L’Ucraina è l’Europa: cronaca del nostro viaggio a Kyiv

Federica Valcauda, Europa Radicale
09/05/2025
Frontiere

L’Ucraina è Europa, e l’Europa è l’Ucraina: questa frase non si comprende nella sua reale chiarezza fino a quando, con il treno, non si supera il confine.

Il nostro confine è stato la Polonia: dalla stazione di Przemyśl, piccola cittadina che ricorda certi vicoli di Praga, abbiamo preso il treno notturno per Kyiv. Un’ora prima della partenza ci siamo messi in fila, in un ingresso ‘esterno’ alla stazione. Questo perché, per andare in Ucraina, si deve passare il controllo dei passaporti: una vera e propria frontiera, a cui non siamo più abituati sul suolo europeo. In ogni caso — e purtroppo dobbiamo ricordarcelo, perché è facile dimenticarlo — non è (ancora) uno Stato membro dell’Unione Europea.

Ma cos’è l’Europa? Cos’è l’Unione Europea? Perché un confine, una frontiera, oggi ci sembrano così costrittivi e, a tratti, ingiusti? Sono tutte domande che ci accompagneranno nei prossimi giorni e a cui si tenterà di dare una risposta.

Effettuati i controlli, siamo saliti sul treno che ci ha portato a Kyiv: straordinariamente in orario, confortevole e curato — per noi che abbiamo a che fare con i regionali delle Ferrovie dello Stato…

Il viaggio, la notte e l’incontro con la guerra

Verso l’una e trenta di notte, poco prima di passare vicino a Leopoli, sono saliti sul treno alcuni militari: chi controllava i passaporti per applicare il timbro, chi con una torcia ispezionava alcune zone del treno per verificare che non ci fosse nulla di anomalo.

La militaressa che ha controllato i nostri documenti ci ha chiesto dove eravamo diretti.

A Kyiv”, rispondiamo.

How long do you stay?” — “Until Saturday.” Sabato 10 maggio, giorno in cui Kyiv, secondo le parole di Medvedev, dovrebbe essere spazzata via. Un orrore. Pensare di spazzare via una città e le sue persone: come è possibile anche solo immaginarlo?

La militaressa ci ha dedicato una seria e responsabile attenzione, ma difficilmente si riusciva a nascondere la tenerezza di una donna che si trova in guerra. Certo, non al fronte, obietteranno alcuni — sento già il mormorio di sottofondo per cui ciò che si fa non è mai abbastanza — ma l’ansia della vita non è minore su un treno o quando, dall’altra parte, ci sono le truppe di Vladimir Putin.

Mentre si allontana mi chiedo se noi saremo in grado di rispettare davvero ciò che loro stanno subendo, ormai da tre anni. E intanto, fuori dal finestrino, anche se è notte, si iniziano a vedere su alcuni palazzi accanto alla ferrovia le bandiere ucraine. E sì, a noi sembra di essere in Europa, anche se abbiamo dovuto mostrare il passaporto.

Cos’è l’Europa? Ma certamente l’Europa è Kyiv.

Ed è un sentire immediato: appena si scende dal treno, si esce dalla stazione e, pur nelle evidenti differenze che ci sono con il nostro Paese, si avverte una comunione d’intenti, che va verso un mondo in cui democrazia e libertà — dunque diritti e doveri — vanno insieme.

Ogni palo della luce accoglie due bandierine ucraine. Quando c’è una guerra, una guerra come questa, d’invasione, la bandiera diventa un simbolo profondo di resistenza da esporre a ogni angolo.

La vita a Kyiv procede, solo all’apparenza tranquillamente.

Giovani, partecipazione e passione civile

All’incontro che abbiamo avuto con la Prytula Foundation, una ragazza ci ha detto:

Io non reagisco più al suono degli allarmi. E se accadono di notte, mi giro dall’altra parte. Venire a lavorare in fondazione tutti i giorni ci aiuta, sentiamo di poter fare qualcosa e ci distrae”.

La passione civile di quei ragazzi, giovani, mi ha fatto pensare a noi: nel nostro Paese, la maggior parte dei giovani in età universitaria non si interessa della cosa pubblica, che non è solo politica, ma anche associazionismo.

Negli anni successivi all’università, il numero diminuisce ancora di più, fino ad arrivare alla generazione degli anni ’80, in cui il disinteresse diventa quasi totale. Sarà che vivere in tempo di pace, senza particolari problemi, ci ha fatto pensare che non ci sia più niente per cui poter lottare? Che ciò che abbiamo sia già abbastanza? Che non ci sia più margine di miglioramento?

È un peccato, perché stando noi con le mani in mano non rendiamo giustizia alle altre persone che, in Ucraina e in altri luoghi del mondo, difendono i valori della democrazia e della libertà.

E i ragazzi della Prytula Foundation — dove si producono circa 1.000 droni al mese — sono un esempio di passione civile.

I droni vengono donati ai militari al fronte, insieme ad altre attrezzature di supporto, con il marchio della fondazione (questo per evitare che vengano venduti, essendo prodotti grazie alle donazioni). Inoltre, producono anche attrezzature mediche.

Il filo rosso, in tutti gli incontri svolti nella giornata di giovedì, è stata proprio la vicinanza all’Unione Europea.

Alla Camera di Commercio e dell’Industria ucraina è emersa, da parte del Presidente, la volontà non di competere ma di cooperare a livello economico nel mercato unico: un’operazione che stanno cercando di rendere reale, stabilendo accordi bilaterali con i Paesi europei nell’attesa di poter effettivamente entrare nel mercato unico.

Lo stesso vale, sul tema dei diritti civili, per la ONG Insight, che si occupa dei diritti LGBT: l’Unione Europea garantisce diritti che a livello nazionale ancora mancano. La possibilità di fare il Pride non comporta automaticamente miglioramenti nella legislazione interna, nonostante il loro lavoro di advocacy. Anzi, in questo periodo di guerra sono accadute due cose: da un lato, la comunità LGBT è più riconosciuta e rispettata, visti i nostri militari al fronte — la cosiddetta “Brigata Unicorno”. Dall’altro lato, però, i militari LGBT non sono ugualmente rispettati, e quando muoiono al fronte nessuno si premura di andare a recuperarne i corpi o fare un funerale.

Le solitudini della guerra

Riflettendo, adesso mentre scrivo, mi viene in mente una parola: solitudini.

Ogni associazione, ogni persona che abbiamo incontrato, ha la propria solitudine con cui dover fare i conti.

Le solitudini sono anche quelle delle madri dei prigionieri di guerra, che abbiamo incontrato al Center for Civil Liberties, ONG insignita del Premio Nobel (2022) per aver documentato i crimini di guerra portati avanti dalla Russia in questi anni.

Natalya, madre di uno dei difensori di Mariupol, ha raccontato che il figlio si trovava nella città portuale in quei primi 86 giorni, prima della caduta della città, che ha corrisposto alla conquista da parte dei russi dell’acciaieria Azovstal.

Nel maggio 2022 è uscito da Mariupol, rispettando quanto detto dai russi, ma lui e altri combattenti sono stati imprigionati. La madre ha saputo solo nel marzo 2023 che suo figlio era vivo e prigioniero, grazie alle comunicazioni della Croce Rossa.

Ci sono persone, però, che oggi continuano a non sapere nulla dei loro figli, mariti, fratelli. Non si sa se piangerli o continuare a sperare. Vivere nell’incertezza, quando per un tuo caro faresti di tutto, scava il dolore nelle famiglie che non hanno risposta.

Natalya ci racconta che suo figlio era detenuto nella prigione di Olenivka nel luglio 2022, quando la Federazione Russa esercitò un attacco mirato al luogo di detenzione: una bomba fece morire 50 persone.

Quella notte, nella prigione si trovavano 122 persone della divisione Azov e molti di loro — cinquanta, sembra, secondo fonti giornalistiche — sono morti. Alcuni hanno perso troppo sangue, perché le autorità russe non fecero entrare i medici.

Più di 60 persone sono state gravemente ferite: si parla di amputazioni che compromettono in modo irreversibile la vita. Molti di loro, nonostante le gravi ferite, sono ancora detenuti.

Le comunicazioni con i prigionieri sono assenti: alcuni dicono che possono scrivere lettere alle famiglie, ma queste lettere non sono mai arrivate.

Un’altra solitudine, di cui ogni Paese europeo dovrà farsi carico, infliggendo alla Federazione Russa le sanzioni più severe.

Oggi, alle 15:00, manifesteremo al Maidan.

Alcuni compagni mi dicono che le bandiere poste nella grande aiuola della piazza, due anni fa, erano molte meno. Oggi è difficile trovare uno spazio per aggiungerne un’altra, a ricordo dei morti e degli scomparsi.

La guerra prosegue. Ma Kyiv vive. Davanti al nostro hotel, bandiere europee e ucraine sventolano insieme su una grande rotonda.

L’Ucraina è Europa e l’Europa è Ucraina.
Lo ribadiremo oggi a Kyiv, nel giorno della Festa dell’Europa.