La diaspora rumena vota un capo ultrà euroscettico. Perché?

La politica degli ultimi anni ci aveva abituati ad una scena ricorrente: ad ogni resa dei conti tra populisti e centristi in un paese dell’ex blocco sovietico, gli emigrati all’estero si mobilitavano con generosità per sbarrare la strada ai primi e per spianarla ai secondi.
400.000 polacchi dall’estero hanno premiato la coalizione di Donald Tusk, conquistandole otto seggi in parlamento. Quasi 60.000 slovacchi dall’estero hanno sottratto due seggi preziosissimi all’autocrate locale Robert Fitzo.
Clamoroso è stato il caso della Moldavia, dove i voti di 180.000 emigrati hanno ribaltato il risultato in patria, salvando la presidenza di Maia Sandu e il referendum sull’ingresso nell’UE.
I georgiani espatriati – gli unici non sottoposti al voto elettronico e pubblico che ha truccato le elezioni – hanno riversato sull’opposizione l’87% delle preferenze.
Il presidente liberale Petr Pavel, scelto da più del 90% dei cechi all’estero, sta cercando adesso di facilitare il loro accesso al voto: dagli attuali 23.000 vorrebbe portarne alle urne più di mezzo milione. (L’Ungheria di Orbán, per la stessa ragione, ha reso quasi impossibile votare per i propri expat).
Infine, ricorderete tutti le file commoventi di centinaia di migliaia di russi davanti ad ambasciate e consolati, durante le false elezioni che seguirono di poco l’assassinio di Navalny, per mostrare che quando vengono lasciati liberi di esprimersi rigettano in massa il regime di Putin.
In questo quadro, salta all’occhio l’eccezione della Romania.
Qui il matematico Nicuşor Dan, sindaco di Bucarest e candidato centrista alla presidenza, potrebbe soccombere domenica a George Simion – un ex capo ultrà che si ispira a Trump e alla Meloni – proprio grazie al voto decisivo degli espatriati.
Questi al primo turno si sono mostrati entusiasti di lui, tributandogli 340.000 voti più del suo attuale sfidante.
Per recuperarli, il matematico-sindaco dovrebbe vincere in patria 53% – 47% pescando tra gli astenuti: una sfida, purtroppo, titanica.
Aggiungiamo che nello scorso novembre, quando si era candidato Calin Georgescu (un uomo di Putin che in breve tempo è finito travolto da scandali e arresti), i rumeni all’estero avevano straveduto anche per lui: molti adesso si aspettano che Simion gli conceda la grazia e lo nomini primo ministro.
Come si spiega questa apparente stranezza?
L’Italia è un punto di osservazione privilegiato per capirlo. Come è noto, infatti, ospita la più grande comunità rumena del mondo (oltre un milione di persone) e somiglia molto alla Spagna, che secondo alcune stime ne include quasi lo stesso numero. In entrambi i paesi Simion ha ottenuto un autentico plebiscito col 73%.
Abbiamo chiesto ad alcuni ragazzi di origini rumene ma cresciuti in Italia quale sia il loro punto di vista sulla love story tra Simion e gli emigrati.
La nostalgia e il risentimento di chi è migrato controvoglia
“Pur avendo vissuto la maggior parte della loro vita in Italia, sono tutti legati alla Romania” premette Gabriele, 22 anni, studente di ingegneria gestionale. “Nella mia vita ho sentito sempre dire: ‘In Romania si sta meglio’, ‘In futuro me ne torno lì’, ‘Dovresti parlare rumeno, pensa se da grande ti dovessi trasferire lì’, ‘Non mi importa di farmi i documenti italiani’, ‘La cittadinanza italiana potrei farla ma non la voglio’…quindi un candidato che punta sulla retorica patriottica riesce a conquistare tutti coloro che hanno dovuto lasciare il paese non per scelta ma per necessità”.
Un altro fattore da non trascurare è che in molti sono delusi dalla classe politica. “Non è difficile trovare persone che rimpiangono i tempi del dittatore Ceauşescu, e quindi apprezzano la retorica contro le élite e la promessa di ordine, disciplina e difesa dei valori tradizionali. Molti vedono la democrazia post-1989 come una svendita del paese all’Occidente” racconta Gabriele.
“Simion sfrutta la retorica dell’uomo del popolo contro i ladri che per anni ci hanno derubato e hanno causato la diaspora” conferma Andreea, che ha 29 anni e lavora tra un bar e un maneggio di cavalli.
“La Romania dopo la rivoluzione è stata governata dai democratici del centro-sinistra, spesso coalizzati coi partiti liberal-nazionalisti. Ma nessuno di questi governi è mai riuscito a soddisfare il popolo, e così (com’è già accaduto in Italia) quest’anno si va a votare ciò che di più lontano c’è da quel che c’è stato in passato, ovvero la destra abbastanza estrema di Simion”.
“A vent’anni lavoro, faccio figli e mi costruisco casa”
Spesso qui in Italia abbiamo una visione romantica del comunismo, che gli attribuisce progressi nei diritti personali e nell’emancipazione delle donne. Ma chi l’ha vissuto sulla sua pelle sa che la realtà era un’altra.
Senza libertà di stampa né pluralismo politico, i nuovi modelli di famiglia e di società non avevano alcun modo di diffondersi: dunque regime e tradizione, nella memoria di molti rumeni emigrati, sono legati in un tutt’uno inscindibile.
“Mia nonna è arrivata qua che aveva la terza media e si è vista catapultata in un mondo che aveva valori completamente diversi rispetto a quelli che le erano stati inculcati in Romania” dice Bianca Elena, 21 anni, laureanda in scienze della comunicazione.
“Lei non voterebbe Simion in nessun mondo parallelo, ma i suoi coetanei hanno vissuto questo gap, che hanno cercato di colmare con la leggenda nera dell’Europa occidentale che indottrinava gli altri popoli a fare certe cose. Per questo ce l’hanno con l’europeismo.
Qualcosa c’entra anche la religiosità ortodossa. “In Italia quelli come mia nonna, anche se non venivano maltrattati, venivano comunque quasi schiavizzati con retribuzioni troppo basse. E l’unico appiglio che potevano avere per non sentirsi sottomessi, oltre che per sentirsi meno soli, era la comunità religiosa.
Lì si sentivano a casa anche perché erano contro l’omosessualità, per la famiglia di stampo tradizionale, dove a vent’anni parto, mi cerco lavoro, faccio figli e costruisco casa. Simion si presenta come un cristiano fermo e tende ad essere appoggiato dalla chiesa ortodossa, mentre Nicuşor è molto più aperto al dibattito per la liberalizzazione dei costumi familiari”.
Russia o Ucraina? Una vale l’altra
Se la nostalgia patriottica è così forte tra questi elettori, non possono che passare in secondo piano le grandi crisi internazionali.
Secondo Andreea, lo scontro tra Mosca e Kiev è sentito dai rumeni in modo assai poco convenzionale. “Ce l’hanno con chiunque sia russo o mezzo russo, e gli ucraini per noi contano come russi (funny, don’t you think?).
Inoltre, da quando ce ne hanno mandati a intasare Bucarest a fiumi insieme ai loro macchinoni e alla loro maleducazione, l’antipatia è solo aumentata”.
Simion, insomma, nel nome di un generico risentimento antisovietico, può scagliarsi sia contro Putin che contro gli ucraini. Ai quali tra l’altro, come ai moldavi e ai bulgari, vorrebbe sottrarre delle “terre irredente” che nel primo ‘900 erano state rumene.
Non c’è, dunque, una spaccatura tra filoeuropei e filorussi così netta come altrove. “La Romania è l’adolescente emo che nessuno capisce, e quindi odia tutti di default” sostiene Andreea. “Il sostegno a Georgescu per tanti nasceva dal fatto che prima ci siamo fidati dei russi, l’abbiamo preso al c*, poi ci siamo fidati degli americani e l’abbiamo preso al c*, poi dell’Europa e più o meno sempre al c* ci sembra di averlo preso, anche se quella è una percezione voluta da chi governa, perché da quando siamo in Europa in realtà ci hanno dato un sacco di fondi”.
La bolla informativa di Georgescu e Simion
“Ma Simion obietta: i fondi europei sono strutturati per essere investiti solo in un determinato modo, mentre noi dovremmo prima far crescere la forza-lavoro qua dentro e poi forse, fra trent’anni, potremo stare in una comunità che non ci imponga tempi da rispettare, direttive e regolamenti”. È la sua tipica strategia argomentativa secondo Raluca, 22 anni, studentessa di medicina, che si sofferma su un altro elemento fondamentale: l’ecosistema informativo nel quale è immersa una parte consistente della diaspora rumena.
“Chi si è trasferito qua non sa più qual è la situazione in Romania, non sa davvero come funzioni la corruzione e se un politico stia o non stia rubando. Si basano sui racconti delle nonne: ‘Stanno facendo questa legge per farci diventare ancora più poveri di quanto già non siamo’!
Georgescu era stato un maestro nel fomentare queste teorie del complotto e Simion ne ha raccolto il testimone. È un esperto comunicatore: aveva promesso che le case, con tanto di terreni, sarebbero costate solo 30.000 euro. E il nome stesso del suo partito, AUR (Alleanza per l’Unione dei Rumeni), significa letteralmente ORO”.
Simion, riconosce Raluca senza astio, “ti parla come se stessi in cantiere. Si spaccia per un cittadino privato che ha fatto carriera del basso. In conferenza stampa ha ammesso di non aver dichiarato tutti i soldi che ha guadagnato, ‘Ma d’altronde tutti evadono!’.
E, soprattutto, ha convinto i suoi elettori che i mass media mentono apriori, descrivendo apposta lui come uno stupido ed esaltando apposta Nicuşor Dan. Che i mass media stanno dalla parte di Nicuşor, il quale sarebbe solo una prosecuzione del sistema politico degli ultimi trent’anni. Questa narrazione ha dato a Simion la scusa per partire dalla Romania, evitando così i dibattiti contro Nicuşor e le domande scomode dei giornalisti. Il suo aggancio sui media è solamente TikTok, dove non può essere contestato”.
In una bolla informativa saturata da TikTok e dai racconti di prima mano, dove quindi non c’è spazio per il contraddittorio, l’eliminazione di Georgescu dalla corsa elettorale di novembre è apparsa ancora più inspiegabile e intollerabile di quanto non sia apparsa ai rumeni che vivono in Romania.
Migliaia di espatriati, insomma, per vendetta contro un sistema che non percepiscono più come democratico, votano Simion o al massimo si astengono.
“Non mi informo molto sul mio paese dato che non ci vivo e non ci voglio vivere: quando ho visto che hanno annullato le elezioni due volte, da lì in poi non mi sono più informato” afferma Emil, tecnico di regia di 28 anni.
“Il popolo romeno una persona voleva, e l’Unione Europea non gliel’ha concessa. Queste elezioni sono truccate. Alla gente non frega neanche più un cavolo di votare.
Perché l’Europa ha attaccato tanto il candidato alle elezioni che praticamente le aveva vinte, senza prove certe e solo con speculazioni? Questa sarebbe democrazia? Per me è una democrazia camuffatissima.
Il Parlamento Europeo ha votato per quei 800 miliardi stanziati per il riarmo? No. Chi lo ha deciso allora? Quando si parla di guerra la democrazia non esiste più, prendono decisioni per te e per tutti quelli che ti circondano senza avere necessariamente il tuo consenso. Con 250 miliardi di euro si potrebbero coltivare alberi da frutto riforestando il pianeta e fornendo cibo per 9 miliardi di persone. Si potrebbe porre fine alla fame nel mondo. Perché non si fa?”
I risultati arriveranno nella notte tra domenica e lunedì.