L’Indonesia di Prabowo, alla ricerca di un equilibrio (non troppo equilibrato)

Guido Gargiulo
18/05/2025
Orizzonti

Dialoghi su dialoghi, attivissimo su X, immagini e appuntamenti con leader mondiali. Questo è il volto social di Prabowo Subianto, presidente dell’Indonesia, ex generale, ex ministro della Difesa, oggi emblema di un Paese che cerca spazio tra i giganti. In foto con Joe Biden prima, al telefono con Donald Trump poi definendolo più volte “Sir” (dettaglio non da poco nel linguaggio di Prabowo) durante il suo insediamento. Il tutto, in uno scorrere costante di post, dichiarazioni, viaggi ufficiali e rapporti incrociati, dalla Russia alla Cina fino agli Stati Uniti. Ma dietro questo attivismo quasi compulsivo – strategico, certo – rimane una domanda: che Indonesia sta modellando Prabowo? E qual è il suo vero volto?

Tra piazze rosse e ombre lunghe

Qualche giorno fa, una delegazione indonesiana ha partecipato alla parata del 9 maggio a Mosca per celebrare l’anniversario della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Un gesto apparentemente simbolico, ma in realtà profondamente strategico. Per Giacarta, inviare il proprio ministro della Difesa non è stato solo un omaggio al passato russo, bensì un segnale preciso: l’Indonesia non vuole scegliere tra le potenze, ma quasi “danzare” tra queste.

Una danza difficile, soprattutto nell’Indo-Pacifico, dove le tensioni tra Washington e Pechino si riflettono su ogni linea marittima, ogni base navale, ogni accordo. La scelta di coltivare legami con Mosca – in piena tensione con l’Occidente – può apparire rischiosa, ma per Prabowo è coerente con una visione multipolare, nella quale l’Indonesia non vuole essere periferia di alcuna egemonia.

Eppure, a complicare la strategia e la postura internazionale, ci sono segnali interni che riportano alla mente ombre del passato. Di che si tratta?

Il ritorno dell’uniforme

Negli ultimi mesi, il Parlamento ha approvato una riforma che permette ai militari attivi di occupare un numero crescente di incarichi civili. Una svolta che ha riacceso i timori di una re-militarizzazione della politica indonesiana. Prabowo, uomo di esercito, ha spesso dichiarato di voler costruire uno Stato forte, ordinato, “disciplinato”. Eppure, la disciplina imposta dall’alto ha un sapore noto per chi ricorda gli anni del regime di Suharto, di cui lo stesso Prabowo fu uno dei protagonisti più controversi.

Studenti in piazza, proteste contro i tagli a sanità e istruzione, critiche internazionali alle riforme: la società civile indonesiana avverte che il bilanciamento tra stabilità e autoritarismo potrebbe pendere pericolosamente verso il secondo. E il rischio, in un Paese che ha fatto dell’esperimento democratico post-1998 un pilastro della sua legittimità, è quello di scivolare in un burrone che sfocia pericolosamente nel passato.


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Un cantiere che non dorme mai (ma che inquieta)

In parallelo, l’ambiziosa costruzione della nuova capitale, Nusantara, nelle foreste del Kalimantan, si sta rivelando più un cantiere propagandistico che un’opera concreta. Tra video di youtuber convocati per “certificare” l’avanzamento dei lavori ed operazioni mediatiche costruite ad arte, emergono domande più profonde: è davvero sostenibile questo progetto?

Il trasferimento della capitale da Giacarta a Nusantara dovrebbe rispondere ad esigenze ambientali, demografiche e strategiche. Ma la realtà racconta di ritardi, costi lievitati, impatti ecologici rilevanti e – soprattutto – dubbi sulla reale funzionalità di una capitale costruita quasi dal nulla. Come spesso accade, la visione futuristica rischia di rimanere schiacciata tra ambizione e realismo. Intanto, Giacarta, lentamente ed inesorabilmente, crolla sul peso di sé stessa.

Energia e geopolitica, il gas come pedina geopolitica

Sul fronte energetico, intanto, l’Indonesia si ritaglia un ruolo da protagonista, anche grazie alla presenza di attori stranieri come l’italiana ENI, che ha avviato la produzione di gas nel campo di Merakes East. Situato al largo delle coste del Kalimantan, il progetto promette quasi 3 milioni di metri cubi di gas al giorno, e si inserisce in un più ampio disegno di sfruttamento delle risorse naturali per posizionare Giacarta come hub regionale dell’energia.

Ma l’energia è sicuramente anche leva diplomatica. Il bacino del Kutei, la cooperazione con compagnie internazionali, la crescente attenzione cinese per le infrastrutture indonesiane. Tutto ciò suggerisce che l’Indonesia vuole sedere al tavolo dei grandi non solo con simboli o parate, ma con asset concreti da negoziare.

Un equilibrio instabile, forse volutamente

Prabowo è un uomo che parla poco ma twitta molto. Dialoga con tutti, ma non si lega a nessuno. Mantiene un’identità in costruzione, che si fonda più sul movimento che sulla coerenza. E questo, nel tempo fluido della geopolitica, può rivelarsi tanto un’arma quanto un rischio.

L’Indonesia oggi è più visibile che mai, ma anche più esposta. Le sfide climatiche minacciano le sue isole, i rischi democratici inquietano i suoi cittadini, le ambizioni internazionali la rendono bersaglio di corteggiamenti e sospetti.

È l’Indonesia di Prabowo, un paese alla ricerca di un equilibrio. Ma non troppo.