” in un articolo. Il 1° agosto dello stesso anno venne liberato nell’ambito di uno scambio fra Russia e Occidente: da una parte, il rilascio di attivisti e cittadini detenuti ingiustamente; dall’altra, la restituzione a Mosca di criminali condannati quali il sicario Vadim Krasikov. L’istituzione di Memorial fu osteggiata proprio perché — secondo il potere putiniano — ogni memoria critica doveva essere cancellata. Dopo la sua liberazione, Orlov ha subito abbracciato due obiettivi: il sostegno concreto all’Ucraina e l’impegno costante per la liberazione di chi è ingiustamente detenuto.

Riesco a scambiare qualche parola con Orlov alla fine dei suoi cinque giorni di tour italiano, conclusosi a Roma con un turbinio di incontri istituzionali e non, che lo hanno portato anche in Parlamento, dove ha partecipato a un’audizione insieme a Leonid Soudalenko, della Ong bielorussa Viasna, fondata da Ales’ Bialiatski, oggi in carcere e ad Oleksandra Romantsova del Centro per le Libertà civili di Kyiv. Insieme a Memorial, le altre due condividono non solo gli scopi legati alla difesa dei diritti civili, ma anche un Nobel per la pace “collettivo”, vinto nel 2022.
I tre hanno preso parte anche ad un vivace confronto, programmato presso l’Istituto Affari Internazionali, coordinato da Nathalie Tocci, nel corso del quale si è parlato ovviamente della Russia, vista sotto le diverse prospettive ed inevitabilmente dell’attuale conflitto.
«Quello russo è un regime fascista» aveva esordito l’attivista 72enne durante l’incontro, spiegando come per fare questa affermazione, che è poi la stessa usata come pretesto per farlo finire in carcere, si basi su una definizione di fascismo prodotta dall’Accademia delle Scienze russa nel 1995 su richiesta dell’allora presidente Eltsin.
Subito dopo aveva anche spiegato che, nonostante la chiusura, Memorial continua ad operare clandestinamente insieme ad una rete di organizzazioni per offrire assistenza materiale, economica e giuridica nei confronti delle numerose vittime delle violazioni sistematiche dei diritti civili.
C’è quindi un pezzo di società russa che resiste al regime?
Assolutamente. E potrei fare molti esempi. Innanzitutto c’è una stampa libera, che, anche se fisicamente fuori dalla Russia, lavora sulla Russia ed è molto seguita, nonostante queste realtà stiano vivendo una fase di difficoltà grazie soprattutto al signor Trump. Vorrei che fosse chiaro però che la maggior parte dei russi è stanca e vuole la pace, una pace qualsiasi. Ci tengo a precisarlo, perché in genere a fare notizia è invece la minoranza molto attiva che sta fomentando questa guerra.

In Occidente, Italia inclusa, si ritiene vero il contrario, cioè che Putin nel portare avanti il conflitto goda di ampio consenso popolare.
Mi chiedo da dove prendiate questi dati. Nessuna indagine sociale può essere considerata affidabile se condotta su una popolazione che sa che anche solo una risposta sbagliata può causarti il carcere. La verità è che il regime ha molta paura della reazione popolare e del possibile malcontento. Pensiamo ad esempio a questa guerra: l’esercito avrebbe bisogno di molti più uomini per schiacciare l’Ucraina, ma Putin si guarda bene dal proporre una mobilitazione generale perché quando lo ha fatto si sono persino viste proteste pubbliche per questo. Allo stesso modo potrebbe costringere i russi a partire per il fronte senza essere obbligato a pagare loro stipendi stratosferici, ma non lo fa perché teme che la sua popolarità ne risenta. O ancora i ragazzi di 18-19 anni arruolati potrebbero essere spediti in prima linea, ma questo non succede, perché la loro morte avrebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica. Ripeto, Putin ed il suo regime temono l’impopolarità
In Russia abbiamo visto crescere in questi anni un certo revisionismo storico da parte del regime, con l’esaltazione del passato zarista e sovietico. Qual’è la ragione di questa ossessione di Putin per la storia?
Per il regime la storia non è una scienza, ma uno strumento da utilizzare per scopi politici. Aggiungerei che è uno strumento determinante. Tutto viene rapportato al passato. Vinceremo la guerra come in passato, saremo un impero come in passato. L’idea stessa di futuro che la dittatura russa sta delineando per il paese è interamente rivolta al passato. Ma lo vediamo anche con l’Ucraina. Kyiv è la madre di tutte le città russe, ma basta leggere o ascoltare le interviste di Putin per comprendere come manipolando la storia per giustificare l’invasione, l’Ucraina venga rappresentata come un’invenzione russa.
Ma questa insistenza del regime sul grande sacrificio sovietico contro il nazismo e la rappresentazione costante di un Occidente pronto a muovere guerra alla Russia, non rischia di alimentare un risentimento della popolazione contro l’Europa?
Sì, è possibile, e parte della popolazione crede che l’Europa sia il nemico e che abbia sempre portato il peggio. Ciò non toglie che sia una posizione molto stupida, insensata e infondata, ma esiste. Eppure, sono certo che la maggioranza della popolazione voglia ristabilire relazioni normali e reciprocamente rispettose sia con l’Europa che con l’America. In generale, la popolazione è stanca non solo della guerra, ma anche di questo costante confronto con l’intero Occidente e dell’autoisolamento della Russia.
La domanda precedente era legata all’idea che una popolazione che prova un forte risentimento nei confronti dell’Occidente, dopo Putin, rischia di eleggere qualcuno non molto diverso da lui.
L’elemento determinante secondo me saranno le elezioni. Quelle future non dovrebbero essere per niente come quelle che oggi in Russia qualcuno chiama impropriamente così. Se le elezioni saranno come sono ora, allora non cambierà molto e il risultato sarà assolutamente casuale. Se invece parliamo di vere elezioni, questo significa che ci saranno, probabilmente, campagne elettorali con diversi partiti e candidati, con posizioni diverse, anti-europee, pro-europee, ed altri ancora. Sono certo che in caso di elezioni normali, con una campagna elettorale normale, con una verifica dei risultati elettorali, ed intendo una verifica onesta, la posizione anti-europea non otterrà la maggioranza. Sarà, ovviamente, rappresentata in parlamento. Ma sono certo che non otterrà la maggioranza.
E ritiene possibile delle oneste elezioni in Russia?
Secondo me sono possibili e sono molti a parlarne nell’immaginare il dopo-Putin. Posso dire che noi, come Memorial, abbiamo appena preparato un progetto per i primi 100 giorni dopo Putin, e in quell’occasione proporremo misure molto specifiche per guidare in qualche modo la Federazione Russa verso un percorso democratico. Partiremo proprio dall’organizzazione delle elezioni, affinché siano vere elezioni e non pseudo-elezioni.
La morte di Alexei Navalny ha cambiato qualcosa nella società russa?
Sì ma non in meglio. La morte di Navalny, o meglio il suo assassinio, perché si è trattato di un omicidio, ha avuto un impatto negativo su tutte le forze democratiche anti-Putin, sia in Russia che all’estero. Per coloro che sono ancora presenti e lavorano attivamente in Russia era molto importante sapere che esiste un leader, Navalny, in grado di unire l’intera opposizione attorno a sé. Lui era in grado di unire. Questa speranza ha dato forza e fiducia. Quando un leader o un potenziale leader viene ucciso, beh, questo disorganizza, demoralizza le persone che erano pronte a combattere. Peraltro questo ha avuto un impatto anche all’esterno della Russia, perché l’opposizione politica si è divisa in gruppi che si accusano a vicenda, che competono tra loro. Questo è molto triste e molto dannoso. Se Navalny fosse stato ancora vivo, probabilmente questo non sarebbe successo, o non sarebbe successo su questa scala. Ma è proprio per questo che Putin non voleva rimetterlo in libertà. È proprio per questo che è stato ucciso.

In Europa si stanno muovendo i primi passi per l’istituzione di un tribunale speciale per condannare i crimini commessi dal regime durante l’invasione. La ritiene un’iniziativa praticabile?
Anche se può sembrare sorprendente io non sono del tutto favorevole a questa ipotesi, ma per motivi prettamente pratici. Putin potrà essere incriminato e condannato solo dopo la cessazione dalla sua carica, cosa che, come sappiamo bene, non avverrà mai. Estendere le accuse anche a personaggi come Lavrov ed altri non avrà altro effetto che rendere anche le loro cariche eterne.
Molti criticano anche il silenzio del popolo russo rispetto a tutto questo. Non dobbiamo certo ripeterci le enormi difficoltà che in una dittatura ha chi vuole opporsi, ma non ritiene che comunque il popolo russo sia in qualche modo corresponsabile di ciò che fa la sua leadership?
Per esaminare la questione della responsabilità ritengo utile la lettura del libro scritto da Karl Jaspers subito dopo la guerra sulla colpa tedesca. Lui individua sostanzialmente quattro categorie di responsabilità: giuridica, politica, morale ed esistenziale. Concordo con lui, anche se questa interpretazione non è molto popolare nella diaspora russa. Dal punto di vista giuridico non esiste una responsabilità collettiva perché ciascuno è responsabile delle proprie azioni. Anche quella morale ed esistenziale ciascuno deve affrontarle con se stesso o con Dio. La responsabilità politica invece è e deve essere collettiva. Chi è favorevole alla guerra, ad esempio ha una responsabilità politica. Ma ne ha anche chi è contrario, me compreso, perché non siamo riusciti a fermare un’aggressione ad uno stato vicino. Questo fa sì che i problemi che ha la popolazione russa a causa delle sanzioni e quanti sono stati costretti a fuggire sono il risultato della nostra responsabilità collettiva.
Le parole di Oleg Orlov ci restituiscono non solo la testimonianza di un uomo che ha vissuto sulla propria pelle la brutalità del potere, ma anche il volto resistente e coraggioso di una Russia che non si arrende. In un tempo in cui la propaganda tenta di soffocare la memoria e di riscrivere la storia, la sua voce ci ricorda che la verità esiste, anche quando è scomoda, e che la dignità umana è un valore per cui vale sempre la pena battersi.
