Oltre la NATO: ormai è l’Europa a doversi integrare nell’esercito ucraino

Piercamillo Falasca
07/06/2025
Orizzonti

L’annientamento dei bombardieri strategici russi da parte dell’esercito ucraino, avvenuto con un’operazione fulminea e indipendente da qualsiasi supporto occidentale visibile, ha segnato un passaggio decisivo nella guerra in Ucraina. Non è solo l’efficacia militare a impressionare, ma la sua carica simbolica: Kyiv è oggi il cuore pulsante di una nuova idea di autonomia strategica europea. Mentre l’Occidente si interroga sulla tenuta della NATO, l’Ucraina agisce, innova e resiste con una determinazione che sta cambiando i parametri della sicurezza continentale.

Kyiv, fucina di guerra e innovazione

Oggi il campo di battaglia è dominato dai droni, dall’intelligenza distribuita e da una capacità produttiva diffusa e ingegnosa. La resistenza ucraina è ormai sostenuta da un ecosistema tecnologico simile ai primi anni della Silicon Valley: piccoli gruppi di inventori, hacker, ingegneri autodidatti che, nei garage di tutto il Paese, progettano e costruiscono nuovi strumenti bellici. Migliaia di attacchi aerei non pilotati colpiscono ogni giorno le forze russe, rendendo sempre più difficile ogni manovra sul terreno. L’artiglieria ha lasciato spazio al software, alla miniaturizzazione e alla rapidità di adattamento. È un nuovo paradigma bellico, nato dal bisogno e affinato dall’urgenza della sopravvivenza.

Questa innovazione, però, ha un significato che va oltre l’efficacia sul campo. Essa sta emancipando Kyiv dalla dipendenza occidentale. L’operazione che ha colpito i bombardieri russi dimostra una crescente capacità autonoma di pianificazione, intelligence e logistica. È qui che il concetto stesso di “alleanza” vacilla. Se l’Ucraina riesce a fare da sola ciò che la NATO fatica anche solo a discutere, chi sta davvero proteggendo chi?



Quello che l’operazione contro l’aviazione strategica russa ci dice è che Kyiv sta passando dalla fase difensiva a una capacità di proiezione strategica. Distruggere bombardieri non significa solo infliggere perdite: significa neutralizzare la capacità di minaccia nucleare, logorare il prestigio militare russo, e rendere vulnerabile l’apparato su cui Mosca ha costruito il suo potere. Se questa azione fa parte di una campagna più ampia, allora si apre una nuova fase della guerra: quella in cui la Russia potrebbe iniziare a temere per la sicurezza del proprio territorio.

NATO, ombra di se stessa

Nel frattempo, l’Alleanza Atlantica si avvita in una crisi esistenziale. Come ha scritto Christian Spillmann ne Il Mattinale Europeo, lo spirito della NATO è morto. È rimasto un contenitore vuoto, mantenuto per convenienza. La presenza americana, un tempo garante di sicurezza, è oggi vissuta con ambivalenza: necessaria, ma intrusiva; strategica, ma instabile. Donald Trump ha spezzato il legame di fiducia con l’Europa, trasformando la NATO in uno strumento al servizio del proprio disegno di potere. L’interferenza americana nella politica interna di Paesi alleati — come la Polonia, dove la segretaria alla Sicurezza Kristi Noem ha ricattato apertamente l’elettorato — ha spinto l’Alleanza sull’orlo del collasso morale e politico.

In questo contesto, le azioni di Kyiv assumono un significato ancora più forte: mentre l’Alleanza si frammenta, l’Ucraina si consolida. Lo fa da sola, certamente grazie al sostegno finanziario occidentale, ma sostanzialmente da sola. E in questo vuoto di guida strategica, sono proprio le vittorie ucraine a ridefinire la credibilità del fronte occidentale.

Dall’autonomia alla deterrenza

In parallelo, l’Europa si sta risvegliando, lentamente ma con crescente consapevolezza. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha annunciato un accordo con Kyiv per la produzione congiunta di sistemi d’arma a lungo raggio, in grado di colpire in profondità il territorio russo. È una collaborazione che non conosce restrizioni di gittata e segna un chiaro mutamento nella postura strategica tedesca — fino a ieri refrattaria a ogni iniziativa che potesse apparire come escalation. Contestualmente, Berlino ha varato un nuovo pacchetto da cinque miliardi di euro in aiuti militari, destinato anche a potenziare la produzione in loco di armamenti avanzati. Ma il risveglio non è solo nazionale: il 6 giugno, a Varsavia, le istituzioni finanziarie pubbliche di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e la Banca Europea per gli Investimenti hanno sottoscritto un’intesa strategica per rafforzare l’industria europea della difesa, puntando su ricerca, capacità produttiva e infrastrutture. L’obiettivo non è più semplicemente supportare Kyiv, ma costruire una base industriale della sicurezza europea, capace di affrontare le minacce di oggi e di domani.

A sintetizzare lo spirito del momento, il ministro della Difesa estone Hanno Pevkur ha detto: Meglio spendere il 5% in tempo di pace che il 35% in tempo di guerra. Ecco, forse, la frase che meglio racchiude la nuova coscienza strategica del continente.

Kyiv guida il nuovo ordine di sicurezza

Per questo non ha più senso dibattere sull’adesione alla NATO come una questione astratta. Kyiv sta creando, nei fatti, un nuovo ordine di sicurezza, costruito sul campo, alimentato da innovazione, resilienza e capacità operative che nessun altro Paese europeo ha sviluppato con la stessa intensità negli ultimi anni.

Putin, oggi, sa che qualsiasi attacco a un Paese baltico o dell’Est Europa dovrà fare i conti con una forza che non esisteva nel 2022: una Ucraina trasformata in potenza tecnologica, autonoma, determinata, alleata nella sostanza se non nella forma. E questo cambia tutto. Perché mentre alcuni alleati NATO tentennano, Kyiv ha già dimostrato cosa significa dissuadere un aggressore: colpire con precisione, innovare più in fretta del nemico, e resistere più a lungo del previsto.

L’Europa può e deve oggi investire nella propria difesa con una certezza in più: quella di poter contare su un partner operativo già rodato, efficiente, motivato, e con una conoscenza del campo di battaglia moderna e avanzata.

Qualsiasi scenario di sicurezza che non includa l’Ucraina è già obsoleto. E qualsiasi tentativo di “normalizzazione” postbellica che implichi la sconfitta o la neutralizzazione dell’Ucraina significherebbe consegnare a Mosca, senza colpo ferire, la più potente infrastruttura militare nata in Europa nel XXI secolo. È questo, più di qualsiasi dichiarazione ufficiale o impegno formale, il vero deterrente. Ed è su questa nuova realtà che l’Europa dovrà costruire la propria sicurezza.